di Federico Mastrogiovanni

MexicoFlag.jpgOtto. Que viva México.

Con la capacità di cambiare idea e di adattarvi ad ambienti diversi, rompete gli indugi e puntate più in alto intravedendo nuovi sentieri. Più del presente è la visione del futuro a intrigarvi, mentre fate quadrato intorno a frequentazioni selettive. ADATTABILI.

Sono in Messico da un mese e non ho concluso niente. Mi trascino da una parte all’altra della città e SO che non serve a nulla.
Ho ingegnato un sistema di sussistenza che mi potrebbe permettere di dedicarmi alla scrittura e alla mia inchiesta.
Funziona così: affitto un appartamento di tre stanze. Luminoso. Con i muri colorati. Con molte piante grasse.
Mando un messaggio collettivo a tutti i miei contatti di facebook. «Si offre multiproprietà a Città del Messico, zona Coyoacan. Il costo è di 10 euro a testa al mese.»
I dieci euro al mese garantiscono una settimana a Città del Messico, vitto e alloggio e un po’ di scarrozzamento per i luoghi interessanti della città. Io faccio da housekeeper.
Voi mi garantite la sopravvivenza e io vi curo la casa mentre non ci siete.
Per ora hanno risposto in tre. Ma ancora non hanno mandato gli euri. Mi sa che non funzionerà.

Intanto il mio progetto di inchiesta è a un punto morto.
Vivo in casa di un’amica, in una stanza con il materasso per terra, le valigie piene di vestiti e un toro di cartapesta grande come un alano.
Quando uno parte per cercare fortuna io me lo immagino sempre con una valigia di cartone e una giacca e un cappello.
Io sono partito con un Mac, una macchina fotografica e un paio di Birkenstock infradito.
Non sono proprio credibile.
Sto cercando lavoro. Nel frattempo scrivo diari di ventenne su una rivista femminile patinata e vado avanti con la mia inchiesta.
Siccome non piove da qualche giorno è arrivata una comunicazione del condominio. Chiudono l’acqua per tutto il fine settimana, quindi si pregano i condomini di usare quella che rimane nelle cisterne con discrezione. E solo per il bagno.
Io e Silvia saremo costretti a fare la danza della pioggia affinché Tlaloc, il dio azteco della pioggia, ci dia ascolto e faccia la grazia.
Poi ho ricevuto un messaggio da Roma. La mia professoressa di lettere del liceo va in pensione. E ci sarà una cena con tutte le vecchie guardie della sezione D del liceo Mamiani di Roma. Un liceo obiettivamente radical chic.
In molti abbiamo risposto che ci troviamo lontano dall’Italia e che purtroppo non potremo partecipare alla celebrazione di una donna che è stata importante nelle nostre vite. Non sempre positivamente. Gli emigranti più fortunati sono all’estero per dei lavori meravigliosi, spediti dall’azienda a colonizzare il mercato con la creatività italiana. Molti di quelli che sono rimasti a Roma sono riusciti a integrarsi agevolmente nella macchinaschiacciasassiRadicalChic.
Alcuni di noi invece esternalizzano il loro fallimento all’estero, dandosi un tono da cittadini del mondo.
Il flash nel decennio dei novanta causato dall’invito a cena di vecchi amici mi distoglie dal mio obiettivo. Osservare questo paese. Succhiarne l’anima. E truffarne la gente. Sono un camaleonte con pessime intenzioni.
Oggi per strada c’era un uomo che mi ha ricordato tutto questo. Mi ha riportato coi piedi per terra e ha risvegliato in me il fuoco rivoluzionario. Era un vecchio vestito con gli abiti e il cappello della Revolución di Villa e Zapata. Con tanto di cappello. Chiedeva l’elemosina su Avenida Francisco I. Madero.
Siamo in una botte di ferro.
Di pioggia non si vede una goccia. Tlaloc ha altro a cui pensare. O non ha gradito la nostra danza.

Ho visitato dieci negozi che fanno capo al Percorso per un’Esistenza Migliore in varie zone della città.
Sono negozi che vendono fiori di Bach, libri sui fiori di Bach e biografie del dottor Bach. Ci sono tutti i testi sacri dell’organizzazione. Le commesse sono tutte molto gentili e pronte a spiegarmi quanto sia utile il ricorso a questi piccoli fiori miracolosi, da cui si ricavano oli ed essenze.
Se voglio posso sottopormi ad una prima visita gratuita per equilibrare la mia rabbia, o la mia depressione, o la mia gelosia.
Ci sono anche corsi che ti insegnano ad utilizzare l’energia del cosmo. Sono certificati dal Percorso per un’Esistenza Migliore e dal centro di ricerca che ha sede a Roma.
Anche le visite nei centri di applicazione energetica sono gratuite. Non sostituiscono la medicina tradizionale, ma sono piuttosto un supporto a quest’ultima. Così dice Lupita. E devo ammettere che riesce a essere alquanto convincente.
Nessuna delle commesse dei centri Percorso per un’Esistenza Migliore mi sembra un criminale. Vengo sempre accolto con cordialità e professionalità. È un buco nell’acqua.

