di Mauro Gervasini

[È in libreria Divine Divane Visioni di Filippo Casaccia aka Dziga Cacace, Odoya, 2017, pp.462, € 24,00. Ne anticipiamo l’introduzione scritta da Mauro Gervasini, critico cinematografico e direttore del settimanale FilmTV]

Con un nome tra il serio e il faceto già di suo, Dziga Cacace si esercita da anni nella critica cinematografica: com’è noto terza professione di tutti, seconda per chi non ama il calcio. Lo fa però tenendo fede al vecchio detto Nomen omen, che nel caso della sua identità presunta traccia una duplice missione. Il situazionismo formalista di Dziga, esteta sopravvissuto alla prospettiva Nevskij, e la pratica dei bassifondi di Cacace, un tipo oscuro che pare uscito da una commedia di Mariano Laurenti. A differenza del dottor Jekyll, ignaro di trasformarsi nottetempo in mister Hyde, Cacace è perfettamente consapevole di essere anche Dziga, e viceversa. Anzi, diciamo pure che la cosa si fa più intrigante quando nella medesima recensione si scorgono echi di entrambe le voci. Come ad esempio in quella dell’“immortale capolavoro” di Sergej M. Ejzenštejn, La corazzata Potëmkin, restituito al suo legittimo e consacrato valore da Dziga senza che Cacace se ne possa lamentare più di tanto. A volte, lo confesso, si spera nella prevalenza del secondo, che nonostante l’etimo napoletano ha un curioso intercalare genovese. Stupendo in questo senso l’incipit de Le due sorelle: «L’attacco del film avrà sicuramente provocato spontanee polluzioni in quei fanatici che s’esaltano con tutte quelle fregnacce sullo spettatore voyeur che guarda un personaggio voyeur, a sua volta osservato – non visto – da qualche altro voyeur che bla, bla e altre belinate discorrendo». Sono passato anch’io attraverso le “belinate” qui messe alla berlina e vale la pena continuare a dissacrare, nonostante la critica cinematografica, come la nostalgia, non sia ormai più quella di un tempo: conta sempre meno, è inascoltata, soprattutto non convince più nessuno ad andare al cinema e questo purtroppo lo confermano le cifre disastrose se si guarda al gradimento di pubblico dei cosiddetti film d’essai. Nel libro di Dziga Cacace però non si aprono dibattiti, non si rifondano correnti estetiche, non si fa storiografia, non si vanno a comporre campioni statistici per indagini sociologiche. No, semplicemente si prendono i film e ci si sbatte contro con il corpo, i sensi, a volte il cuore. Sorprende nella narrazione del Nostro questo essere colto dalla visione quasi suo malgrado all’improvviso, magari facendo zapping nella notte o ritrovando qualcosa d’inatteso su una VHS (preistoria, lo so, ma tant’è) che avrebbe dovuto registrare tutt’altro – è il caso di Un orfano chiamato San Mao di un anonimo cinese caro a Enrico Ghezzi –, oppure acquistando una cassetta a caso dall’edicolante di Bonassola. Lo stupore di Cacace (o Dziga, qui si confondono di nuovo) è contagioso. Frequentatore abituale (in gioventù) del leggendario Cineclub Lumière di Genova, nel capitolo Lo sguardo mutilo colleziona recensioni brevi, quasi in forma di diario, con annotazioni che riportano anche il critico con i piedi per terra (non si sarà mica assopito guardando questo piuttosto che quello? Boh…). In tutto ciò, esercitando in modo così forsennato la lettura trasversale dei film, capitano anche stroncature che meriterebbero duelli all’alba (diciamo che De Palma non è il suo regista preferito, e quando ho letto la rece de La presa del potere di Luigi XIV «di un pesantissimo Roberto Rossellini» mi è venuto un colpo…) ma ovviamente fa parte del gioco. D’altro canto la schiettezza del Cacace a volte provoca più invidia che rabbia. Per dire: la recensione di Bus in viaggio di Spike Lee inizia così: «Dio che ciofeca». Lo penso anch’io ma non so se avrei potuto scriverlo. Eccolo, il senso di un’operazione che trasuda competenza e paradossale buonsenso: fare della critica cinematografica un esercizio (anche) liberatorio.
Dziga Cacace ci riesce. Anzi: ci riescono.