di Sandro Moiso

Giorgio de Santillana, Le origini del pensiero scientifico. Da Anassimandro a Proclo 600 A.C. – 500 D.C., Adelphi Edizioni, Milano 2023, pp. 438, 15 euro

In tutto il tempo moderno, rivoluzione ha significato l’irreversibile. Ha portato con sé la vera Storia. Che è poi la fuga in avanti. Pure c’è un vecchio senso che ci è ancora nascosto, noto ai rivoluzionari autentici: il ritorno alle origini. ( Giorgio de Santillana – Riflessioni sul Fato)

Le violente scintille che scoccarono tra i reofori della nostra dialettica ci hanno appreso che è compagno militante comunista e rivoluzionario chi ha saputo dimenticare, rinnegare, strapparsi dalla mente e dal cuore la classificazione in cui lo iscrisse l’anagrafe di questa società in putrefazione, e vede e confonde se stesso in tutto l’arco millenario che lega l’ancestrale uomo tribale lottatore con le belve al membro della comunità futura, fraterna nella armonia gioiosa dell’uomo sociale. (Amadeo Bordiga, “Considerazioni sull’organica attività del partito quando la situazione generale è storicamente sfavorevole”, 1965)

La ripubblicazione da parte delle edizioni Adelphi di Le origini del pensiero scientifico di Giorgio de Santillana, apparso per la prima volta nel 1961 e tradotto in italiano nel 1966 nella versione di Giulio De Angelis riproposta anche per l’attuale edizione, permette non soltanto di affrontare un tema importante per la riflessione filosofica e scientifica, ma anche di riscoprire uno scienziato e filosofo cui, ad esempio, sia Wikipedia che l’Enciclopedia Italiana Treccani concedono uno spazio fin troppo esiguo, al limite dell’insignificanza. Oltre a ciò, tale riscoperta, potrebbe condurre ad una riflessione su quanto il pensiero e le conoscenze antiche siano state rimosse, se non in alcuni casi negate, per fare spazio alla “Ragione” illuministica e alla scienza applicata e strumentale successiva alla “Rivoluzione” industriale.

In fin dei conti i due spunti di riflessione si ricollegano poiché la negazione delle conoscenze scientifiche anteriori alla rivoluzione scientifica avvenuta a cavallo tra XVI e XVII secolo è proprio ciò che il filosofo della scienza di origini italiane ha contribuito a smontare con tutta la sua opera. Non tanto per quanto riguarda le “scoperte” effettuate quanto, piuttosto, per la concezione che per troppo tempo ha fatto sì che, tra gli antichi, soltanto ai greci fosse riconosciuto la stessa capacità di osservazione e astrazione che poi avrebbe caratterizzato la “scienza” moderna.

Non sappiamo quasi niente del pensiero, vuoi religioso vuoi scientifico, degli uomini dell’Età della Pietra. Ma dobbiamo indubbiamente a quegli ingegnosi tecnologi i principi fondamentali del trattamento della materia e dell’energia: suscitar il fuoco nel focolare, scoprire il principio della leva per lo scaglialancia, sfruttare la tensione e la torsione per far sfrecciare il dardo nell’aria, chiudere la trappola con uno scatto, fissare la scure al manico. Poiché le prime cose son sempre le più difficili, guardiamoci bene dal ritenere queste conquiste qualcosa di naturale. Ancora meno ovvie sono le conquiste della rivoluzione neolitica e dell’Età del Bronzo: la semina del grano, la fonditura, la tessitura, l’arte del vasaio, e tutti i mestieri. E neppure è facile capire come venne agli uomini l’idea di elevare piramidi a gradini quadrangolari che fungevano da abitazione ai loro dei. Solo culture altamente sviluppate possono esser state capaci di compiere imprese del genere. Gli umanisti e i filologi che si occupano di storia possono ben considerarle conquiste rudimentali, gli ovvi inizi di una società ancora legata alla terra. A costoro potremmo opporre ciò che aveva da dire Galileo, che di queste cose se ne intendeva: «E parmi che molto ragionevolmente l’antichità annumerasse tra gli Dei i primi inventori dell’arti nobili, già che noi veggiamo il comune de l’ingegni umani esser di tanta poca curiosità … L’applicarsi a grandi invenzioni, mosso da piccolissimi principii, e giudicar sotto una prima e puerile apparenza potersi contenere arti maravigliose, non è da ingegni dozinali, ma son concetti e pensieri di spiriti sopraumani».
Dunque, niente di molto «primitivo» in tutto ciò. Un tempo gli studiosi davano per scontata l’identità del nostro passato con i «selvaggi» contemporanei che si astengono ostinatamente dalla produzione del cibo e quindi sono stati schedati sotto la voce «Età Paleolitica». Il «primitivo» degli studiosi ottocenteschi era semplicemente «pre-logico», un fanciullo che raccontava a se stesso storie ingenue, che noi ascoltiamo con divertita condiscendenza. La scala del Progresso partiva di lì1.