«Come è possibile che non trovi un cazzo? è un mese che stai là!»
Giorgio sembra più brutto in videoconferenza.
Il grandangolo della webcam gli deforma la faccia e lo fa assomigliare a un personaggio dei racconti di Lovecraft.
«Giù, che ti devo dire? Qua è tutto normale. Ogni sede di Percorso per un’Esistenza Migliore è un centro benessere new age. La gente mi sorride, fanno i loro discorsi assurdi sulla salute, sull’energia e sulla guarigione con l’imposizione delle mani. Non hanno niente da nascondere e io giro a vuoto. Ne ho visti dieci e sono tutti a posto. Mi sa che ho sbagliato qualcosa.»
«Stai nella merda direi.»
«È un modo per dirlo…»
«Io quelli di Mondo Oggi li posso mettere in pausa, ma non all’infinito. Se non gli proponi il reportage passano ad altro. E tu ti ritrovi col culo per terra.»
«Oh certo che è proprio un sollievo parlare con te, cazzo. Una vera iniezione di ottimismo.»
«Sai che io non so mentire.»
«Vaffanculo, almeno taci.»

***

Il mio primo incontro con Fernando avviene al mercato di Tepito. Me lo presenta Serapio. È un suo “conoscente”.
Fernando è piccoletto, smilzo, potrebbe avere meno di quarant’anni. Tipo “fascio i nervi”. Gel in testa, pantaloni gessati, camicia viola/nero/cangiante. Scarpe lucide.
Fernando dice di fare l’imprenditore. Un imprenditore con una cicatrice che gli disegna una lunga lacrima sulla guancia sinistra. Sorride spesso. La sua bocca sorride spesso. Gli occhi invece non sorridono mai. L’esatto contrario di Tintan, il suo “accompagnatore”. Tintan non sorride mai, ma i suoi occhi sono costantemente sorridenti. Ma anche un po’ tristi.
Tintan si chiama così perché somiglia a un famosissimo attore comico e cantante messicano degli anni ’50.
In realtà si chiama Germán, ma nessuno lo chiama col suo vero nome da anni.
Un metro e novanta. Baffi neri, jeans, maglietta e gilet di pelle nera. Guanti senza dita, neri.
È la guardia del corpo di Fernando. Fernando non fa un passo senza di lui.
Tepito è un posto strano. È un mercato di ambulanti. È enorme. Interi isolati pieni di folla tutti i giorni. I banchi sono per strada e si vende e si compra di tutto.
«Qui puoi comprare tutto, tranne la dignità. Quella o ce l’hai o non ce l’hai.» esordisce Fernando.
Si vende e si compra di tutto tranne la dignità.
Siamo qui perché Serapio ha non ho capito che affare da sbrigare con Fernando. E ora lui, sapendo che sono un giornalista italiano, ha insistito per farci fare un giro panoramico del suo regno.
Il suo regno è un mercato degli ambulanti nel centro della città. Un mercato che si estende per venti isolati. Una città di ambulanti nella città. Con giri di affari di milioni di dollari l’anno.
«Io sono cresciuto per strada. Ho passato pochissimo tempo dentro una casa in vita mia. A quattordici anni ho deciso che dovevo essere un capo. E ho cominciato a combattere per il mio territorio. Mi sono guadagnato il rispetto con il coltello.»
«E quanto ci hai messo a diventare capo?»
«Quattro anni. Dopo quattro anni una fettina di Tepito era mia. Bisogna avere costanza. E credere nel proprio progetto. Bisogna fare un passo alla volta.»
«Parole sante!»
«Poi mi hanno regalato un libro. L’unico libro che ho letto. È la mia bibbia.»
«E che libro è?» Ti prego, non dirmi che è la Vera Via…
«Il Padrino. Lo conosci?»
«Cazzo, sì!»
«L’ho letto e riletto. È un manuale perfetto. Io sono anni che cerco di essere come Vito Corleone.»
Sto passeggiando per un mercato infinito nel centro popolare di Città del Messico con un boss mafioso che si ispira a Vito Corleone e con il suo gorilla/cantante.
Ci fermiamo a mangiare qualcosa. Faccio per pagare e la signora che fa i tacos, con la sua retina sui capelli e il grembiule azzurro mi ferma immediatamente. Io sto con Fernando e quindi non pago. È tutto offerto dalla casa.
Mentre comincio a mettere la salsa verde sulla mia colazione con il cucchiaino di legno, a venti metri da me sento dei tafferugli. Mi giro. Tintan si materializza tra me e Fernando. Stanno rapinando un turista con una pistola. Sono le undici di mattina e il mercato è pieno di gente e un ragazzino che non avrà più di diciassette anni punta un ferro in faccia a un turista a occhio e croce tedesco.
Il rapinatore gli porta via portafogli e macchina fotografica e sparisce tra la folla. C’è un po’ di confusione ma i miei nuovi amici non si scompongono minimamente. L’azione dura meno di due minuti. Il turista è sconvolto e cerca di farsi aiutare da qualcuno ma è evidente che non ha alcuna speranza, soprattutto se continua a vestirsi con quella Lacoste a maniche lunghe color malva e quei pantaloncini beige. Semplicemente non doveva essere qui. Non doveva avere con sé tanti soldi e non doveva portare al collo una macchina fotografica.
Ha sbagliato lui.
Tintan mi guarda serio. Fernando sorride.
«Tu la macchinetta te la puoi portare. Finché stai con me o con Tintan puoi andare in giro con le banconote appese addosso e nessuno ti darà fastidio.» Ho un brivido che mi parte dalla base della nuca. E non è di piacere.
«Ah, bene! Come una statua della madonna.» Rispondo. Ora sono proprio sollevato, cazzo!
Fernando e Tintan rimangono perplessi per qualche secondo. Mi guardano fisso. Poi scoppiano a ridere. Rido anche io. Che cazzo mi rido?
So’ dovuto venirci in Messico per diventare amico di un criminale!
La nostra passeggiata continua. Solo che ora mi accorgo che Serapio da un pezzo non è più con noi.
Meno male che sono in buona compagnia.

