di Alberto Prunetti

operazione massacro.jpg[Lancio una serie di segnalazioni dedicate alle nuove tendenze delle letterature latinoamericane. In quest’articolo comincio a prendere in rassegna le uscite editoriali della casa editrice La Nuova Frontiera. Prossimamente segnaleremo i titoli di altre case editrici specializzate in letteratura latinoamericana] A.P.

Sono già arrivati in libreria una serie di titoli capaci di mettere in discussione l’immagine stereotipa che molti possono avere della letteratura latinoamericana (o come si voglia dire: sudamericana o ispanoamericana, nessuna di queste etichette è priva di omissioni e ambiguità e per questo abbiamo preferito nell’incipit dell’articolo parlare di “letterature latinoamericane” al plurale). Troppo a lungo tanta letteratura latinoamericana, nel tentativo di rendersi disponibile al mercato europeo, si è cimentata in storie di colonnelli ultracentenari che combattevano migliaia di battaglie e poi si ritiravano in selve lussureggianti per dar vita a dinastie innumerevoli. Era un mondo carico di aggettivi e di umidità dominato dall’immaginario di García Márquez, un immaginario un tempo stimolante che nella ripetizione risulta infine stereotipo e che ha affievolito altre possibilità stilistiche sulle orme di un realismo magico pensato più con occhi “esotici” di europei che con quelli di chi abita, e vive, e scrive concretamente nell’America Latina. Sono proprio queste nuove tendenze, o questi percorsi alternativi al realismo magico, che stanno arrivando in traduzione italiana.

Partiamo proprio con la no ficción — che non a caso nasce in quella metropoli così lontana dall’immaginario di selve e mulatte che è Buenos Aires — o se vogliamo col giornalismo d’indagine, di cui l’esempio principe è quella Operazione massacro (pp. 256, euro 12, traduzione di Elena Rolla) scritta molti anni fa ormai da Rodolfo Walsh — uno dei trentamila desaparecidos argentini. Una corrente, quella del giornalismo narrativo, che in America Latina si è affermata ben prima che da noi e che conosce una discreta fortuna anche in Messico, dove il narcotraffico si racconta sempre di più con un originale mix di narrativa e giornalismo di denuncia. Una delle case editrici che si sta dando più da fare in Italia per aprire sponde editoriali a questa nuova letteratura ispanoamericana è appunto La nuova frontiera, che lancia una nuova collana editoriale dedicata al giornalismo narrativo, Cronicas, aprendo il catalogo proprio al classico di Rodolfo Walsh. Operazione massacro è un atto di denuncia che l’autore ha scritto sotto falso nome e con una pistola in tasca, intervistando negli anni Sessanta alcuni sopravvissuti a un atto di barbara fucilazione eseguito dalle forze armate argentine nel tentativo di reprimere una sommossa filoperonista. Un libro cominciato per caso, a partire da una voce che ha distolto l’autore da una partita a scacchi: “c’è un fucilato che vive”. Comincia per Walsh da quella voce un nuovo percorso letterario e esistenziale che lo porterà a scrivere capolavori scomodi giocandosi la pelle e cambiando spesso identità, spesso a un passo dagli eventi più importanti della sua epoca (sarà lui a scoprire il modo di decifrare un cablogramma della Cia nei giorni in cui lavorava per l’agenzia Prensa Latina – cubana ma fondata da giornalisti argentini come Jorge Ricardo Masetti, lui stesso destinato a una tragica fine — e riuscendo a sventare un piano yanqui di invasione di Cuba voluto dal presidente Kennedy). Per finire poi per abbandonare quasi la sua vocazione letteraria, passare nel peronismo di sinistra dei montoneros, entrare in clandestinità e essere il primo a denunciare la dittatura di Videla e compagnia brutta (con la Lettera aperta alla dittatura militare, un articolo di denuncia che anticipa di anni le indagini posteriori sulla dittatura argentina e che da solo vale l’opera completa di scrittori ben più illustri), finendo due giorni dopo sequestrato e ucciso. Un’opera da leggere per scoprire che ci sono scrittori che della scrittura hanno fatto un “violento oficio”, un mestiere violento, senza compromessi, con radicalità e tensione incommensurabili.

