di Edoardo Todaro
Gabriele Fuga, La cella dell’avvocato, Edizioni Colibrì; pp. 316; € 17
“ Anni di piombo “ è questa la definizione che va per la maggiore nel definire un periodo importantissimo nella storia del conflitto sociale e politico, quello che si è prodotto negli anni ‘70. In questo paese, in quel periodo si è sviluppato un movimento che non ha avuto paragoni in altri paesi occidentali. Tanti i motivi sul perché in Italia si sia sviluppato tale percorso, certo non è questo l’ambito. La liberazione dal nazifascismo sta subendo, da molti anni a questa parte, un percorso di omologazione tra vinti e vincitori. Do you remember Violante e le ragioni dei vinti? La morte non fa distinzioni, di fronte ad essa siamo tutti uguali.
Questo in estrema sintesi, il percorso intrapreso in questi anni per arrivare ad una riscrittura della storia, per arrivare alla famosa memoria condivisa. Tutti uguali nella liberazione? Equiparare liberatori ed oppressori se si parla della lotta di liberazione avvenuta nel ’45. Rimuovere e silenziare se si parla degli anni’70; cosa sono stati gli “ anni ’70 “ in questo paese? Un conflitto sociale politico/sindacale/sociale si è manifestato e come è stato possibile che in una” democrazia compiuta “ si verificasse un possibile “ assalto al cielo “ che potesse rimettere in discussione rapporti di forza consolidati a favore del potere capitalistico, messa in discussione concretizzatisi con “ il mettere paura “.
I protagonisti di quell’esperienza, spesso e volentieri finiti ad espiare il proprio essere soggetti di una rottura epocale nelle patrie galere, devono restare in silenzio, non farsi portatori del raccontare la propria esperienza , del proprio vissuto. Come si diceva un tempo “ a futura memoria “, a monito per le nuove generazioni che si affacciano nell’essere protagoniste della messa in discussione dello stato di cose presenti. Se prendi in considerazione che il tuo impegno politico, la tua appartenenza al conflitto sociale in atto possa esprimersi anche in forme incompatibili con l’ordine costituito, sappi che ti teniamo sotto controllo, anzi che se pensi di farla frana, ti raggiungeremo anche a distanza di decenni e te la faremo pagare, perché il potere non dimentica. . Che sia capitato una volta? Ci può stare. Ma che non si ripeta mai!Abbandono queste considerazioni, sicuramente ci sarà occasione per tornarci, per dire alcune cose rispetto a “ La cella dell’avvocato “.
Gabriele Fuga, l’avvocato Gabriele Fuga, ci riporta ad un qualcosa di molto importante, un qualcosa che deve essere conosciuto. Per tantissimi anni il conflitto sociale aveva assunto tali dimensioni di scontro e di massa, che rispondere alla repressione rientrava nei compiti di tutti nessuno escluso. Certo c’era anche una nutrita schiera di legali che si prestavano a sostenere coloro che venivano colpiti dai provvedimenti repressivi, ma il farvi ricorso era, per così dire, una modalità tutta interna alle “ dinamiche di movimento “. Ad un certo punto, la repressione ha accentuato il suo agire ed il movimento ha attenuato la sua forza d’urto, anche su questo ritorneremo, e l’aspetto della difesa legale ha assunto proporzioni considerate, prima, importanti ma secondarie. Prima, se un operaio veniva licenziato, rivolgersi ad un legale era ovvio; impugnare il licenziamento un percorso da praticare ma sapendo che il rientro in fabbrica poteva avvenire non tanto grazie non solo a sentenze favorevoli ma soprattutto alla solidarietà dei propri compagni che ti riaccompagnavano in azienda portato a spalla. Quindi riprendendo il filo lasciato qualche riga sopra, Gabriele Fuga rappresenta una figura emblematica all’interno di un effetto a catena: avvocato/imputato; imputato/avvocato e così all’infinito,infatti ad esempio lui sarà difensore di Spazzali e poi dovrà trovarsi un difensore. Numerosi i nomi che hanno segnato quel periodo da Spazzali, arrestato, ad Arnaldi, suicidatosi per evitare l’arresto dovuto al pentito di turno, perché il numero di chi fa dichiarazioni infamanti si accentua.. La sua vicenda riporta alla luce, appunto, la figura del pentito, in questo caso Paghera, un detenuto comune politicizzato in carcere, addirittura l’assistito che diviene accusatore. Avvocati soprattutto, ma non solo, che si ritrovano attorno a una realtà fondamentali per la solidarietà che riuscì ad esprimere concretamente: “SOCCORSO ROSSO” ed il “Comitato Internazionale per la Difesa dei Detenuti Politici”.
L’accusa per l’avvocato Seguso/Fuga è quella usuale per coloro che svolgevano quell’attività: partecipazione a banda armata ed associazione sovversiva, anello di collegamento tra il difeso ed i “ complici “ fuori; accusa che farà sì che nessuno un domani accetterà di farsi difendere da loro, questo è quel succede ai compagni/avvocati, le idee sotto processo. Fuga che mantiene il proprio ruolo anche nella fase detentiva con consulenze, ovviamente gratuite, in carcere perché la sua professione deve essere un aiuto a coloro che in vari modi si pongono contro lo stato, ma anche per le guardie che sono al servizio dello stato. Fuga a San Vittore che diviene un inquilino a tempo indeterminato, tra l’incriminazione per appartenere ad Azione Rivoluzionaria e poi a Prima Linea. Carcere a confronto ieri/oggi: la descrizione delle celle d’isolamento; del rancio; del bugliolo; del sovraffollamento sempre presente; la sveglia; la perquisizione della cella; la corrispondenza in entrata ed uscita sottoposta a controllo; le domandine per qualunque cosa a cui poter accedere; l’autoerotismo; il consumo di playgil; ma sicuramente la solidarietà su tutto, quella solidarietà elemento importante in una comunità chiusa come il carcere, ed a quell’epoca, le discussioni politiche. Il tutto per dire che il carcere è uno zoo umano e l’aspettativa è riposta verso la decorrenza termini.
Un viaggio attraverso i carceri italiani da Volterra, con la rivolta,a Porto Azzurro dove si sta quasi bene, ai carceri della Toscana come Pisa molto simile al Sud America. Fuga sottoposto ad un processo, macchina del fango, costruito sulla credibilità di due pentiti. Su tutta questa vicenda avrà importanza particolar il rapporto con Mario Dalmaviva, uno dei tanti imputati/condannati della cosiddetta operazione 7 aprile, il quale metterà al servizio di Fuga le sue vignette, che di satirico avranno ben poco, se non il mettere in discussione il pianeta carcere. Possiamo dire che l’esperienza di Fuga, e tanti altri, ha lasciato il segno a tal punto che sono numerosi gli avvocati che mettono le proprie conoscenze e capacità al servizio di chi è colpito dai provvedimenti repressivi, anche se l’auspicio, è che finalmente potremmo assistere di nuovo ad un movimento conflittuale che sostiene i propri compagni.