***

Raggiungo a piedi Serapio alla redazione della Jornada, in Avenida Cuauhtémoc 1236, nella centrale Colonia Santa Cruz.
Lui scende con la solita calma. Lo sguardo è beffardo e ha una luce strana negli occhi. Non capisco mai se mi prende in giro o no. Ci incamminiamo verso la colonia Juárez.
«Stasera ti porto in un posto speciale, hermano.»
Sorride nella sua faccia da cane irresistibile.
Il posto speciale si chiama Catedral de la Quebradita.
Pavimento di legno coperto di segatura, uomini vestiti da rancheros con camicie bianche, stivali di coccodrillo e cappello da cowboy. Si balla la quebradita, un ballo del nord. Molto acrobatico. La donna viene acchiappata dall’uomo dalla cintura appena sopra il culo. L’altra mano tiene la mano. A quel punto la donna diventa una molla che l’uomo fa saltare in tutti i modi che la mente umana riesce a immaginare. Sopra la testa, sotto le gambe, intorno al corpo. Le ragazze sono dei manichini dinoccolati.
Ordiniamo della birra e ce ne portano un secchio pieno.
Le regole per ballare: si possono invitare le donne altrui chiedendo il permesso all’accompagnatore. Se l’accompagnatore è d’accordo si balla. Se non è d’accordo si fa a botte.
Più si beve più è facile fare a botte. Un ambiente divertente per passare una serata in allegria. Soprattutto se non si va accompagnati da una donna. In questo caso crollano drasticamente le possibilità di scatenare una rissa. Rimangono alte le probabilità di venire coinvolti in una rissa altrui.
Al terzo secchio di birra la mia faccia è un ghigno. Serapio non sembra particolarmente ubriaco. Non c’è nessuna rissa in vista.
Decidiamo che non è serata. Sto posto speciale ci ha un po’ deluso. Cambiamo locale.
Il prossimo si chiama Route 66. Un bar dove suonano un buon blues nella Condesa. Serapio è un cliente abituale. Tutti lo salutano e lo trattano con rispetto.
Il mio amico è uno che vive la notte, ma è pur sempre un editorialista importante della Jornada.
Mi accomodo sullo sgabello.
«Forte Fernando… dove l’hai beccato uno così?» chiedo a Serapio.
Sorride per un attimo distratto. «Hehe. Non è male eh? A molti potrebbe sembrare un po’ sopra le righe. Molti giornalisti patinati non sanno nemmeno dove trovarlo uno così. Ma devi capire che in questo mestiere è importante conoscere tutti. Poter parlare con tutti.»
«Certo. Ne sono convinto. Però devi ammettere che Fernando è un po’ inquietante…»
«Fernando è un volpone. Gli ambulanti a Città del Messico sono una potenza economica e politica. È fondamentale saperci avere a che fare. I suoi modi e il suo aspetto però non ti devono ingannare. È capace di cose terribili se vuole. E quindi è meglio rimanere in buoni rapporti.»
«Non ho dubbi. Spero solo di non litigarci mai.»
«Lo spero anch’io per te. È uno irascibile.»
Quando parlo con Serapio mi sento sempre un po’ a disagio. Ti guarda sempre come se quello che dici fosse estremamente serio. O anche estremamente stupido. Ecco la sensazione è che questi due pensieri gli passino per la testa contemporaneamente.
Ma ora che lo conosco un po’ credo che il vero legame che ci unisce è il nostro rapporto con le donne.
Da giovane Serapio ha intervistato García Márquez, e quando gli è capitata questa occasione ha invitato quella che era la sua ragazza del momento.
Voleva fare colpo su di lei. La prima cosa che gli era venuta in mente era portare la sua donna all’intervista. Farle conoscere il Gabo. Farsi bello agli occhi di lei.
È esattamente lo stesso approccio che ho io.
L’altro tipo di uomini è quello che avrebbe cercato di farsi bello con il Gabo per ottenere qualche beneficio personale. Magari lavorativo.
Invece quelli come noi no. E poi ci ritroviamo insieme in un locale a bere J&B.
E allora ascolto gli aneddoti e le sventure di Serapio. E guardo il suo sguardo illuminarsi quando parla di ognuno dei suoi amori impossibili.
E ogni amore è un brindisi.
Dopo un’ora di racconti di donne Serapio cambia argomento all’improvviso.
«Senti, ti ho portato qui perché il locale è bello, ma anche per farti incontrare una persona. Credo che abbia qualcosa da raccontarti. Dovrebbe arrivare a momenti.»
Un po’ è l’alcol. Un po’ è il torpore che mi ha sopraffatto da qualche tempo. Ma ci metto un po’ a capire di cosa sta parlando Serapio.
«L’inchiesta su Percorso per un’Esistenza Migliore!!»
«Bravo. Urla di più che così ci togliamo il pensiero e rendiamo subito la cosa di dominio pubblico.»
Mi guardo un attimo intorno imbarazzato.
«Ma che dici? Ho girato per un mese in tutti i loro centri. Sono puliti. Non ho trovato niente di niente.»
«Sono puliti o molto bravi a nascondere la sporcizia.»
«Va bene. Sono lucido. Spara. Che hai scoperto?»
«In realtà non ho scoperto nulla, ma mi è capitato di incontrare una persona che forse può darti delle dritte giuste. E questa persona dovrebbe arrivare da un momento all’altro.»
Ordiniamo da bere. Serapio si mette a provarci con un’argentina dagli occhi verdi seduta accanto a noi. È molto bella ed è da sola.
Dopo un’ora scarsa si avvicina al bancone un tizio che sembra giapponese. L’argentina dagli occhi verdi è andata via da un pezzo. Da sola.
Serapio è chino sul bicchiere di J&B come se pregasse e io sono concentratissimo su un bicchiere di mezcal bianco. Il mezcal è un distillato di agave molto raffinato. Molto più raffinato del tequila. Si produce principalmente nella zona di Oaxaca ed è famoso perché in alcuni casi si mette un verme dell’agave da cui è tratto. Che in realtà poi non si tratta proprio di un verme ma di una larva di coleottero, che non aggiunge alcun sapore al distillato, ma è buona da mangiare per chi riesce a finire la bottiglia e anche un po’ esotica.