Giorgio de Santillana (1900-1974) prende spunto da colui che è considerato il fondatore del moderno metodo sperimentale scientifico per tornare a quei secoli, troppo spesso considerati oscuri, durante i quali la specie, nel muovere coscientemente i primi passi sulla superficie terrestre, elaborò le sue capacità logiche e razionali, ben prima che il pensiero borghese, di origine rinascimentale e illuminista, dividessero le età del mondo tra quelle considerate razionali e quelle irrazionali o primitive, insieme alle culture che ne avevano costituito la manifestazione epifenomenica.

Se, infatti, la critica illuministica della religione aveva un reale fondamento politico, l’estensione della critica alla superstizione che ne reggeva ancora la funzione sociale a tutte le conoscenze che avevano accompagnato la crescita delle società umane precedenti e “altre” finiva infatti col condannare all’oblio, senza possibilità di appello, non soltanto le forme prevalentemente folkloriche di tante conoscenze tradizionali, ma anche, e forse prevalentemente, quelle che avevano formato il substrato conoscitivo della resistenza comunitaria all’emersione del capitalismo mercantile e della sua “scienza” (in cui iniziava ad esser considerata come tale anche quella “economica”) come forma dominante di indirizzo della produzione e riproduzione sociale. Dando così inizio a una prima e definitiva cancel culture, ben più radicale e totalizzante di quella ritenuta attualmente tale.

Una trasformazione che era iniziata proprio nello stesso periodo della nascita e dello sviluppo delle moderne pratiche scientifiche che, in età rinascimentale dopo aver puntato menti e cannocchiali verso l’universo che circondava un pianeta che sempre meno avrebbe costituito il centro del cosmo creato da Dio per l’Uomo, avrebbero iniziato a stabilire, sulla Terra, precisi e più saldi confini nazionali, proprietari, sociali e conoscitivi. Confini che iniziavano a segnalare l’appropriazione privata o di classe non soltanto delle ricchezze materiali socialmente prodotte, ma anche di quelle immateriali ricollegabili alle conoscenze necessarie per la gestione dell’ambiente e delle società2.

Una modificazione del “potere conoscitivo” che oltre a ridurre enormemente, all’interno delle società “occidentali”, il potere che le donne si erano conquistate all’interno delle comunità di villaggio3, si era riappropriato del potere giudicante dell’Inquisizione e dei tribunali ecclesiastici, “razionalizzandolo” e trasformandolo in un sistema di leggi che, una volta liberato dall’ingombro di carattere religioso, poteva presentarsi come “libero”, “indipendente” e più equo, ponendo il cittadino non più davanti al giudizio di Dio, ma a quello dello Stato (che sostituiva il primo nella funzione della distribuzione del premio e/o del castigo)4.

