LorenzaAlmenoIlCane[Lorenza Ghinelli, che ogni tanto collabora a Carmilla (e per noi è un grande onore), ha avuto molti meritati riconoscimenti come scrittrice. Ha anche saputo evitare di gloriarsene e di adagiarsi sugli allori, cercando piuttosto di trovare nuove strade a lei congeniali. Una tra le più fruttuose si è rivelata quella della narrativa per ragazzi. Vi appartiene questo formidabile Almeno il cane è un tipo a posto, appena uscito da Rizzoli. Divertentissimo e, al tempo stesso, serissimo intreccio di vite di adolescenti, inquieti nell’intravvedere la soglia complicata dell’età adulta. Romanzo scritto con mano felice, da chi era palesemente felice nello scriverlo. Ne proponiamo due capitoli.]  (V.E.)

Celeste 

Chissà se il problema sono io. Me lo chiedo spesso.

Ogni volta che mia mamma studia il modo in cui mi vesto perde il sorriso e scuote la testa. In fondo basterebbe poco per accontentarla: indossa- re una gonna, farmi crescere i capelli, prendere le felpe della taglia giusta, anziché quelle larghissime che adoro. Se poi smettessi proprio di mettermele, le felpe, magari mi guarderebbe persino con amore.

Pure al babbo il mio stile non piace. Mi chiede sempre come diavolo mi concio; anzi, negli ultimi tempi ha smesso persino di chiedermelo. In casa mia le parole si misurano col contagocce.

Quello che è successo a Massimo nelle docce mi ha fatto pensare tantissimo. Se uno non vuole avere grane è bene che si adatti, che si conformi, e se non può meglio per lui che si renda invisibile. Be’, io non so se ce la faccio. Voglio dire, non posso scegliere cosa mi piace o come voglio essere; l’unica scelta che ho è se permettermi di essere come sono o se apparire come vogliono gli altri. Non mi sono mai piaciuti i vestiti e neppure le gonne; dentro mi ci sento goffa. Detesto essere guardata come se fossi una “cosa carina”, e tutti quei complimenti su quanto sono “signorina” vestita in un certo modo mi danno il voltastomaco. Io non voglio essere una signorina. Io sono Celeste. Allo stesso modo in cui Massimo è Massimo; se fosse più grosso o più alto non gli vorrei certo più bene. Insomma, se si vuole bene a qualcuno lo si accetta per com’è, e poche storie.

Però quando stanotte ho sentito i miei discutere e mamma piangere… Se la colpa è davvero mia forse dovrei sforzarmi di più ed essere come vorrebbero.

Ah, un’altra cosa. Mio babbo si chiama Giuseppe e mia mamma Maria. Io sono nata la vigilia di Natale. Per via di questa cosa, non c’è persona che io conosca che non faccia battute.

A me, da un po’ di tempo, non fanno più ridere.

Stefania

Pagherei oro per avere un corpo come quello di Celeste, ma col mio cervello piantato dentro e un bel paio di tette. Perché una cosa bisogna dirla: Celeste avrà pure un bel fisico, ma è piatta come una tavola da surf. E invece di valorizzare quel che ha, che è tanto, si ostina a conciarsi come un maschiaccio. Questa cosa mi fa ammattire, lo giuro.

In classe ha fatto amicizia con Massimo e quel nerd di Filippo, i soggetti meno cool di tutta la scuola. Formano un terzetto strambo, ma tra disadattati direi che se la intendono. La verità è che pagherei oro anche per sentirmi parte di qualcosa, pure di un gruppo ridicolo come il loro. Ma sono troppo grassa per permettermelo. E per favore, niente cavolate tipo “Il problema non sono i chili di troppo ma la percezione che hai di te”. Se avessi il corpo di Celeste avrei di me una percezione eccellente. Mi sento una balena perché sono una balena, e con Celeste in classe, che me lo sbatte continua- mente in faccia anche se non lo sa, dimenticarlo è impossibile.

E tra poco me la ritroverò anche a casa, perché ai miei è venuta la brillante idea di invitare la sua fa- miglia a cena. Mio padre e quello di Celeste sono amici dai tempi dell’università, e per non so quale oscura logica, il mio si aspetta che le stesse dinamiche si inneschino pure tra me e Celeste.

Come fa a non capire che sono diversa da lui? Lo stesso vale per mia madre, sia chiaro. Ha quarant’anni ma tutti dicono che ne dimostra dieci di meno, e io sono d’accordo. È fissata con la linea. È capace di andare avanti a pillole ed erbette neanche fosse una capra alpina, si ammazza di palestra e beve certi intrugli che se fosse nata nel Cinquecento l’avrebbero arsa sul rogo. Insomma, una figlia grassa è per lei una vera e propria tragedia. Ma siccome ingrassare sarebbe ancora più terribile, ai suoi occhi non sono la numero uno nemmeno come sciagura.

Se avessi il fisico di Celeste, saprei già cosa mettermi alla nostra cena: leggins blu elettrico leopardati, stretti stretti da bloccarmi la femorale, un maglione largo della Asos rigorosamente nero e un bel paio di sneakers della Vans. I miei capelli lunghi sono perfetti così.

E invece mi tocca infilarmi nei soliti jeans sformati taglia 48 e in una banalissima maglia nera.

Sono certa che persino Roberto, con tutto che è già in quinta, si accorgerà di Celeste. Non che Roberto mi faccia impazzire, ma è sempre meglio interessarsi a lui piuttosto che a… Insomma, c’è un tizio nella mia scuola che si chiama Vito. Anche lui ha qualche chilo di troppo, ma il peso è l’ultimo dei suoi problemi. Il primo è che è un bullo patentato. Lo odiano tutti. Eppure è l’unico a essersi accorto che non sopporto l’ora di nuoto. In genere fingo dolori di ogni tipo per saltarla, e se il prof non avesse il cervello annacquato, il mese scorso si sarebbe accorto che le mestruazioni non potevano essermi venute tre volte.

Un giorno Vito mi ha visto uscire dalla piscina in lacrime. Anche altri se n’erano accorti, ma a loro ho detto che avevo problemi a casa e sono rimasta sul vago; in fondo potevo piangere per qualsiasi cosa. Quando i miei compagni sono saliti sul pullman, è arrivato lui, mi ha allungato un fazzoletto e mi ha detto: “Anche a me non piace stare in quella pozzanghera”. E se n’è andato. Non gli ho neppure detto grazie. Però aveva gli occhi tristi, bui e molto profondi. Ecco, credo sia quella profondità ad aver- mi scombinata, perché ogni tanto a quegli occhi penso ancora.

Ma di problemi ne ho già tanti e Vito sarebbe proprio la goccia che fa traboccare il water, quindi è meglio se continuo a pensare a Roberto, e sapere che lui non mi guarderà mai neppure per sbaglio è per certi aspetti molto rassicurante. Almeno fino a quando non lumerà Celeste…

Ha ragione il nonno: “Chi ha il pane non ha i denti e chi ha i denti non ha il pane”. Pane… oddio… se ripenso a lei mi monta il nervoso, e se m’innervosisco mi viene fame.

E sono già al secondo pacco di Chipster.