grazieperilfuoco.jpgQuella di Walsh non è l’unica voce critica che La nuova frontiera ha portato in Italia. All’inizio dell’estate è uscito Grazie per il fuoco (pp. 265, 17 euro, traduzione di Elisa Tramontin) di Mario Benedetti. Benedetti è uno scrittore uruguayano che la classe media argentina considera con un po’ di puzza sotto il naso. Infatti non era un patito di psicocanali, era un orientale di Montevideo e quando morì Pinochet disse letteralmente che era “un morto di merda”. Mi riferisco a una splendida poesia “in memoria” del massacratore dello stadio Nacional di Santiago che Carmilla pubblicò anni fa in occasione della sua ingiusta morte (morì infatti nel suo letto). Il libro ripubblicato da La Nuova Frontiera è un suo romanzo degli anni Sessanta, completamente lontano dalle coordinate del realismo magico. L’incipit del romanzo di Benedetti è un po’ lento, ma poi il meccanismo testuale si innesca e comincerete a entrare nei rivoli di una dinastia di potenti latinoamericani, di questa oligarchia liberale che da sempre fomenta colpi di stato e maneggia i giornali della propaganda autoritaria. Una famiglia in cui il bisnonno parlava di patria, il padre parla di nazionalismo progressista e il giovane figlio di rivoluzione. Ma tutto il potere è in mano al vecchio, un oligarca che appoggia ogni dittatura, piscia sulla rivoluzione e caga sulla democrazia, ma se c’è da guadagnar soldi si dichiara democratico. Anche perché, ammette il Vecchio tranquillamente, “per me democrazia è questo: scrivere tutti i giorni un editoriale di esemplare maturità e coerenza politica e telefonare immediatamente al capo della Polizia perché prenda a bastonate i miei operai in sciopero”. L’ombra del vecchio si distende sui suoi discendenti con tutto il peso dell’autoritarismo paterno, mettendo in discussione il concetto di famiglia e di paternità. Leggete questo libro: odierete il Vecchio con tutte le vostre viscere e penserete che Benedetti dovesse avere un dono profetico o precognitivo (ripesando alla morte di Pinochet ma anche a qualsiasi pornogeriocrazia delle nostre latitudini) quando scrisse le righe finali del romanzo: “Questo paese è una porcheria. La prova ce l’hai nel fatto che nessuno abbia avuto abbastanza coglioni da ammazzarmi. Prendi nota. Se un giorno qualcuno mi ammazzerà, allora può essere che questo paese abbia una via di uscita, abbia una salvezza. Non è nemmeno sicuro, ma almeno ci sarà una possibilità. Se, invece, muoio tranquillamente nel mio letto, assistito da quell’imbecille del mio medico, da quel deficiente del mio figlio, da quelle bellezze delle mie nuore, da quel brillante di mio nipote, da quel bugiardo del mio esecutore testamentario, e anche dagli occhi lucidi dei miei presunti legatari, se muoio tranquillamente per il mio ictus cerebrale o per il mio infarto personale, allora vorrà dire che questo paese è fregato, che ha perso per sempre i suoi riflessi.”

laballata.jpgL’ultimo libro che segnaliamo de La Nuova Frontiera è l’opera di un giovane scrittore messicano, che spinge l’indagine sul presente nella dimensione più narrativa, quasi nella fiaba: mi riferisco a La ballata del re di denari di Yuri Herrera (pp. 122, 15 euro, traduzione di Pino Cacucci). Il romanzo colpisce fin dalla copertina, con una delle splendide calaveras di José Guadalupe Posada, forse il più grande illustratore popolare messicano di ogni tempo. Una volta aperto, il libro di Herrera proietta il lettore per alcune ore (e parlo di ore perché il libro si legge in una notte di “trance criminale”) in una fiaba nera, dove un poveraccio che nella vita si guadagna cantando canzoni nelle taverne di un qualsiasi paese messicano entra alle dipendenze di un narcotrafficante col compito di improvvisare corridos per i personaggi che gravitano attorno al Re di denari. L’artista incrocerà i passi del re e della sua corte (il Dottore, il Giornalista, la Bimba e altri ancora) e ritroverà se stesso solo quando uscirà dal cerchio magico dei narcos. Il libro è secco, preciso e tagliente come un reportage e assieme onirico come una fiaba.

colombiano_intera.jpgPS: Approfitto di questa cornice latinoamericana per segnalare una pubblicazione che ha un legame — un cordone ombelicale reciso, viene da dire – con l’America Latina e che può richiamare, rovesciandolo di segno, la tematica della paternità sollevata dal romanzo di Mario Benedetti. Mi riferisco a Il Colombiano. Di adozioni e altre biologie (pp. 58, 8 euro) del viterbese Antonello Ricci, già autore di molte opere, che ha scritto e pubblicato con David Ghaleb editore il copione di un lavoro teatrale dedicato al tema dell’adozione. Si tratta di una sorta di fiaba, una fantasia letteraria messa in scena incrociando uno spagnolo di fantasia, maccheronico, mescolato con forme dialettali italiane, che esplora il tema della paternità e dell’adozione. La pubblicazione, arricchita dalle illustrazioni in bianco e nero veramente superbe di Lorenzo Ricci, di cui speriamo di vedere altre prove grafiche, può essere ordinata sul sito dell’editore.