Sarà proprio de Santillana, in un’opera realizzata con Hertha von Dechend, a ricollegare le rivoluzioni scientifiche del XVI secolo, senza mai nominarle, con quelle operate millenni prima dai nostri antenati, quando le conoscenze del cielo, delle costellazioni, dei loro movimenti stagionali e degli equinozi, per dirla in breve “astronomiche”, costituivano un elemento importante per l’orientamento durante i viaggi e l’organizzazione della produzione sociale5. Ma la vera novità nell’opera di de Santillana e von Dechend era costituita dal fatto che il “mito” e i miti perdevano la loro connotazione primitiva e “irrazionale” per rientrare, invece, in una forma razionalizzata di conoscenza scientifica che, in età spesso precedenti l’invenzione della scrittura, poteva essere memorizzata e trasmessa oralmente da una generazione all’altra. Una forma di conoscenza, priva di copyright e brevetti “scientifici”, che apparteneva alle comunità che l’avevano prodotta. Come avrebbe affermato la von Dechend nella nuova introduzione all’edizione tedesca del 1993:

De Santillana era approdato alla storia delle scienze esatte e alla storia delle idee partendo dalla fisica, e dopo essersi occupato a fondo della filosofia della natura nell’antichità. Io ero partita dall’etnologia storico-culturale, e più precisamente da Leo Frobenius. Avevamo in comune un profondo disagio nei confronti del modo dominante di interpretare e di giudicare tradizioni che non si erano espresse nella «lingua» a non famigliare, e cioè nell’idioma scientifico coniato dai Greci, in ragione del quale le nostre scienze portano nomi greci e i nostri concetti fondamentali – da «assioma» a «ipotesi», da «prassi» a «simmetria» e a «sistema» – sono vocaboli greci […] proiettando così all’indietro fino alla Grecia la concezione del mondo divenuta usuale a partire da Newton.

Per continuare poi ancora ricordando che:

Delle numerose cause del nostro disagio ne citeremo qui una soltanto: l’incompatibilità dei risultati matematico-tecnici che si possono dimostrare, in quanto si possono misurare, per le culture antiche, con il livello delle corrispondenti tradizioni «mitiche». Per fare un esempio specifico, l’incompatibilità delle piramidi e della loro disposizione esatta con l’apparente chiacchiericcio dei testi delle piramidi e del libro dei morti. Due sono le spiegazioni possibili: o gli Egizi non hanno costruito le piramidi […] oppure le moderne traduzioni dei testi sono fondamentalmente sbagliate. Il fatto che parecchi dei nostri contemporanei preferiscano impelagarsi in ipotesi di architetti extra-galattici piuttosto che ammettere l’esistenza di Egizi dotati di competenze eccezionali dimostra chiaramente come una semplicistica fede nel progresso e una storiografia improntata a un evoluzionismo volgare ci rendano più difficoltoso l’accesso alle civiltà antiche6.

Giorgio de Santillana era nato a Roma il 30 maggio del 1900 e avrebbe lasciato l’Italia nel 1936 a seguito delle crescenti restrizioni imposte dal regime agli accademici di origine ebraiche. Negli Stati Uniti svolse tutta la carriera successiva al MIT di Boston, dove sarebbe diventato noto come «the cat who walks alone» per l’abitudine di fare passeggiate notturne nel campus, probabilmente per scrutare quella volta celeste che così tanto avrebbe indirizzato i suoi studi. Nel 1955 pubblicò The crime of Galileo, un’indagine approfondita della crisi del Rinascimento e della condanna dello scienziato, ma nel frattempo si era imbattuto nelle riflessioni di Giordano Bruno per il quale il contenuto della filosofia egizia, in sostanza, non era altro che “astronomia”.

Dopo l’incontro con Hertha von Dechend a Francoforte nel 1958, le sue ricerche subirono una brusca virata verso un campo di studi che lo attraeva da tempo.

Per uno storico che ha esplorato l’inesorabile affermarsi del razionalismo scientifico, si tratta forse della massima sfida speculativa: risalire alle origini remote della scienza, verso un periodo anteriore all’invenzione della scrittura, di cui rimane un materiale documentario insolito, fatto di una prodigiosa abbondanza di miti e leggende accumulate nel corso dei secoli, le cui tracce sopravvivono in forme eterogenee […] Miti e leggende di provenienza diversa, in molteplici varianti, spesso incongrue, e per loro natura ostili al concetto e refrattarie alla formalizzazione.
[…] La sua «fuga verso le antiche età» (come descriveva le sue ultime ricerche nella conferenza di Palazzo Torlonia nel 1966) non è una semplice fuga saeculi, ma la ricerca di una visione sinottica in cui occorre complettere tutti i livelli dell’essere7.