Il tizio giapponese ha la faccia seria.
Occhiali rettangolari Calvin Klein su un viso rotondo, paffuto. Camicia aperta sul petto. Fisico tracagnotto e compatto.
Mi si avvicina e in perfetto castigliano/messicano mi rivolge la parola, sedendosi sullo sgabello a fianco al mio.
«È occupato questo sgabello?»
«Penso di no.»
«Allora mi siedo.»
«Prego.»
«Vedo che il nostro amico qui è in preghiera…» dice indicando Serapio.
In effetti con la faccia tra le mani, il bicchiere sotto al viso, pieno per metà, immobile sul trespolo, Serapio sembra un monaco zen durante i suoi esercizi di meditazione.
Il giapponese ordina una michelada con birra Victoria. Il cameriere gliela prepara subito.
«Se ti stai chiedendo perché sembro asiatico il motivo è che sono giapponese-messicano.» esordisce il mio compagno di bevuta «Che è una specie di contraddizione in termini, visto che praticamente non ci sono due popoli più diversi l’uno dall’altro come quello giapponese e quello messicano. Almeno secondo me.»
«Forte.»
«E grazie a questo sono riuscito a sviluppare delle caratteristiche diverse dai giapponesi e dai messicani.»
«È molto interessante. Anche se non me lo stavo chiedendo…» Non capisco dove voglia arrivare ma mi sta dando un po’ fastidio il suo modo. Poi ora sorride. E ha un ghigno in faccia che non mi piace per niente.
«Quando sono in Giappone non mi sento giapponese. La gente si accorge subito che non sono di là, anche se i miei tratti somatici sono uguali ai loro. Se ne accorgono da come cammino. Cammino come un messicano. E sto con gli occhi aperti.»
Mi sta proprio stancando questo. «Se potessi arrivare al punto…»
Lui continua come se non avessi proprio aperto bocca. «Invece un giapponese in Messico. Te lo immagini un giapponese in Messico? Nella metro? Come deve essere sconvolto. I giapponesi quasi non concepiscono l’idea di gesti antisociali, tipo rubare un portafogli, o rapinare qualcuno. Te li immagini quando arrivano da Tokyo, enorme come il D.F. ma completamente diversa. Arrivano nel Monstruo e devono sentirsi proprio atterriti.»
Serapio non si muove dalla sua posizione. È una statua di sale. Il nippomessicano invece è vispo. Adesso ride alle sue stesse battute. I capelli coperti di gel come va di moda qui. Indossa dei vestiti costosi ora che ci faccio caso. Non è proprio la prima cosa che guardo.
«Mi puoi dire cosa vuoi da me? Chi sei?» sbotto esasperato dai discorsi etnoantropologici sulle grandi città e le abitudini dei popoli del mondo.
Il mio nuovo amico mi guarda perplesso. Poi si apre di nuovo in un sorriso.
«Sono Akira, il tuo informatore. Mi ha detto Serapio che stavi cercando qualcuno che ti aiutasse a trovare un’entrata per la tua inchiesta. Beh, sono il tuo mastro di chiavi!»
Sono rallentato. Non realizzo subito. Non riesce proprio a convincermi questo nippomessicano sorridente e chiacchierone. Mi aspettavo che un informatore fosse una persona più sobria, più misteriosa, più… cazzo, non lo so, ma non Così!
«E cosa ti ha detto esattamente Serapio?»
«Che stavi cercando qualcuno che ti parlasse in modo più approfondito delle attività del Percorso per un’Esistenza Migliore. Perché pare che da solo tu non riesca a tirare fuori un ragno dal buco.»
«Beh, a parte che non è proprio così… comunque stavo facendo dei passi avanti anche senza il tuo aiuto. Anzi ero arrivato a un punto di svolta.»
«Mi fa molto piacere. Quindi non hai bisogno di me.»
«No. Infatti. Non ho bisogno di te.» la solita arroganza. Piuttosto che ammettere che ho torto mi faccio sfuggire l’unico gancio che ho per fare il mio cazzo di lavoro.
Akira beve con calma la sua michelada.
Una michelada è una bevanda molto rinfrescante che si fa in Messico. È un’elaborazione della birra. Si prende una birra. Si mette in un bicchiere dove c’è del succo di limone, sale e chile in polvere. Sul bordo del bicchiere limone e sale. Le prime volte fa vomitare. Poi ci si abitua ed è buonissima.
Ora Akira sorride silenzioso guardandosi allo specchio dall’altra parte del bancone, dietro le bottiglie di vodka e whisky.
Mi urta doverlo ammettere ma sta aspettando che io torni sui miei passi. Cosa che farò. Ovviamente.
«Va bene. Ammettiamo che quello che hai da dirmi possa interessarmi. Chiaro, non perché non ho niente in mano, ma per completezza dell’informazione. Tu cosa vuoi in cambio?»
Akira si fa serio. Si gira verso di me. Lo sguardo perde l’ironia. Mi fissa.
«Io non voglio niente. Il mio interesse è che si parli nel modo giusto degli affari di Percorso per un’Esistenza Migliore in Messico, e dei suoi rapporti con altre ‘organizzazioni’. Se tu lo farai io sarò contento. Ho un conto in sospeso con questa gente. Mi hanno portato via molti anni di vita. Allora? Che ne pensi? Ti può interessare la mia offerta?»
Sto per rispondere, quando riemerge Serapio.
Ho perso il conto dei J&B (dei jotabé, come li chiama lui alla messicana) che si è fatto ma non sembra per nulla alterato dall’alcol. Anzi sembra molto lucido.
«Forse dovreste parlare con calma. Forse da un’altra parte. Forse con un registratore e forse da sobri. Che dici Samuele?»
Serapio mi spiazza. Ho finalmente trovato qualcuno che mi possa aiutare a fare chiarezza e me ne sto qua mezzo ubriaco in un locale della Condesa a fare la figura del novellino. Quale evidentemente sono.
Akira resta in silenzio.
«Hai ragione Serapio. Credo che sia il caso di fare questa conversazione in un altro momento.»

