di Valerio Evangelisti

Alitalia.jpgLuca Baiada, Operazione Alitalia. Affari e politica: un modello per il capitalismo italiano, ed. Ombre Corte, Verona, 2011, pp. 194, € 18,00

Luca Baiada è un giurista di vaglia, e lo si vede. Ogni sua definizione è calibrata, ogni sua frase ha interpretazione univoca. Non c’è affermazione che non sia seriamente documentata. Tutto il contrario del giornalismo corrivo dei giorni nostri.
Tassello dopo tassello, Baiada riesce a edificare costruzioni logiche inoppugnabili, di grande eleganza formale. Vanno lette lentamente, vanno assaporate. Anche quando si tratta, come nel caso in specie, di un veemente atto d’accusa contro il sistema politico-economico di potere che regge attualmente l’Italia (e buona parte del resto d’Europa).
Malgrado l’attualità del tema, l’indegna vicenda Alitalia, questo saggio di fondamentale importanza non ha finora raccolto l’attenzione che avrebbe meritato. Per forza: Baiada denuncia complicità ripartite che lo spettatore medio di Ballarò nemmeno sospetta.

Le linee generali della faccenda sono note a molti. Al passaggio di consegne tra l’ultimo governo Prodi e l’attuale governo Berlusconi, l’aspirante nuovo premier comincia a strillare che la progettata vendita dell’Alitalia, oberata dai debiti, a Air France sarebbe la rinuncia a una porzione importante di sovranità nazionale — quasi un’onta per il paese. Come suo solito, dichiara “Io ti salverò” e si mette al lavoro. Organizza quindi una “cordata” di banche e imprenditori indigeni capaci di rimettere in piedi la disastrata compagnia aerea, al prezzo accettabile della perdita di un poco di posti di lavoro, e di un ridimensionamento di fatto. L’operazione riesce e una più piccola Alitalia riprende a volare, e vola ancora. In perdita, ma vola.
La serrata inchiesta di Baiada denuncia cose che (alcuni) sapevano e altre che non si sapevano. Tra quelle note: la suddivisione di Alitalia in due compagnie distinte, di cui una, detta bad company, titolare dei debiti, accollati al debito pubblico nazionale. Cioè a tutti noi. Il rientro di Air France, con una quota di partecipazione pagata molto meno dell’offerta iniziale, e destinata a espandersi entro breve, a condizioni di saldi di stagione. Un traffico di aerei in capo a un socio titolare di una compagnia decotta. Conflitti di interessi vari, debitamente ignorati.
Ciò che non si sapeva, o si sapeva meno, fino all’atto di accusa documentatissimo di Baiada: la costante complicità fra centrodestra e centrosinistra, anche dopo l’avvento di Berlusconi, nel gestire l’affare (uno dei protagonisti è Roberto Colaninno, padre di quel Matteo Colaninno, prediletto da Veltroni, che fa parte della direzione del PD). La cointeressenza del Vaticano, attraverso la Banca Intesa San Paolo. La sostanziale fiacchezza, o accondiscendenza, di alcuni sindacati confederali. Ecc.
La conclusione della requisitoria di Baiada non lascia speranze. L’affare Alitalia è la cartina di tornasole che rivela l’affermarsi, in questo paese e altrove, di un’ideologia condivisa, definita da Berlusconi “economia sociale di mercato” (sulla base di vecchi modelli). Dove di “sociale” esiste solo una forma di sfruttamento in forme nuove, capace di accollare — tramite lo strumento fiscale, monopolio di chi detiene il potere — sulle classi deboli e subalterne il “rischio” proprio del vecchio capitalismo. Lasciando ai privilegiati solo la certezza del profitto, a costo zero.