Le idee espresse da de Santillana e von Dechend nel Mulino di Amleto sono molto ardite e soltanto oggi possono, forse, essere comprese appieno, in un momento in cui il declino dell’Occidente e delle sue cosmogonie politiche, economiche e scientifiche si fa sempre più evidente. Motivo per cui la convinzione dei due autori dell’esistenza di conoscenze astronomiche avanzate già in epoca neolitica, può fare il paio con l’attuale scoperta del peso del pensiero e dell’agire coloniale sull’emarginazione delle culture e delle società “altre”, sottomesse e definite primitive per pure esigenze di carattere imperialistico e di dominio e sfruttamento economico.

Fatto sta che, secondo de Santillana, queste conoscenze astronomiche avanzate erano divenute già di difficile interpretazione nella civiltà egizia e babilonese, e l’astrologia ne era solo una tardiva degenerazione […] Le grandi idee cosmologiche sembrano fiorire soprattutto tra nomadi e navigatori e, tra popoli che non possedevano ancora una scrittura, e venivano trasmesse per via unicamente verbale e mnemonica, in un linguaggio intessuto di storie e altamente tecnico, che pur essendo di natura non matematica, era tuttavia dominato, se non ossessionato, dalla precisione (perché ciò che non è esatto è ingiusto). Secondo de Santillana la perdita di questo tesoro di conoscenze arcaiche […] sarebbe essenzialmente dovuta a «due grandi sciagure nella storia». La prima avvenuta quando l’uomo abbandona il nomadismo e si mette a coltivare la terra. La seconda, quando l’uomo ha inventato la scrittura. Con il suo avvento, intorno al 4000 a. C., si forma «una classe in grado di fissare i dati e conservarli per farne uno strumento di potere. La scrittura nasce fondamentalmente come contabilità… con la sua invenzione cessa il pensiero e inizia l’amministrazione»8.

Sicuramente l’invenzione della scrittura segna l’atto di nascita delle società divise in classi, mentre l’ipotesi di una scienza “diversa” da quella affermatasi in Occidente dal XVI secolo ad oggi non è estranea nemmeno al pensiero scientifico contemporaneo.
Infatti, come ricorda Eugene P. Wigner, vincitore del Premio Nobel per la fisica nel 1963, ricostruendo il percorso della sua formazione scientifica a Princeton, fu forte la confusione quando qualcuno gli manifestò le sue perplessità riguardo al fatto che, nello scegliere i dati su cui verifichiamo le nostre teorie, operiamo una selezione alquanto ristretta.

«Se costruissimo una teoria su fenomeni che trascuriamo e trascurassimo invece alcuni dei fenomeni che attirano la nostra attenzione, non arriveremo forse ad un’altra teoria che, pur avendo poco a che fare con la precedente, spieghi altrettanti fenomeni di questa?». Bisogna ammettere che non abbiamo alcuna certezza che non possa esistere una teoria cosiffatta9.

Da cui consegue, sempre secondo il Premio Nobel, che “le leggi di natura sono tutte proposizioni condizionali, e che si riferiscono soltanto a una parte minima della nostra conoscenza”10.

E’ un pensiero radicale quello di de Santillana, radicalismo che forse è alla base della scarsa considerazione che, come si è affermato all’inizio, ne ha ridotto le note biografiche su Wikipedia o sull’Enciclopedia italiana, ma che può essere ancora foriero di interessanti e utili riflessioni, anche per chi non si interessi direttamente di storia della scienza e del pensiero scientifico. Ed è forse questo il motivo per cui può rendersi necessaria la lettura a quasi sessant’anni dalla sua prima pubblicazione italiana del saggio qui “recensito”: Le origini del pensiero scientifico. Da Anassimandro a Proclo 600 A.C. – 500 D.C. Saggio in cui si rivela centrale, proprio per l’attinenza con quanto fin qui riportato, il sesto capitolo, L’universo del rigore (pp. 122-147), dedicato a Parmenide di Elea, una colonia greca dove il filosofo nacque intorno al 525 a. C. Oltre ad essere il promulgatore di un codice di leggi per cui, per generazioni, gli Eleati furono soliti raccogliersi una volta l’anno per riconfermare la loro fedeltà alla costituzione di cui era stato il promotore,