Fuori dal Route 66 c’è un taxi che aspetta. Saliamo a bordo solo io e Serapio. Akira se ne va a piedi.
Accanto all’ingresso c’è un cane morto.

***

Ho un appuntamento con Akira, a casa sua, nella zona di Tlalpan, a sud della città. Qui vicino c’è uno dei negozi di fiori di Bach che fanno capo a PEM. Ci sono stato pochi giorni fa.

«Ok Akira. Ho acceso il registratore… ORA. Puoi spiegarmi di nuovo come è strutturata nello specifico l’organizzazione Percorso per un’Esistenza Migliore?»
L’appartamento è grande e luminoso. Occupa un intero pianerottolo di un edificio coloniale. L’arredamento è un mix di architettura messicana e design giapponese.
Fa un effetto straniante ma non sgradevole.
Sediamo su un divano comodo color pistacchio.
Akira fa l’architetto. Mi offre da bere un succo di tamarindo. È imbevibile.
«Vediamo. Ho conosciuto il maestro in un momento tremendo della mia vita. Ero molto depresso. Poi è arrivato A. con la sua organizzazione. Mi ha salvato la vita.»
Io guardo a disagio fuori dalla finestra
«Tu vuoi sapere come è strutturata. Il Percorso per un’Esistenza Migliore è un’organizzazione di tipo piramidale.
Gli ordini sono trasmessi dal Maestro direttamente a Sagramolo e lui, in genere via mail, diffonde i messaggi ai responsabili dei gruppi nazionali, che a loro volta li fanno arrivare ai responsabili di gruppi regionali affinché tutti gli adepti possano avere accesso agli ordini-suggerimenti.
In teoria tutti gli adepti potrebbero avere accesso al Maestro, ma si raccomanda di seguire la comunicazione stabilita attraverso la piramide. Solo i capi dei gruppi nazionali, generalmente vecchi discepoli di A., possono e devono comunicare quotidianamente con il Maestro.
I responsabili dei gruppi regionali hanno il dovere di fare rapporto sulla situazione del loro gruppo.»
Akira si muove sulla sedia agitato, cercando di non emozionarsi troppo. Vuole rendere il suo racconto il più chiaro possibile.
Nella sua testa un mondo di emozioni. Le esprime con il linguaggio del corpo.
«Tu facevi parte di uno di questi gruppi?»
«Sì. Io sono stato per cinque anni nell’organizzazione PEM.»
«E da quanto ne sei uscito?»
«Da quasi due anni.»
Il nippomessicano oggi ha un atteggiamento diverso dall’altra sera. È più serio, meno compagnone. Parlare di queste cose lo emoziona ancora.
«Devi capire che per anni il Percorso è stato la mia vita. La cosa più importante. Non è stato facile uscirne. Anzi, è stato molto doloroso.»
«Immagino.»
Non è vero. Non immagino minimamente cosa voglia dire stare per anni dentro un’istituzione totale come questa. Ma sento la necessità di adottare un atteggiamento empatico. Lo faccio per avere le informazioni che mi servono.
Akira non mi fa pena. Non riesce a farmi pena. Fondamentalmente perché in me c’è uno strisciante senso di disgusto per chi si fa abbindolare.
«E come è fatta questa piramide?»
«La cima è composta da A. e da suo figlio Carlo. Carlo sembra un banchiere, ora, visto da fuori. Poi c’è l’altro figlio, Aleph. Lui è meramente decorativo. Intorno a questo nucleo ci sono Claudia Sabelli, l’assistente, compagna e guardia del corpo di A., Sagramolo, che è il responsabile dei gruppi del continente americano e Sante Carocci, il responsabile dell’organizzazione dei gruppi italiani. Un poco al di fuori del nucleo ci sono persone come Marco Santello, che dà il prestigio scientifico al Percorso per un’Esistenza Migliore e qualche altro discepolo danaroso o con un’interessante proiezione del futuro, ma la loro funzione è amministrativa.»
