di Marco Philopat e Duka

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Oggi entra in libreria Rumble Bee di Marco Philopat e Duka. Per l’occasione hanno scritto una cronaca inedita di Malcolm, il protagonista del loro nuovo romanzo alle prese con le proteste precarie nell’ultima edizione del Salone del libro di Torino.

Dopo il 14 dicembre, preso dalla rivolta che dilagava anche nella realtà, Malcolm era stato dapprima in Tunisia, poi, sempre più affascinato dalle coincidenze psichiche che lo coinvolgevano fino al midollo, aveva raggiunto il Cairo per seguire le manifestazioni in piazza Tahrir. In Libia invece non era andato, non si fidava di quella insorgenza che reputava troppo manovrata da francesi e americani. Aveva preferito passarsi qualche settimana a Dahab insieme a Guendalina, aspettando in tranquillità un nuovo segnale. In Italia era riapprodato verso fine aprile perché il suo editore Paul Di Campo, oltre ad avergli pubblicato un instant book sulle sottoculture intitolato “Dai Teddy boys alla Millbank Tower ”, gli aveva proposto il solito ruolo di standista al salone del libro di Torino.

Mentre si prepara alla nuova partenza per il capoluogo piemontese, Malcolm viene a sapere che un gruppo di lavoratori precari dell’editoria sta organizzando delle azioni di protesta che gli ricordano lontanamente quelle da lui immaginate durante l’allucinazione. Ne parla con l’amico Pino che dopo aver letto il resoconto del sogno, non vedeva l’ora di rimettersi in pista. Prima di prendere in mano il volante e rientrare nel suo ruolo di driver, Pino aveva portato in tintoria il suo completo grigio con cravattone giallo per poi riporlo con cura nella valigia. Dopo un lungo viaggio con l’ormai inseparabile camper del cugino Manoaforbice, i due amici arrivano a Torino e passano dal centro sociale Gabrio con l’intenzione di partecipare alla riunione dei Re.Re.Pre. Rete Redattori Precari. In assemblea Malcolm non può stare zitto e perciò riporta alcune intuizioni del sogno a proposito dell’attacco all’editoria italiana. Alla fine di un discorso più contorto di un romanzo di Philip Dick, i redattori precari sono frastornati a tal punto da non riuscire a distinguere se quello di Malcolm era stato un incasinato intervento politico o una performance teatrale mal riuscita. Comunque, siccome necessitano di qualche testa di ponte all’interno del Lingotto, accettano il suo appoggio.

Lo stand è situato nel punto più periferico dell’intero salone del libro. A Malcolm era bastato dare un’occhiata per capire che quell’edizione avrebbe portato nuovi debiti nelle tasche di Paul Di Campo e forse sarebbe saltata persino la sua paghetta. Nemmeno il tempo per esporre i libri che nella sala autori B, praticamente davanti al suo stand, va in scena una contestazione. Avrebbe potuto accadere in una qualsiasi altra sala conferenze delle tante sparse per i padiglioni e invece il caso ha voluto farla scoppiare proprio a pochi metri di distanza da lui. Una trentina di giovani ragazze è riuscita a penetrare dentro ricompattandosi di fronte alla conferenza antiabortista del Movimento per la vita, la federazione degli ultra cattolici. Le donne stendono uno striscione e urlano slogan contro i tre relatori che tentano di parlare davanti a una striminzita platea di ascoltatori. Malcolm e Pino schizzano al loro fianco lasciando incustodito lo stand. Malcolm si affianca alle donne tentando di incoraggiarle e a un tratto viene rapito dalla bellezza di quel momento. Le ragazze sono giovanissime e molto determinate, una di loro parla al megafono mentre tutte le altre restano compatte per rivendicare i loro diritti. Malcolm le guarda intensamente e non si accorge che le guardie del Salone stanno già avventandosi sul loro striscione. Pino invece è rapidissimo, si pone di fronte alla guardia più grossa cominciando a smanacciare per difendere la protesta. Il suo cravattone giallo non aspettava altro per mettersi in mostra. Dopo le spintonate, le guardie vanno a chiamare la polizia che arriva con caschi e scudi assestandosi alle spalle del gruppo di donne le quali continuano imperterrite a urlare slogan. Vanno avanti ancora un quarto d’ora prima che la digos ordini ai celerini di farle sgombrare. In quel frangente Malcolm, che avrebbe voluto seguire il corteo improvvisato, ha una discussione metafisica con un carabiniere che sembra uscito dal film di Pinocchio. “Lei si deve allontanare per la sua sicurezza.” Gli dice l’appuntato. “La mia sicurezza? Ma se non sta succedendo nulla.” “E allora le ordino io di allontanarsi!” “Mi ordina? Ma se non sono un militare.” “Allora mi dia i documenti e mi segua.” Malcolm si deve calmare per forza rientrando allo stand. Dopo neanche 10 minuti di fiera, lui e Pino sono già stati segnalati e ammoniti dai numerosi digos in borghese che s’aggirano nei dintorni. Un buon inizio. Peccato che per il resto del giorno è una noia clamorosa con al massimo quattro o cinque libri venduti. Le conferenze fanno schifo, non ce n’è una buona, a parte William Vollmann, l’autore americano che studia le ragioni della violenza umana. Malcolm non riesce a credere che l’unico incontro decente è così poco frequentato. Dentro quella grande sala ci saranno state venti persone.