per caso sappiamo anche, attraverso testimonianze frammentarie, che dette contributi importanti alla geometria e all’astronomia; classificò le figure geometriche; insegnò a riconoscere nella Stella del Mattino e nella Stella della Sera (Lucifero e Vespero) un unico pianeta; delimitò sul globo terracqueo le cinque zone in cui è suddiviso dai tropici e dai circoli artici; se poi si deve credere a Teofrasto, che è il nostro più autorevole informatore, fu lui, primo tra i pitagorici, a proclamare la sfericità della Terra e la teoria che la Luna brilla di luce riflessa. Nonostante questi grandi contributi scientifici la sua gloria deriva da un campo diverso: è famoso come inventore della implicazione logica11.

Scrisse una sola opera i versi, intitolata Della Natura, suddivisa in due parti, una «Via della Verità» che tratta delle necessità del pensiero in se stesso, e una «Via dell’Opinione» che sembra dovesse costituire un’ambiziosa cosmogonia unita a una teoria fisica, anche se di questa seconda parte sono sopravvissuti solamente frammenti così miseri da renderne impossibile la ricostruzione del piano generale. Così, come afferma ancora de Santillana: «Il poema è stato descritto come “ispirato dal rapimento della logica pura” e come il primo testo filosofico in senso moderno, ma la sua diretta attinenza al pensiero scientifico ci sembra sia stata trascurata»12.

In realtà, anche se la «Via della Verità» venne consacrata come «fondamento della metafisica», a causa del fatto che molti suoi contemporanei dovevano aver pensato che a quell’uomo fosse stato concessa, nel trattare dell’Essere e del Non-Essere, la visione di cose inesprimibili,

vi sono tuttavia prove innegabili del fatto che Parmenide, affrontato sul suo terreno, appartiene a buon diritto anche alla scienza. Se interpretiamo il termine “Essere” non come una misteriosa potenza verbale, ma come una parola tecnica che designa qualcosa che il pensatore aveva in mente ma non poteva ancora definire, e sostituiamo ad esso una x nel contesto dell’argomentazione di Parmenide, ci sarà facile vedere che vi è un altro concetto, e solo uno, che può essere messo al posto di x senza dar luogo a contraddizioni in qualsiasi punto del testo; quel concetto è il puro spazio geometrico (per designare il quale mancava ai Greci una parola, conoscendo essi solo termini relativi come “luogo”, “aria”, “respiro”, “vuoto”). Inoltre, esso è costruito gradualmente, usando il principio di indifferenza o ragion sufficiente, che già era noto ai predecessori naturalisti di Parmenide; ma esso è ora applicato per la prima volta coscientemente come strumento fondamentale della logica scientifica, mentre Platone e Aristotele discutono l’Essere con strumenti logici diversi e tutt’altro che scientifici13.

Fermiamoci qui, soltanto per notare che de Santillana riesce a cogliere e sottolineare un momento fondamentale della perdita delle conoscenze scientifiche precedenti la civiltà classica e come questo sia forse la causa principale della riduzione a “filosofia” di ogni precedente conoscenza tecnica.
Dando inizio a quel “trionfo” della cultura classica umanistica che ancora ci perseguita e limita ogni nostra reale prospettiva di conoscenza del passato e del futuro (e delle loro possibili culture e conoscenze).

Conoscenze tutt’altro che mesmeriche o metafisiche, ma che soltanto l’ignoranza dei posteri, già all’epoca, ha potuto relegare a “misteri” e culti misterici.
Così come, tutto sommato, la scienza del capitale, ha cercato di fare con tutte le conoscenze un tempo utili alla conduzione della società umana e, troppo spesso, relegate a credenze, miti e aspetti folklorici inadatti alla conoscenza necessaria allo sviluppo degli interessi materiali dello stesso.