Gente danarosa. Organizzazione piramidale. Mando giù un sorso di tamarindo. È veramente una merda.
Quello che mi incuriosisce è come vengono reclutati gli adepti.
Penso.
«E quindi come vengono reclutati gli adepti?» sembro Gigi Marzullo. Che pena.
«Ah, ci sono diversi modi di reclutare i futuri adepti. Il principale è attraverso quello che gli economisti chiamano il mercato naturale. Ad esempio io dovevo diffondere il libro La Vera Via ad amici, familiari, o invitarli a qualche conferenza o esercizio di gruppo.
Poi quando il mercato naturale si esaurisce il canale più utilizzato sono le conferenze su temi spirituali di moda (come il codice da vinci, il feng shui, il tai chi, lo yoga, ecc.) anche se non hanno nulla a che vedere con l’ideologia del PEM.»
Non riesco a rimanere concentrato. Dalla strada arriva il rumore di un camion che al posto del clacson ha la musica della lambada. Che suona ininterrottamente. Quanto mi piaceva la lambada. Era un ballo onesto.
Akira mi sta raccontando dei momenti importanti e dolorosi della sua vita e io riesco a pensare solo a Kaoma che balla la lambada.
«… E poi ci sono i corsi di IRECA (una brutta copia del Reiki giapponese, salvo il quinto livello chiamato familiarmente lavaggio del cervello), che si strutturano su cinque livelli e attraverso i quali si familiarizza la gente all’ideologia della Vera Via, e con gli Amici della Vera Via, per fargli vedere in maniera sottile, come se non gli si facesse vedere, che dietro ai corsi c’è un gruppo esoterico segreto e un maestro che canalizza l’energia ed è in contatto con la Fonte di tutta la conoscenza…»
Guardo Akira negli occhi. Sono attento.
Hai catturato la mia attenzione finalmente!
Questo modo di far vedere come per caso, senza farlo apposta, è la tecnica che aveva adottato Paolo quando mi parlava della sua setta. Mi vengono i brividi sul collo.
Akira si accende una Camel e sta un bel pezzo in silenzio. Mi guarda. Poi riprende senza che io gli chieda nulla.
«Anche se non c’è un profilo sociale escluso per i discepoli, non sono ammessi drogati né gente con problemi di salute gravi e soprattutto gente che non abbia i 120 euro al mese, la quota che dà la possibilità di essere un cercatore. Diciamo che il profilo del discepolo è giovane, di livello socioeconomico medio-alto, di aspetto fisico sano, vestiti di buona qualità e personalità magnetica e positiva interessata alla crescita personale. Cioè qualcuno che serva da specchietto per le allodole per altre allodole. C’è una sorta di repulsione nei confronti degli intellettuali e di quelli che fanno molte domande, che pensano troppo e “bloccano l’energia”, perché, come insegna il Maestro, “uno è quando non pensa”.
Per questo motivo è necessaria una buona dose di ignoranza e ingenuità e mancanza di autostima per continuare il cammino nonostante tutta la merda che vedi e che ovviamente non puoi giudicare perché se lo fai smetti di essere impeccabile.»
Parla come un divulgatore scientifico. E io sono già stanco di ascoltarlo. Non riesco a mantenere l’attenzione fissa su di lui.
So che è un’occasione importante, ma c’è qualcosa nel suo racconto che mi impedisce di concentrarmi.
«Sai, era molto tempo che volevo raccontare a qualcuno tutta questa storia. È molto liberatorio.»
Sono il suo confessore. Lui si sta liberando. Io mi limito a raccogliere informazioni sul Percorso per un’Esistenza Migliore. Forse è questo squilibrio che mi distrae.
E comunque mi piace sempre meno. Sempre che mi sia mai piaciuto anche solo un po’.