Il venerdì è la giornata peggiore. I ReRePre hanno deciso di presentarsi solo il giorno successivo e le vendite non decollano. Nonostante una minuziosa ricerca nel programma delle conferenze, non trova nulla di interessante, in compenso gli scrittori sono stati sostituiti dai giudici. Giudici che parlano di mafia, politica e società, giudici esperti di antropologia e narrativa, giudici che danno lezioni sui fumetti e sulla musica, giudici sondaggisti e giudici psicoterapeuti. Per non entrare nella sindrome del carcerato immaginario Malcolm non si fuma nemmeno una cannetta. Per quella è costretto ad aspettare la notte quando, dopo una catastrofica giornata di lavoro, si fionda finalmente al Gabrio. La sconvoltura istantanea gli permette di liberare la parlantina e così riesce a coinvolgere i ReRePre e la samba band del centro sociale a invadere la festa di Minimum Fax con tanto di tamburi, trombette e attitudine pink alla comunicazione creativa. Malcolm, Pino e due attivisti del Gabrio entrano nella villetta che ospita l’appuntamento notturno più popolare del Salone grazie ai quattro inviti scroccati. Dall’interno avrebbero dovuto condurre le operazioni per l’imbocco delle truppe sonore dei precari dell’editoria. Purtroppo una barista, Carmen, è un’amica dei centri sociali e regala ai quattro agenti infiltrati una quantità incredibile di free drink. Il progetto era quello di far passare la samba band sul retro della villetta, nel giardino che dà direttamente sulle sponde del Po, proprio sotto le grandi terrazze dove si affolla la gente della festa. Malcolm e gli altri, ormai mezzi ubriachi, non captano le numerose telefonate e messaggini che si accumulano nei loro telefonini e quindi i ReRePre decidono di sfondare direttamente dall’ingresso. Il parapiglia con il servizio d’ordine del locale avviene sulle strettissime scale che introducono alla dance hall. Pino si lancia nella bagarre con un volo degno di uno straight edge in un vecchio concerto dei Minor Threat. Affronta un energumeno di oltre cento chili dicendogli con tutta calma nell’orecchio che quei trenta musicisti pink sono solo l’avanguardia dei trecento altri contestatori che stanno per arrivare. “Se non ci fai passare subito, sarai il primo a finire nel Po.” Il palestrato non si è tanto impaurito, anche se quella tranquillità proferita da Pino lo ha un po’ disorientato. Intanto la samba band spinge e si procede gradino dopo gradino a suono dei tamburi mentre una troupe di Rai3 li riprende. In ogni caso la festa non è coinvolta come si sperava. Malcolm s’arrabbia con se stesso per non aver visto a suo tempo i messaggini sul cellulare, ormai è impossibile passare nel giardino sul retro per farsi vedere da tutti. Partecipa agli spintonamenti cercando di far ragionare i padroni del locale. La situazione si fa tesa anche perché un giovane editor rampante, o forse uno scrittore in carriera, si mette a gridare: “Che cazzo fate? Questa è una festa privata, andatevene via…” Malcolm lo prende di petto chiedendogli dove lavora e con quale stipendio. “Sono anch’io disoccupato.” “E allora perché non protesti anche tu?” “Lo faccio, lo faccio… Ma non certo con queste pagliacciate.” “Che cosa fai? O ci passi una buona idea o te ne vai fuori dalle palle.” L’editor o scrittore che sia, tira una spinta a Malcolm che inesorabilmente viene scaraventato al di là della barriera del servizio d’ordine, ritrovandosi al fianco di Pino e dei ReRePre a spingere per guadagnare terreno. Dopo una decina di minuti, gli organizzatori della festa, dopo aver visto cameraman, fonico e regista della Rai in azione, convincono i padroni del locale a fare entrare i contestatori. In breve quelli del servizio d’ordine si ricompongono e l’energumeno palestrato si dilunga nei complimenti a Pino per la tranquillità dimostrata nel momento di maggior tensione. Per festeggiare portano una decina di free drink che si assommano a quelli continuamente offerti da Carmen. Alle quattro del mattino Malcolm si rende conto di aver perso le chiavi del camper di Manoaforbice. Il panico dura poco, seppur barcollante, raggiunge Carmen che oltre all’ennesimo cocktail gli va a prendere le chiavi che qualcuno ha trovato e portato diligentemente al bar. Nella nebbia alcolica Malcolm rivede in Carmen la più pura idealizzazione dell’amore.