Ma questa considerazione finale su un grande storico della scienza e della conoscenza e la sua opera “eccessiva”, che lo ha relegato a camminare da solo, o quasi, nella notte della ricerca storica, non sarebbe completa se non si cogliesse in tutto ciò anche la condanna di coloro che, nel pensarsi “critici” del capitale e del suo modo di produzione e della sua scienza, finiscono col trattare i popoli e le conoscenze altre con la stessa logica da “sbaracco”, accettando di fatto l’irrazionalismo senza essere capaci,invece di cogliere le logiche e la profonda razionalità connesse a quelle stesse conoscenze. Scambiando la scienza con la magia e riducendo le competenze cosmologiche ad astrologia da quattro soldi.


  1. G. de Santillana, Le origini del pensiero scientifico. Da Anassimandro a Proclo 600 A.C. – 500 D.C., Adelphi Edizioni, Milano 2023, pp. 16-17.  

  2. Su tali argomenti, si vedano: C. Maier, Dentro i confini. Territorio e potere dal 1500 ad oggi, Giulio Einaudi Editore, Torino 2019 e R. Kurz, Ragione sanguinaria, Mimesis Edizioni, Milano-Udine 2014.  

  3. Si vedano ancora: M. Zucca, Donne delinquenti. Storie di streghe, eretiche, ribelli, bandite, tarantolate, Edizioni Tabor 2021 e S. Federici, Calibano e la strega. Le donne, il corpo e l’accumulazione originaria, Mimesis Edizioni, Milano-Udine 2015.  

  4. Si vedano in proposito: R. Mandrou, Magistrati e streghe nella Francia del Seicento, Laterza Editore, Bari 1971 e I. Mereu, Storia dell’intolleranza in Europa, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1979.  

  5. G. de Santillana, H. von Dechend, Il mulino di Amleto. Saggio sul mito e sulla struttura del tempo, Adelphi Edizioni, Milano 1983 (prima edizione americana 1969).  

  6. H. von Dechen, Prefazione all’edizione tedesca in G. de Santillana, H. von Dechen, op. cit., edizione riveduta e ampliata, Adelpi 2000, pp. 12-13. Sull’influenza rimossa delle culture egizie e africane sul quella cultura si veda ancora M. Bernal, Atena nera. Le radici afroasiatiche della civiltà classica, il Saggiatore, Milano, 2011. Per la provenienza “extra- galattica” delle conoscenze degli antichi si vedano le numerose opere di Peter Kolosimo, pseudonimo di Pier Domenico Colosimo (1922-1984), all’epoca giornalista di area marxista-leninista e corrispondente del quotidiano «l’Unità». L’eccesso di scrupolo “progressista” lo portò a diventare uno dei maggiori esponenti dell’archeologia misteriosa e della teoria degli antichi astronauti. Per le sue opere di maggior successo la casa editrice Sugar creò un’apposita collana “Universo sconosciuto”. Dal 1960 si era avvicinato al maoismo e si occupò anche di astronautica, sessuologia, parapsicologia ed esobiologia.  

  7. M. Sellitto, La scienza, prima del mito (e dopo) in G. de Santillana, H. von Dechend, Sirio. Tre seminari sulla cosmologia arcaica, a cura di S. D’Onofrio e M. Sellitto, Edizioni Adelphi, Milano 2020, pp. 158-159.  

  8. M. Sellitto, op. cit., pp. 161-162.  

  9. E.P. Wigner, The Unreasonable Effectiveness of Mathematics in the Natural Sci­ences, conferenza tenuta alla New York University nel 1959 ora in E.P. Wigner, L’irragionevole efficacia della matematica nelle scienze naturali, Edizioni Adelphi, Milano 2017, p. 12.  

  10. E.P. Wigner, op. cit., p. 21.  

  11. G. de Santillana, Le origini del pensiero scientifico, op. cit., p. 123.  

  12. Ivi, p. 124.  

  13. ibidem, pp. 130-131.