di Simone Sarasso

PisCri.jpgGuglielmo Pispisa, Il Cristo ricaricabile, Meridano Zero, Padova 2012, pp. 464, euro 18

Guglielmo Pispisa, membro dell’ensemble narrativo Kai Zen, messinese, avvocato e narratore di gran classe (Città Perfetta, Einaudi 2005; La terza metà, Marsilio 2008) ha appena scritto un nuovo romanzo. Si chiama Il Cristo ricaricabile e quando si comincia leggerlo è difficile smettere. Arrivato in fondo avevo la testa piena di curiosità riguardo la storia, dovevo intervistare l’autore, discutere con lui faccia a faccia per scavare più a fondo.
Peccato che Guglielmo stia a Messina, cioè a 1305 km da casa mia (fonte Google Maps).
Grazie a Dio la tecnologia compie autentici miracoli (se notate un retrogusto d’incenso nel mio modo d’esprimermi è perché state già scivolando nell’atmosfera del romanzo…).
Ecco dunque il resoconto d’una serata su Skype a parlare di libri, destino, Gesù, apocalisse, Meridiani (con la “M” maiuscola) e aldilà.
Ingredienti: due scrittori e due bottiglie di birra, lo schermo d’un computer (anzi, due). Una volta azzerata la lontananza dalla banda larga, alla nostra proverbiale riservatezza di piemontese e di siciliano ci pensa la birra. Il cazzeggio invece ce lo mettiamo noi: in questo siamo sempre stati bravi.
Pure troppo.

Partiamo dalla superficie: su una copertina giallo sole campeggia un titolo viola, stampato di sbieco fra la costola e la facciata. Una scelta originale.
L’impostazione grafica della copertina è l’imprinting del nuovo corso della casa editrice, Meridiano Zero. Come tutte le scelte originali è fatta per dividere, si ama o si odia. Io la trovo geniale, i ragazzi della grafica, il collettivo Meat, e la dirigenza che ha dato loro il via libera hanno fatto una bella cosa, che dà anche grande riconoscibilità in libreria, il che per un editore che non ha la potenza di fuoco delle corazzate Mondadori o RCS è fondamentale.

E quel titolo, Il Cristo ricaricabile, ci mette il carico da undici.
Quello è responsabilità mia. Il Cristo ricaricabile è un titolo d’effetto, senza dubbio, ma credo che il romanzo dia quel che il titolo promette.

Perché ricaricabile, per Dio?
Perché il Cristo di questa storia è immerso in pieno nello spirito del tempo. Un tempo in cui tutto deve essere polifunzionale, pronto all’uso, facilmente spendibile, user friendly come un software ben riuscito, poco impegnativo come una scheda telefonica.

Che appunto è ricaricabile come il tuo Cristo. Un ragazzo qualunque, indifferente alla religione, al quale inaspettatamente appaiono le stimmate, e che comincia a far miracoli. Guarisce frotte di malati terminali senza sapere nemmeno lui come fa o perché, e naturalmente scatenando un putiferio. Il tutto mentre in una sottotrama gialla si seguono le tracce del misterioso omicidio di una ragazza che potrebbe avere una rilevanza cruciale… Ma che diavolo…?
Il punto è proprio questo. Che differenza c’è tra Cristo o, se vogliamo andare più sul generico, Dio e il diavolo? C’è davvero una differenza? E, ancora di più, importa a qualcuno, oggi? Che tipo di religione rimane a quelli che hanno celebrato da un pezzo la morte di Dio? Che valenza può avere ormai l’astrattezza dello spirito rispetto alla concretezza del corpo, dei suoi malanni, della decadenza della carne inevitabile ma dimenticata e omessa da una società in cui tutti devono essere sempre e solo più sani e più belli? Come viene Dio in televisione, più grasso? Ma, soprattutto, perché cavolo continuo a rispondere a una domanda facendo altre domande?

Come ti è venuta l’idea?
Molti anni fa, in un periodo, diciamo, non brillante della mia vita, ho fatto un sogno che coniugava alla perfezione il senso di impotenza che provavo e la mia megalomania fotonica: ho sognato di essere Gesù Cristo, o meglio, di venire scambiato per Gesù Cristo nella più scomoda delle situazioni in cui si possa immaginare Gesù Cristo, cioè durante il calvario. Io sapevo bene di non essere il nazareno, ma ero vestito come lui e tutti mi gridavano addosso e l’unica cosa che riuscivo a pensare era “Nessuno mi crederà mai se provo a dirgli che hanno sbagliato persona”. Mi ero rassegnato a stringere i denti e dimostrare un poco di stile per non far figure, ma per fortuna mi sono svegliato prima della crocifissione. Da allora mi è sempre rimasta in testa la domanda: cosa farebbe un tizio qualunque, uno che in Dio nemmeno ci crede, se tutti quanti lo scambiassero per il Salvatore? Ho dovuto scrivere un libro per rispondere.