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Al sabato i ReRepre entrano in azione, un centinaio di loro sconvolgono il torpore del Salone e attaccano l’establishment denunciando la grave situazione di crisi del settore editoriale che si è diffusa come un cancro. Gli stand delle grandi aziende come RCS e Mondadori sono colpite dai flashmob, su tutti i libri esposti vengono appiccicati dei post-it fluorescenti: “Libro tre per due – fatto da tre redattori al costo di due”, oppure: “Libro D.O.P. – Denominazione di Origine Precaria”. I corridoi del Lingotto sono attraversati da un corteo di redattori, correttori, addetti stampa, impaginatori, traduttori e standisti, tutti uniti a urlare contro la loro condizione di schiavi legalizzati. Un anziano signore prende in mano il megafono e invita alla ribellione diffusa: “Dovete farlo proprio qui! Dentro il Lingotto per ricordare le tante lotte che sono state portate avanti dentro questa fabbrica.” Si prende una dose massiccia di applausi e continua il raffronto tra gli orgogliosi operai di una volta e i timidi precari di oggi. A un certo punto si fa sotto il responsabile dello stand di Mondadori che tenta di strappargli il megafono. L’oratore improvvisato non cade nel tranello, non reagisce e si limita a incollargli sulla fronte un post-it dopo l’altro. Tra le risate del pubblico, il funzionario della grande azienda di Segrate deve ritirarsi. La polizia controlla senza intervenire, lo farà più tardi chiedendo documenti a quelli più giovani che hanno manifestato. I ReRePre se ne vanno dandosi l’appuntamento per il giorno dopo a mezzogiorno in punto. Come Malcolm aveva previsto, il grande supermercato dell’editoria fa presto a ingoiare e dimenticare la protesta. Per organizzare un decente attacco alla cultura, oltre alla buona volontà, servirebbe ben altro, per esempio un sovvenzionamento inaspettato, tipo un traffico di cani pregiati, come quello dei molossi tibetani che aveva sognato. In realtà Malcolm sa benissimo che l’onda della rivolta sta salendo inesorabile e se non sarà questa edizione del Salone a dimostrarlo, ci saranno tante altre occasioni, magari in luoghi dove nessuno se l’aspetta. Durante la notte Malcolm e Pino si fanno un giro tra centri sociali e feste dell’editoria per vedere che aria tira sull’azione dell’indomani.