Leggo i miei appunti.
Il reclutamento dell’adepto è la sua fidelizzazione. Si ottiene attraverso minacce più o meno sottili. Al di fuori della Vera Via di A. non c’è nulla e chi se ne va perde la sua unica opportunità. È morto spiritualmente e condannato all’eterno tormento del mondo.
Cazzo.
«Dopo un paio di anni nella Vera Via e aver fatto certi esercizi personali, Aleph ti consegna una parola in arabo chiamata “il segreto”. Mi ricordo bene quel giorno.» Akira suda copiosamente. Si passa le mani tra i capelli ingelatinati. Le mani sudate. Gli occhi si posano sulla ciotola di caramelle sul tavolino di vetro. Gli occhi si posano sulla cima dell’albero fuori dalla finestra. Gli occhi si posano fuori campo. In un punto non identificato del muro dietro la mia testa, in alto a destra.
«È stato un momento di passaggio importante nel mio cammino di non ritorno. E anche una grande minaccia, perché se ti allontani dalla Vera Via dopo che ti hanno dato il segreto “che Dio ti trovi confessato, perché sei peggio che morto”.»
Perfino l’inferno dei cristiani sembra un villaggio Valtour rispetto a ciò che ti può accadere se te ne vai una volta che ti è stato dato il segreto.
Cerco di mantenere l’attenzione focalizzata sul fatto che chi entra in questa setta tragga un beneficio. Ma non mi riesce proprio di immaginare un beneficio basato su queste minacce.
A. è l’unico Maestro Vero che esiste nel mondo in questo momento, e La Vera Via è l’unico Cammino reale.
Uno è quando non pensa, il Maestro è infallibile, mi ricordo dalle mie letture. Esso è infallibile. E fuori del Cammino sei morto.

Uno è quando non pensa.
Il postulato di base si riassume nella consegna “Luce, attenzione, direzione, intenzione”.
Poi c’è l’impeccabilità. In poche parole. Non leggere, non praticare nulla che non provenga dal Percorso per un’Esistenza Migliore, poiché questo ti disallineerebbe. Ti disallineerebbe. Questa parola è stupenda. Akira la pronuncia con dolcezza.
Uno è quando non pensa.
Oh, per un discepolo è importante che guardi dall’altra parte o faccia come se nulla fosse di fronte a eventuali azioni illecite di chiunque dei suoi compagni di cammino, ma soprattutto dei suoi superiori nella piramide.
Sì, perché i membri anziani e i vertici mettono a punto varie truffe e crimini a diversi livelli di illegalità.
Tra i reati più degni di nota: il furto di macchinari, l’intimidazione, il ricatto e la truffa vera e propria, stile Totò che vende la Fontana di Trevi.
Uno è quando non pensa.
Akira è in un delirio logorroico. Io sono confuso. Il succo di tamarindo è acido. Non c’è altro da bere in questa casa?
«Il successo personale è la meta verso cui si orienta la consegna “Luce, attenzione, direzione, intenzione”, e la prova dell’impeccabilità non è altro che la prosperità economica…»
Sta cosa mi ricorda molto Max Weber e la tradizione calvinista: la ricchezza è il segno che Dio è con te, così più ricchezza accumuli, più sei vicino a Dio.
Questa è la chiave del Percorso per un’Esistenza Migliore. La chiave di lettura di tutto è il denaro. Più denaro hai, più stai evolvendo. E più denaro dai al maestro e più ti avvicini alla Verità.
Sono un po’ deluso dalla banalità delle mie conclusioni. Ma la vita in fondo non è un continuo susseguirsi di delusioni e di piccoli successi?
Uno è quando non pensa.
Bisogna guadagnare denaro in qualsiasi modo, più è meglio è, e non importa come, poiché il “come” riguarda l’ego. Sempre riguarda l’ego.
Uno è quando non pensa.
Lo dice il Maestro.
Akira non è più in sé. Questa intervista lo sta devastando.
Ora ride. Ora digrigna i denti.
È zuppo di sudore.
Pausa.
«Senti, magari ora ci prendiamo una pausa, no?» propongo.
«Forse sì. Forse è meglio.»
Va al bagno a sciacquarsi. Ascolto il rumore dell’acqua che scorre nel lavandino. Sento passare gli aerei sopra le nostre teste.
Sono troppe informazioni. Informazioni su una setta che ha sempre meno di mistico. E sempre più di business. E il business mi ha sempre annoiato a morte. Ma questi fanno paura.
«Io pagavo l’equivalente di 120 euro in contanti in nero ogni mese per seguire La Vera Via.» Mi strilla Akira dal bagno.
«Il Percorso per un’Esistenza Migliore è una società con varie società satellite, come Sanitelectronics e Health For Life, che hanno il compito di fare da distributori dei prodotti per la salute, come il guaranà, maca, rosa mosqueta, coenzima Q10, ecc., e attrezzi per smettere di fumare. Poi ci sono i corsi pubblici di Ireca, Perfect Shape, ecc.»
Ascolto.
Ogni guadagno o corso che si faccia in una riunione o che utilizzi il simbolo di Percorso per un’Esistenza Migliore deve dare un tot per cento del ricavato per finanziare il progetto qualità della vita.
È come un franchising.

Ogni anno ci si vede tutti a Cancún. C’è il raduno mondiale degli adepti. I soggiorni a Cancún servono a fare la cresta sui prezzi dell’hotel nel quale si organizza il raduno.
Un esempio: 8 giorni, pensione completa, costa 1800/2000 euro.
Moltiplicando per 400 discepoli che assistono all’evento.
Un bel po’ di cresta da grattare.