Perché il nuovo Cristo è un surfista?
Perché è di moda, perché incarna bene lo spirito del tempo, scivolare sulle cose, farsele scivolare addosso. La dice pure Baricco una cosa del genere, se non sbaglio, e se la dice Baricco stai sicuro che…

È vera?
No, non necessariamente, ma mi farà sembrare intelligente.

Scherzi a parte…
Scherzi a parte, davvero mi sembrava che un surfista potesse rendere al meglio un diffuso desiderio, che mi pare di intuire in moltissimi, di mantenere un gioioso e inossidabile disimpegno davanti a tutto e tutti. Ma visto che pure la sociologia da quattro soldi non è esattamente la mia massima aspirazione, ho inserito un bug, ho alterato la linearità di questa equazione. Il mio surfista è un disadattato anche per quella che molti pensano sia la psicologia media dei surfisti. Perché Milhous (così si chiama il surfista) non è affatto un tranquillone lisergico e un po’ scoppiato tutto peace and love in stile Beach Boy di ritorno. Al contrario è un tipo ansioso, afflitto da immotivati sensi di colpa, in difficoltà con l’altro sesso, dominato dalle personalità forti dei suoi familiari, sempre vestito di nero in un mondo che è il tripudio dei colori sgargianti, fissato con la musica degli Smiths; per dire, se non è uno sfigato questo…

Gli Smiths, nel 2012?
Mi piacciono gli Smiths, hai qualcosa in contrario?

Sei un anziano (e io sono il bue che dice “cornuto” all’asino). Ma torniamo al romanzo: come dicevamo, c’è di mezzo anche una strana Notte Bianca romana e un delitto che sembra uscito da un plastico di Bruno Vespa.
Vedo che hai avuto la gentilezza di leggere almeno la quarta di copertina, grazie. In effetti buona parte degli avvenimenti cruciali della storia avvengono durante una apocalittica Notte Bianca rovinata da un interminabile black out e da un violento acquazzone che si abbatte su Roma.

La luce artificiale del capitale viene brutalmente spenta dal buio dell’anima?
Potremmo dire così se la vogliamo mettere giù dura, ma non mi piace essere troppo dogmatico-simbolico, e men che meno mi piacciono le opere a tema. Non è che prima di scrivere mi faccio l’elenco delle idee e convinzioni di cui voglio dare dimostrazione con la mia opera. Io scrivo la mia storia e basta, tanto poi quello che penso viene fuori comunque. Il black out durante la Notte Bianca a Roma per esempio è accaduto veramente, nel 2003. Certo, lo si può interpretare in chiave simbolica e moralistica, la notte che ha spento la presunzione del capitalismo a tutti i costi ecc., non che non ci abbia pensato, ma a me è servito soprattutto come spunto narrativo. Un ottimo spunto.

Hai appena usato l’aggettivo “apocalittico” e il sottotitolo del libro è “romanzo escatologico per vie scatologiche”. Siamo alla fine del mondo?
Non credo. Però è vero che già da alcuni anni, e non solo per la profezia Maya, si respira un certo languorino d’apocalisse, anche in vari testi letterari recenti. Penso all’ultimo James Frey, per esempio. È come se, per certi aspetti, il nostro mancato gradimento del mondo così com’è ci portasse a credere che un tale schifo non può che essere presagio della fine. Trovo che si tratti di una presunzione comune a tutte o, quantomeno, a molte epoche. Il nostro inguaribile egocentrismo di omuncoli megalomani e mitomani ci induce a credere che i tempi che viviamo debbano essere gli ultimi. Semplicemente perché non ci rassegniamo all’idea di un mondo che vada avanti senza di noi, non accettiamo che noi invecchiamo e moriamo e tutto il resto prosegue fottendosene di noi.

Che bella prospettiva ottimistica che hai.
Mah, sarà ‘sta crisi.

In chiusura, due buone ragioni per leggere Il Cristo ricaricabile.
È giallo, ha un buon odore e non contiene alcuna verità, ma neppure una sola bugia.

Sono tre (e mezza).
Miracolo!