Domenica mattina si fa un giro nel nuovo capannone chiamato Oval che ha stravolto tutti i flussi circolatori del Salone di Torino. Per raggiungere Oval bisogna sgommarsi 500 metri di tunnel in plastica, caldissimo e soffocante. Tutti vanno di fretta per raggiungere le varie sale delle conferenze, nessuno può fermarsi a parlare in quel forno affollato. Salta così l’unica cosa buona del Salone: le relazioni spontanee e rilassate davanti agli stand delle case editrici. Dentro Oval non ci sono libri e sembra di stare in un’altra fiera, potrebbe essere quella del turismo o quella delle pompe idrauliche, niente a che vedere con il calore e il pathos che si crea davanti ai tanti volumi esposti nei tre padiglioni storici, che tra l’altro distano mezzo chilometro. Anche Lingua Madre, lo spazio che una volta era piazzato al centro dei flussi, dentro Oval perde il suo fascino. Poi c’è la mostra sui 150 anni dell’Italia. Una specie di rebus a zapping dove nessuno si ferma perché viene colto all’istante dal mal di testa, causato della farraginosità di un percorso labirintico e da una valanga di informazioni storiche che pretendono di coinvolgere l’intera produzione editoriale di un secolo e mezzo. Inoltre si tratta di un allestimento molto discutibile, con il tendenzioso oscuramento dell’unico periodo di geniale produzione editoriale italiana: gli anni settanta. Qualche giornalista ha già protestato, soprattutto perché si vocifera che sono stati spesi 750.000 euro per realizzare questa mostra che nessuno è riuscito a guardare o leggere per più di dieci minuti. È quasi mezzogiorno. È ora di tornare allo stand, dove sta per scattare il cosiddetto svelamento. I ReRePre hanno intenzione di occupare una sala conferenze facendo una presentazione di un finto libro che inneggia alla precarietà del lavoro come unica forma per superare la crisi. Vogliono coprire di urla e slogan i camuffati relatori del libro. Gli attivisti di San Precario questa volta sono tanti, riescono a portare anche alcuni giornalisti e qualche scrittore. L’azione è prevista più tardi e quindi c’è tempo per chiamare altri sostenitori e superare finalmente il numero di guardie e Digos che li stanno accerchiando. Nel frattempo alle due di pomeriggio sono in calendario gli unici incontri interessanti del Salone, il filosofo Slavoj Žižek e l’ormai sessantenne Nick Kent, il gonzo giornalista del “NME”, quello che fu preso a catenate da Sid Vicious a Londra nel 1977. Malcolm è in crisi, non sa dove andare. In quel momento appare il suo amico Fritz, questa volta non è accompagnato da Paco Taibo e Jonathan Lethem come nel sogno, però gli fa provare una nuova specie mutante di cannabis, l’Orange Clash. Mentre fuma spiega a Fritz l’incrocio malefico tra Žižek, Nick Kent e lo svelamento dei ReRePre. “Žižek in effetti sarà irraggiungibile”, dice Fritz guardando la fila d’ingresso alla sala dove il filosofo presenterà un suo libro, “però con Nick Kent non c’è problema, gli andiamo a parlare, troviamo un punkettino e insceniamo un’altra catenata a 35 anni di distanza… Sai che botta! Ne parleranno anche i giornali dall’estero.” “Ma perché? Povero Kent….” “Ma va! Sarà una farsa, una performance dadaista, Kent ha un innato senso dell’umorismo, lo si vede da come scrive. Vedrai che ci starà.” Dopo l’ultimo tiro di canna, lo scontro planetario che si svolge nel cervello di Malcolm è qualcosa di indescrivibile. Vaga per il salone e gli sembra che un tipo in doppio petto e Rayban lo segua. La sua visione comincia a virare in bianco nero. Arranca nella ricerca di Nick Kent, purtroppo gli dicono che è in ritardo, allora rientra nella propria appendice del Salone, quel piccolo quadrilatero periferico dove sono situati i contestatori, il suo stand e la sala conferenze da occupare. La tensione è fuori dal controllo. La polizia ha accerchiato con robusti agenti in borghese tutta la zona, nel cortile adiacente ci sono i blindati e i celerini in tenuta antisommossa già pronti a intervenire. La prima cosa che Malcolm riesce a mettere a fuoco è Fritz che sta parlando con un noto editore pieno di soldi e Antonio Moresco, il famoso scrittore milanese. Come ha fatto a portare lì quei due a pochi minuti dall’ora X, rimane un mistero. Finalmente si parte, la moltitudine precaria invade la sala. I due attori-relatori iniziano a parlare del libro a favore del neoliberismo. Malcolm urla e sbraita contro di loro insieme a tutti gli altri, la polizia lascia fare, forse qualche funzionario più anziano deve aver pensato al teatro d’avanguardia o a qualcosa del genere. Appena i Digos lo capiscono, l’ambiente si rilassa. Ma lui continua a gridare, a sfogarsi contro i relatori farlocchi che li vede ancora senza colori. Guarda il soffitto a travi del Lingotto per vedere se scorge uno sciame d’api gialle. Non ci sono, però a Malcolm gli viene voglia di gridare lo stesso le sue parole preferite del momento: “Rumble Bee… Rumble Bee… Rumble Beeeeee…” Slogan che ripeterà anche dopo lo svelamento di San Precario e il successivo corteo tra i corridoi del Salone. Solo più tardi, quando ormai la vista è tornata normale, gli arriva una telefonata da Madrid in cui viene avvertito che la Puerta del Sol sta per essere occupata. Malcolm cerca subito un volo low cost per la capitale spagnola senza dimenticare l’appuntamento per sabato 28 maggio a Pisa in occasione della street parade antiproibizionista più grande d’Europa.
Il viaggio continua.