di Sergio Cimino

Ray Bradbury, Fahrenheit 451, Mondadori, 2023, pp. 180, € 12,50.

“Era una gioia appiccare il fuoco”, pensa Montag, nel noto incipit del romanzo di Ray Bradbury.
E quel fuoco non ha smesso di dardeggiare negli oltre settant’anni di vita di questo capolavoro.
Il corpo dei vigili, che nella realtà futura immaginata dallo scrittore americano, non si occupa più di spegnere gli incendi ma ha il compito di bruciare i libri, irradia la sua potente deflagrazione simbolica non solo in chi ha letto il romanzo, ma anche in coloro che ne hanno solo sentito parlare. La suggestione si alimenta delle immagini forti evocate dall’invenzione letteraria, prime fra tutte quelle degli storici roghi dei libri appiccati dai nazisti.

Nella parte di mondo autoproclamatasi Regno della libertà, lo schiacciamento interpretativo del romanzo su una chiave di lettura liberaldemocratica non stupisce.
Certo, in questi decenni, tra le analisi di Fahrenheit non sono mancate quelle che attraverso l’estremizzazione tipica delle distopie, hanno evidenziato gli aspetti maggiormente critici delle società capitalistiche occidentali. È il caso, ad esempio, del conformismo indotto dai sempre più pervasivi programmi televisivi. Nel romanzo, la televisione diviene una presenza costante nelle case, fino ad occupare intere pareti. L’ambizione più grande è quella di poter installare anche la quarta parete, creando nella propria abitazione qualcosa che si avvicina alla realtà virtuale. Attraverso un convertitore di frequenza, infatti, i personaggi televisivi si rivolgono direttamente al telespettatore, chiamandolo per nome. Le presenze sullo schermo divengono propri familiari, di cui si condividono senza sosta e senza fine, le vicissitudini più varie, dalle quali però è bandito qualsiasi senso compiuto. È l’intrattenimento totalizzante, qualcosa che, presente solo in germe al tempo di stesura dell’opera, va ascritta alla capacità predittiva di Bradbury.
Se l’analisi del romanzo viene allargata non solo al presente narrativo in cui sono collocati i personaggi, ma anche alle dinamiche storiche che lo hanno preparato, il risultato in termini di significanza politica dell’opera diviene molto più complesso, sia della sintesi liberal di facile presa, di cui si diceva al principio, sia di una disamina frammentaria dei singoli aspetti deteriori delle democrazie occidentali ad economia capitalistica, la cui carica critica potrebbe facilmente essere disinnescata nel considerare tali aspetti come elementi accidentali e quindi emendabili, di un sistema socioeconomico del quale non viene messo in discussione il primato.

Per procedere all’analisi larga di cui si diceva, punto centrale del dispositivo politico del romanzo è il lungo discorso che il capitano dei vigili del fuoco, Beatty, pronuncia in casa di Montag, cercando di fornirgli una base ideologica che prevenga quello che il suo superiore ha già subodorato come lo sviluppo di un pensiero critico foriero di una possibile ribellione.
Per raggiungere questo scopo il capitano Beatty è disposto a rischiare quello che normalmente non deve essere fatto: narrare la storia della loro professione, cosa che solo i capi ancora ricordano. Ma l’evoluzione della milizia, fino al compito istituzionale di distruggere i libri esistenti, è così connaturata con la storia tout court, che il passaggio a quest’ultima avviene senza soluzione di continuità.
Scopriamo così che il progresso tecnologico ha impresso una maggiore velocità ai processi sociali. Tutto ha cominciato ad andare più veloce. Il turbine, partito dai mezzi di trasporto e dai processi produttivi, si è esteso ai tempi di vita. I libri, le riviste, tutto ciò che richiede applicazione, viene ridotto a sintesi. Gli articoli ai soli titoli. Il condensato di opere complesse le ha rese accessibili democraticamente alla massa. Ciò aumenta anche la portata quantitativa delle informazioni a disposizione di ciascuno con il risultato che sotto la spinta di tutte queste sollecitazioni il pensiero viene disperso. A ciò si accompagna un progressivo discredito dell’attività intellettuale, che diviene solo un peso capace di far perdere tempo inutilmente. Gli studi divengono sempre più brevi e, quel che più conta, devono essere funzionali ai processi produttivi. Per marginalizzare l’attività intellettuale, un ruolo importante è svolto dal tempo libero, durante il quale tutto deve distrarre il pensiero. Diviene importante un costante stimolo a fare qualcosa. Assumono rilevanza le attività sportive, i consumi, l’ossessione degli spostamenti incessanti con le auto.
Un punto importante del racconto del capitano Beatty è quello relativo alla tutela delle minoranze. La strumentalizzazione della questione conduce a depotenziare qualsiasi posizione critica che possa condurre ad un turbamento sociale. Sembra di vedere l’uso cloroformizzante che viene fatto del politically correct ai nostri giorni.

E l’arte? La musica, la letteratura, il cinema, in un quadro siffatto, devono suscitare solo riflessi condizionati, “una reazione tattile alla vibrazione”.
Nella costante ricerca di non lasciare spazio al pensiero, persino eventi naturali come la morte devono essere occultati, con l’eliminazione dei riti funebri e la loro sostituzione con procedure industrializzate di polverizzazione dei corpi, affinché anche in quel caso sia allontanato ciò che potrebbe produrre angoscia.
Ecco perché al termine del racconto del capitano Beatty, la realtà in cui i vigili del fuoco hanno il compito di bruciare i libri, che è poi l’elemento maggiormente iconico del romanzo, viene ridotto ad un fatto quasi irrilevante.
Scopriamo infatti, che non vi è stato bisogno di alcuna legge liberticida per condurre alla proibizione dei libri. Ma che è stato lo svilimento dei libri e delle attività intellettuali su cui si è incentrata la narrazione del capitano, a renderli privi di importanza, detestati dalle masse. Solo dopo è intervenuta la legge, che ha ratificato una situazione di fatto.
Se la gran parte dei singoli punti toccati dal racconto del capitano Beatty agghiaccia per la familiarità con analoghi aspetti del nostro presente, quello che colpisce ancor più, è proprio la lucida consapevolezza della rilevanza che assumono le sotterranee (e sotterrate, dai mezzi di propagazione ideologica nelle mani della classe dominante…) dinamiche sociali nella spiegazione dei processi storici.
Ed in fondo, il mondo di Fahrenheit 451, cosa configura se non un quasi perfetto Regno della libertà?
Beatty ci fa sapere che persino un libro nelle mani di un vigile del fuoco può essere ammissibile. Almeno una volta nella vita, succede ad ogni milite del fuoco di sentire un certo prurito, che gli fa venire voglia di sapere cosa dicono i libri. Che si gratti allora. E scopra da solo che i libri non hanno proprio nulla da dire. Di modo che dopo questa scoperta, possa tornare ad essere uno dei custodi della pace spirituale. Uno di quelli che evitano di divenire come la famiglia di Clarissa McClellan. Eccentrici, che invece di chiedersi come una cosa sia fatta, si attardano ancora a chiedersi il perché venga fatta.

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