di Luca Cangianti

Sandro Moiso, Giulia Strippoli, Riti di passaggio. Cronache di una rivoluzione rimossa. Portogallo e immaginario politico 1974-1975, Mimesis, 2024, pp. 184, € 18,00.

La rivoluzione portoghese ha avuto i colori dei tramonti di Lisbona, la struggente bellezza delle nuvole che corrono instancabili sul Tago. Il suo congedo fu accompagnato dalle grida dei gabbiani che inseguono una nave e si spengono lentamente all’orizzonte. Quegli eventi fecero intravedere una possibile alternativa di vita nell’Europa meridionale dove la Grecia si era da poco liberata dalla dittatura dei colonnelli, l’Italia era ancora scossa dal sisma sociale iniziato alla fine degli anni sessanta e la Spagna assisteva all’agonia del franchismo.
Nell’opinione pubblica portoghese il giorno della liberazione dal fascismo – il 25 aprile del 1974 di cui quest’anno ricorre il cinquantesimo anniversario – è una ricorrenza più consensuale di quanto non sia il 25 aprile del 1945 in Italia: è il trionfo dello stato di diritto sopra l’oscurantismo dell’Estado Novo, la vittoria della democrazia parlamentare, dei diritti civili e dell’integrazione europea sopra il sottosviluppo, la tortura e il colonialismo. La rivoluzione portoghese è stata anche questo, ma una sua parte fondamentale viene sottaciuta o relegata a una parentesi di momentanea follia, quasi una febbre di crescita, alla fine debellata con il colpo di stato liberal-democratico del 25 novembre 1975.

Per far riemergere la complessità e la ricchezza di quell’evento, da pochi giorni è in libreria Riti di passaggio, un’introduzione agile e godibile non solo dei diciannove mesi rivoluzionari, ma anche dell’immaginario politico che li accompagnò. Gli autori sono Giulia Strippoli – ricercatrice di Storia contemporanea all’Universidade Nova di Lisbona – e Sandro Moiso – redattore di “Carmilla”, nonché studioso di questioni belliche e di cultura nordamericana. In un primo saggio Strippoli tratteggia le caratteristiche del fenomeno storico: si inizia dalla contestazione corporativa di un provvedimento che penalizzava la posizione dei quadri medi e intermedi dell’esercito e si continua con uno strano colpo di stato libertario volto a metter fine a una guerra coloniale di tredici anni, ormai destinata alla sconfitta. I governi provvisori che seguono devono far fronte sia a vari tentativi controrivoluzionari di destra che all’esplosione della conflittualità sociale: i lavoratori entrano in sciopero per migliorare le loro condizioni di vita, gli abitanti delle baraccopoli occupano le case sfitte, i braccianti s’impadroniscono dei latifondi, i soldati si ribellano alle gerarchie ed esprimono istanze di contropotere all’interno delle caserme. In questo modo le forze armate diventano inutilizzabili ai fini della repressione del conflitto sociale; nascono organismi consiliari di doppio potere che esercitano una democrazia di base diversa dal parlamentarismo: organizzano asili nido, costruiscono case, gestiscono fabbriche, refettori, hotel, teatri e quartieri interi. Tutti i principali partiti politici, perfino quelli di destra, si dichiarano “socialisti” per godere di una qualche accettabilità sociale, anche se la reazione – appoggiata dal capitalismo atlantico ed europeo – si riorganizza intorno al Partito socialista, alla chiesa cattolica e ad alcune organizzazioni clandestine che cominciano a piazzare ordigni esplosivi in varie parti del paese. La situazione si fa insostenibile, una manifestazione di operai edili arriva ad accerchiare l’assemblea costituente sequestrando i deputati. Ormai l’alternativa è tra il passaggio a un nuovo assetto di potere rivoluzionario o il ristabilimento della disciplina militare mediante un colpo di stato controrivoluzionario. La seconda opzione si concretizza il 25 novembre 1975, senza che sia minimamente contrastata dal Partito comunista portoghese – che ne avrebbe avuto i mezzi. L’ordine è ristabilito e nel corso degli anni ottanta le conquista più avanzate della rivoluzione portoghese – di cui alcune inserite in costituzione – vengono cancellate nell’ambito di una classica democrazia capitalistica.
In un secondo saggio la ricercatrice analizza l’impatto che la rivoluzione portoghese ebbe nella vita della maggiore tra le organizzazioni dell’estrema sinistra italiana: Lotta continua. Questa dette ampia e approfondita copertura giornalistica degli eventi portoghesi mediante il suo quotidiano, aprì perfino una sua sede a Lisbona in Rua do Prior 41 e a organizzò manifestazioni di decine di migliaia di persone sia in Portogallo che in Italia. E qui interviene Sandro Moiso che, oltre al saggio introduttivo, inserisce nel volume un suo memoir. Questo permette al lettore di rivivere le emozioni e i sogni di tutti quei giovani italiani che in treno, in automobile e in aereo andarono in Portogallo «per veder sorgere un mondo nuovo». Nella lettura di queste pagine – a tratti liriche, mai retoriche o nostalgiche – abbiamo tutti vent’anni, viaggiamo in una Dyane, inspiriamo gli odori primaverili mescolati a quelli del baccalà e delle sardine alla brace, ci innamoriamo, assaltiamo l’ambasciata spagnola colmi di rabbia per i compagni baschi garrotati, mangiamo insieme ai lavoratori della Lisnave intorno a tavolate infinite, percorriamo Lisbona sui blindati dei militari rivoluzionari con il pugno al cielo e baci per tutti.
Scrive Moiso: «la rivoluzione è qualcosa che va oltre la mera vittoria. Sostanzialmente è una promessa e, spesso, non importa che sia mantenuta. Una rivoluzione vive mentre si compie. Come una divinità è frutto delle speranze degli uomini. Come una divinità invisibile si manifesta attraverso le loro azioni. Come una religione sarà sistemata solo più tardi, a parole. Come una religione può morire e scomparire per poi rinascere sotto altre spoglie.»

Chi nel profondo del proprio cuore, nelle tenebre di un presente di guerra, sfruttamento e umiliazione, spera in questa resurrezione laica, legga Riti di passaggio. Capirà che val la pena tener duro.