di Roberto Sturm

Cassonetti.jpgGianluca Antoni, Cassonetti, Italic, Ancona 2010, pp. 234, euro 16,00 e Beniamino Cavalli, Non ci sono per nessuno, Italic, Ancona 2011, pp. 354, euro 18,00

Marco Monina e Antonio Rizzo — in attesa del pieno ritorno in pista del marchio PeQuod – continuano il loro felice lavoro di valorizzazione di autori esordienti: Diego De Silva e Mario Desiati sono solo due dei nomi tra i tanti scoperti negli anni, molti dei quali poi migrati verso grandi case editrici. Per Italic, adesso, propongono due opere prime che hanno come filo conduttore il mondo visto e vissuto dai giovani: uno sguardo disincantato, quasi asettico, di una generazione senza punti di riferimento. Precariato, instabilità economica, bagarre politica e abisso sociale sono i prodotti di una società dei consumi e dell’immagine dove si è perso il senso della solidarietà generazionale e i poteri forti tentano, da anni, di negare i diritti dei lavoratori più deboli per tenerli, con il ricatto occupazionale, a loro completa disposizione.


Cassonetti, di Gianluca Antoni, è la storia di quattro universitari, Peter, Davide, Matteo e Diego, che condividono lo stesso appartamento, le stesse amicizie femminili, gli stessi tormenti esistenziali e gli stessi problemi pratici.
Studiano a Urbino, la città più universitaria delle Marche, e le goliardate non mancano. Non mancano neanche, però, le stoccate alla società odierna, con i suoi riti, i suoi vizi, le sue falsità. Il rapporto tra i quattro ragazzi – che finiscono per diventare amici – è solido nonostante i caratteri diversi. Uno è gay, gli altri, seppure disillusi, alla ricerca di un amore che possa farli uscire dal limbo di una vita monotona e ripetitiva.
Il romanzo è pervaso da una triste ironia (non per niente ci sono citazioni di Claudio Lolli e Ivano Fossati) in cui spesso i protagonisti si crogiolano, come se cercassero, masochisticamente, un annullamento che dovrebbe portar via anche le paure, i dubbi e le frustrazioni.
La trama si snoda su tre giorni della loro vita, a distanza di un anno l’uno dall’altro, dove i protagonisti, nonostante i cambiamenti delle loro esistenze, ripetono quasi metodicamente gli stessi gesti, le stesse parole e ripercorrono situazioni analoghe, sempre alla ricerca di valori etici (e non morali) che qualifichino il loro vivere: come sospesi in un tempo immobile non si riconoscono nel proprio passato e finiscono per ricadere negli stessi errori, come a dire che l’esperienza, a volte, non insegna nulla.
Sono tutti di sinistra ma senza essere militanti. Sognatori, idealisti e romantici, niente di più ed è questo il punto di vista che origina le critiche verso una società che antepone i bisogni materiali a tutti gli altri.
Le citazioni forse sono un po’ datate, ma in un romanzo che ha atteso la pubblicazione per circa dieci anni è curioso vedere come, nonostante il tempo trascorso, le vicende siano ancora attuali. Scritto con uno stile scorrevole e con cambi dell’io narrante, il romanzo non ha un ritmo serrato ma non ci sono cadute di stile. Un libro godibile che ha nella semplicità il suo maggior pregio: potrebbe sembrare di mera evasione ma invece mette in campo personalità complicate, condizionate da episodi che ne hanno minato e ne minano le convinzioni.

beniaminocavalli.jpgNon ci sono per nessuno, di Beniamino Cavalli, è solo apparentemente la storia di due giovani. Un tredicenne, Lucio, che nell’arco del narrato diventa maggiorenne, e un trentenne, Giordani, che ha letteralmente rinunciato a vivere a causa di diverse esperienze che hanno segnato la sua esistenza. In questo romanzo la critica al sistema è più corrosiva e spazia in diversi campi. Da quello dello studio a quello del lavoro, dalle regole imposte dalla società all’egoismo della gente, dalla famiglia alla mentalità gretta di chi teme il nuovo.
Gina, compagna di scuola di Lucio, esercita un forte ascendente sul tredicenne. Lo inizia al rock e all’alcol, fino a fargli marinare la scuola e rubare un libro (che poi sarà il filo che lega questa storia a quello di Giordani).
E Lucio inevitabilmente s’innamora. Quando, dopo anni di titubanze, si convince a dichiararsi, Gina lo delude inaspettatamente. Si è messa, da un paio di mesi, con Mirko, un loro amico che è l’esatto prodotto di tutto ciò che hanno sempre odiato, e si prepara ad andare all’Università per cominciare quella vita normale che hanno sempre criticato aspramente.
Giordani, invece, lavora senza alcuna soddisfazione in un’anonima azienda di servizi. Se ne sta sempre ai margini, deciso a non farsi notare, né dai titolari né tantomeno dai colleghi. La sua vita sentimentale è fatta di rapporti occasionali, detesta chi si è omologato e il suo sogno è scrivere un musical rock. La madre iperprotettiva lo tortura rimproverandogli di non essersi ancora sistemato, di vivere con un coinquilino gay e non aver comprato casa, di non aver frequentato l’università e di non sapere cosa fare della sua vita. Gli prepara sempre pranzi ipercalorici, come per sostituire l’affetto di un padre andatosene via di casa quando lui era ancora in fasce.
Giordani vive di abitudini, di gesti ripetuti senza aprirsi al mondo esterno. Non ha mai affrontato alcun tipo di problema preferendo evitare, magari col silenzio, qualsiasi confronto. Anche al lavoro, nonostante le ingiustizie subite, preferisce mantenere un profilo defilato.
Al funerale di un suo collega, a cui partecipa per sfuggire alla routine del lavoro, conosce Emma, la figlia del deceduto. Ne nasce un rapporto affettuoso che carica Giordani di aspettative fino a quando non arriva il momento di stringere e, a questo punto, il suo carattere lo spinge a fuggire, a non affrontare una situazione che potrebbe portargli sofferenza.
Non svelo il finale perché, anche se facilmente intuibile, è un’importante parte integrante dell’intreccio narrativo.

Nonostante la PeQuod abbia presentato testi di maggior spessore sia dal punto di vista stilistico che di contenuto, credo che questi due romanzi siano esperimenti abbastanza riusciti. Il lavoro di critica più o meno indiretta a temi oggi molto sentiti socialmente e l’analisi di comportamenti abbastanza diffusi (come l’aridità dei sentimenti e il guardare sempre al proprio tornaconto personale) si dipanano nelle righe delle trame, insinuandosi con leggerezza e semplicità nel tessuto narrativo. Ma senza risparmiare nessuno.