di Andrea Scarabelli

suonare_web.jpg[È in libreria Suonare il paese prima che cada (Agenzia X), un libro curato da Andrea Scarabelli sulla musica italiana degli anni zero, con testi di Francesco Bianconi (Baustelle), Vasco Brondi (Le luci della centrale elettrica), Pierpaolo Capovilla (Il teatro degli orrori), Emidio Clementi (Massimo Volume), Max Collini (Offlaga Disco Pax), Dente, Federico Dragogna (Ministri), Enrico Gabrielli (Mariposa, Calibro 35), Meg, Enrico Molteni (Tre allegri ragazzi morti), Massimo Pupillo (Zu), Tying Tiffany. Il curatore ci spiega il progetto, nato proprio dal primo racconto pubblicato su Carmilla, con qualche anticipazione.]

Questo libro nasce da una duplice esigenza: quella di trovare possibili chiavi di analisi per il decennio appena conclusosi e quella di raccontare, attraverso le parole dei protagonisti, una parte di quanto sta accadendo nella nuova musica italiana. Credo sia interessante affrontarlo tramite la narrazione: fissare sulla pagina percorsi biografici e creativi diversissimi ma uniti da alcuni importanti punti comuni, che finiscono per essere proprio le caratteristiche più evidenti degli anni zero.

In primis la crisi economica, che ha minato alle sue fondamenta l’intera industria discografica come l’abbiamo conosciuta. La nuova povertà di mezzi è stata controbilanciata da una forte determinazione, decisa a scavalcare le macerie delle inutili strutture che ingombravano la produzione culturale in ogni campo. Internet è stata sicuramente capace di ridurre molte inutili distanze, ma anche di riempirci il cervello di rumore di fondo, e certamente ha dato una spallata al sistema di distribuzione della musica, rendendola praticamente gratuita o volontaria (si paga solo ciò che si decide di sostenere). I risicati proventi dei musicisti sono tornati a dipendere in stragrande maggioranza dai live, e quindi dalle ore trascorse in furgone, dalla credibiltà costruita con una comunicazione mai affidata al caso.
Rispetto al panorama anni novanta, è evidente che qualcosa sia cambiato. Forse sono meno i gruppi che ricalcano percorsi e sonorità straniere in modo artificioso, o forse ancora le trasformazioni sono dovute a fattori inevitabili piuttosto che a scelte consapevoli. Non è certo nemmeno se ci sia una forma di coesione o se l’impressione che abbiamo, davanti a una serie di nomi che tornano sempre, sia essenzialmente dovuta a fattori umani; ovvero che a forza di suonare in contesti simili, certi musicisti sono diventati amici e hanno iniziato a collaborare. Di certo in questi anni, ancora troppo disgraziati e bollenti da maneggiare, l’interesse per la musica italiana non mainstream è andato crescendo, irradiando una fascia di pubblico trasversale, capace di includere i fanboy dei blog musicali, gli adolescenti non più monopolio di Mtv, le ragazzine innamorate dei musicisti, gli universitari in cerca di aggregazione, i nerd con otto hard disk esterni pieni di post rock e noise, la precedente generazione degli anni novanta e i veterani assoluti degli ottanta. E questo mix si estende anche agli artisti, davvero eterogenei per età e provenienza.
I musicisti che partecipano a questo progetto hanno attraversato il decennio senza tirare il fiato. Intorno a loro crollavano palazzi e simboli, si aprivano crepacci sismici in cui precipitavano certezze acquisite, hanno visto sciogliersi lavoro e mercati, esplodere persone, innalzarsi la soglia della povertà insieme al riscaldamento globale. Hanno attaccato jack agli amplificatori mentre il cosiddetto primo mondo dichiarava una guerra dopo l’altra, suonato a tutto volume senza riuscire a sovrastare i focolai di risate televisive. Guidato per ore in furgone, attraversando la penisola, alla faccia di presunte secessioni. Quell’Italia che in questi anni ha svelato il suo ghigno più feroce, in cui situazioni che abbiamo sempre creduto impossibili oggi ribadiscono arroganti la loro esistenza. Uno stato di cose che, come ripetono tutti, non può durare a lungo. Lo sostengono convinti da quasi dieci anni. E allora, se anche l’Italia sta per crollare, questi musicisti non si sono risparmiati. Non hanno aspettato tempi migliori per evitare di sporcarsi le mani. Non si sono trasferiti all’estero. Hanno continuato, con ogni forza residua, a suonare il paese prima che cada.
Ecco alcune istantanee dai loro racconti:

Abbiamo sempre vissuto ogni disco come quello spazio che uno riesce a ritagliarsi nel corso di una vita intera, la sua occasione per trasmettere qualcosa al mondo. Ogni volta è come la prima e l’ultima, sappiamo di avere quaranta o cinquanta minuti a disposizione per andare al centro delle cose.
Emidio Clementi (Massimo Volume)

Una volta abbiamo suonato a Mostar. Eravamo forse il secondo gruppo in assoluto che passava di là, dopo la guerra. Era il 2000. Avevano ricostruito il ponte. Solo quello. Ci aveva invitato il Collettivo Post Pessimista. Abbiamo chiesto, perché Post Pessimista? Ci hanno risposto: perché noi eravamo pessimisti. Ma poi è arrivata la guerra.
Massimo Pupillo (Zu)

Le major sono sparite, ormai totalmente fallimentari. Vorrei vedere dei bei fallimenti all’americana, gente che si butta dai grattacieli, magari dal palazzo della Warner di piazza Repubblica a Milano. O un autosbudellamento alla Mishima.
Enrico Gabrielli (Mariposa e Calibro 35)

Tying Tiffany non è solo un riferimento al bondage, a una sessualità giudicata non convenzionale, ma a tutto ciò che la società vuole fare a Tiffany. Legarla, reprimerla, farla tacere. Impersono quella che volete legare e sul palco vi faccio vedere come si fa.
Tying Tiffany

Decidiamo di indossare delle maschere, prima ci esibivamo riconoscibili in volto. Il pretesto ce lo offrono le prime richieste, qualche intervista per la televisione oppure per un videoclip. Non vogliamo entrare in quella dinamica. Il primo modello della maschera è in terracotta. Funziona. Troviamo un’azienda che le fabbrica per carnevale, accetta di produrle con il nostro disegno. Le indossiamo sempre e le distribuiamo ai nostri concerti. Tutti diventano ragazzi morti.
Enrico Molteni (Tre allegri ragazzi morti)

Ho cominciato a suonare senza cover, senza La canzone del sole, senza studiare la chitarra. Tardi, verso i diciott’anni. Appena ho imparato due accordi, ma in realtà anche quando non li avevo ancora imparati, ho iniziato subito a scrivere canzoni, completamente diverse da quelle che faccio adesso. Dei girini, erano.
Dente

Presi la decisione più avventata possibile: licenziarmi. Una cosa da pazzi, il mio capo era comprensivo, avevo un lavoro decente. Eppure sentivo che in questo modo non ci saremmo mai riusciti. Dovevo dedicarmi ai Baustelle al cento per cento, riuscire a rendere la musica la mia unica occupazione, solo così sarei riuscito a fare qualcosa di buono.
Francesco Bianconi (Baustelle)

1981. Ascolto di O Superman di Laurie Anderson. Ecco, attenzione alla ricetta: una donna + musica realizzata da sola + ricerca elettronica + utilizzo della voce sperimentale = amore a prima vista.
Meg

Lo spirito iniziale dei Ministri è facilmente riassumibile in uno dei nostri primi pezzi, Abituarsi alla fine: “Io sono nato da qualche mese, conto di vivere per qualche mese, c’è solo un modo per vedere oltre, pianificare la propria morte, ed è fare debiti”. L’ho scritto mentre stavo cominciando un mutuo, e mi aveva colpito che quello fosse il primo documento dove si parlasse del mio futuro. Prevedeva che fossi ancora vivo dopo vent’anni.
Federico Dragogna (Ministri)

Verso la fine degli anni ottanta, quando avevo circa vent’anni, avevo incominciato a rifiutare tutto ciò che era in qualche misura colto. Volevo l’ignoranza, mi dava un senso di libertà d’espressione, di scontro sociale.
Pierpaolo Capovilla (Il teatro degli orrori)

Ho fatto il primo concerto a trentasei anni, le prime prove l’anno precedente. Non so suonare, se non per qualche lezione di pianoforte che ricordo ancora come un incubo. Le aveva volute mio padre. Figlio di due mezzadri, aveva la quinta elementare, suo padre imparò a leggere e a scrivere nella sezione del partito comunista.
Max Collini (Offlaga Disco Pax)

Ho lavorato alle ultime canzoni tenendole in testa, ero in giro a fare i concerti, allo sbaraglio totale, duecento date, avevo una chitarra di scorta per l’albergo e dei fogli sparsi. Ero un cantiere aperto. Avevo questo rapporto intimo deflagrato e tutto quello che succedeva attorno. Una strana tensione sociale, indecifrabile.
Vasco Brondi (Le luci della centrale elettrica)