Akira ora è spossato. Lo guardo tornare dal bagno. Vedo un atleta che ha appena corso la maratona. Sembra dimagrito, si è asciugato.
«Devi considerare la potenza suggestiva di A. Lui è il “Maestro contemporaneo” operante in Occidente, che ha il compito di aiutare l’uomo a svilupparsi al fine di partecipare al processo evolutivo del pianeta in maniera armonica rispetto all’universo.
Il Maestro è uno di coloro che operano generalmente nei momenti di particolare crisi e necessità per l’umanità, rimanendo sconosciuti.»
Sembra di sentire parlare un libro stampato. Sembra di sentire La Vera Via. Un audiolibro.
La versione della storia che spaccia il Maestro è che da quando l’uomo è apparso sulla terra è cominciato ciò che viene chiamato “Il Lavoro”, che fa parte di un “Disegno” che prevede l’evoluzione del nostro universo a cui l’uomo stesso, grazie ad alcuni Maestri che hanno la funzione di aiutarlo, deve partecipare.
Adesso “Il Lavoro” di A. è in una “Nuova fase”, che segue quella in cui ha viaggiato per tanti anni per tutto il mondo, trasmettendo l’insegnamento.
La “Nuova Fase” può essere vista come un UFO, che ha la missione di portare l’umanità verso un futuro più evoluto perché “Questo viaggio è ideato, desiderato, protetto e teleguidato dall’Essere Unico che ha in Sé tutta la conoscenza dell’Universo e dei Mondi”.
La mia conclusione personale è che per fare grossi affari in questo paese non si può prescindere dalla criminalità organizzata. Dal narco o da sue diramazioni.
È impossibile.
Uno è quando non pensa.
Proprio quello che pensavo. Ora cosa faccio?

Le conseguenze delle proprie azioni. VII.

Devo uscire di qui. Devo prendere aria. Devo pensare. Questa stanza è opprimente. Voglio vedere gente.
Questa città è piena di gente. Di facce, persone, vite.
Non posso stare chiuso qua dentro a guardare il soffitto.
Ho paura. Ho paura? Mi fa paura l’idea.
Che qualcuno possa cancellare la propria individualità, la propria volontà a tal punto.
Che qualcuno possa piegare la mia volontà e costringermi a fare ciò che non voglio. Ciò che non vorrei. Ciò che non ha senso.
Non sono sorpreso teoricamente. Di queste cose se ne sentono.
Sono abituato a sentire parlare di estremisti religiosi che si imbottiscono di tritolo e si fanno brillare in un autobus a Haifa, per esempio.
È una vita che ci bombardano la testa di terrore islamico.
Non è una sorpresa.
È sorprendente vederlo di persona, però.
È sorprendente guardare il mostro negli occhi. Fa paura il vuoto. Ti lascia senza parole, la naturalezza.
Vedere una persona che sembra come te. Che fa le stesse cose che fai tu, che si veste come te. Con cui puoi parlare di calcio, del tempo, di politica, di cinema.
Ma contrariamente a te, ricevuto un comando, semplicemente esegue.
Obbediente.
Sereno.
Non si fa domande. Perché ha già tutte le risposte.
Fa paura l’idea che si infila sotto la pelle che TU potresti essere così.
Terrorizzano i dati biografici. Potresti essere tu.
Potrei essere io, quello.
Non ci separa molto. Una casualità ha voluto che il Maestro lo abbia incontrato lui e non io.
Mi sconvolge il pensiero che possa essere io il prossimo.
Mi atterrisce l’eventualità che questa opzione MI RENDA FELICE.
Sono due giorni che ho paura.
E se l’infelice fossi io?
E se l’oppio della mente fosse la vera risposta?
E se i miei dubbi, la mia rabbia, il mio malessere, si potessero davvero curare così?
Se avessero ragione loro? Se la soluzione fosse una bella religione freelance?
Il soffitto non sa rispondermi. Il ragno che aspetta in un angoletto sopra la mia testa è due giorni che mi guarda. Se avesse la risposta me l’avrebbe data.
Vittorio ha l’aria di chi ne sa qualcosa. Ma esso fissa il vuoto e tace.
Devo uscire.
Salgo su un taxi rosso e oro parcheggiato proprio sotto casa mia. Sul cruscotto una nicchia con dei fiori a omaggiare la statuetta della Vergine di Guadalupe.
Dalla radio esce la voce da bambino del cantante dei Loony Tunes, gruppo portoricano di reggaeton, che canta Te he querido, te he llorado. Versione tamarra di una canzone d’amore disperato. Proprio quello che ci vuole.
Il tassista è giovane. Camicia giallognola, gilet di pelle. Sorriso caldo. Occhi tristi.
«Andiamo alla Condesa per favore. Libreria Fondo de Cultura Economica, su Avenida Tamaulipas.»
«Sì, señor.»
«E per favore, puoi alzare il volume della radio?»
Leggo il nome del tassista sul cartellino attaccato al parabrezza con una ventosa. Luis Escobedo Linares. È gentile. Per una volta. Alza il volume e mi guarda soddisfatto dallo specchietto retrovisore panoramico convesso.
La città sfreccia grigia fuori dal finestrino aperto.
Entra aria tiepida che sa di smog e asfalto. E tacos.
Mi appoggio allo schienale.
Qualcosa succederà.
Qualcuno mi darà una risposta.

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