di Saverio Fattori

maryterror.jpgRobert R. McCammon, Mary Terror, Gargoyle Books, 2010, pp. 410. € 16,00

Romanzi come questo potrebbero fare da libri di testo per tanti noiristi italiani che disseminano morti inutili a scansioni regolari in un mare morto di episodi risibili e di flussi di coscienza da dopo cena. La giustificazione è sempre quella della “banalità del male”, i flussi di coscienza sono più cadaverici dei morti ammazzati stessi. Romanzi di ombelicalismo minimale che escono con cadaveri in allegato a parziale risarcimento. In alternativa il serial killer di turno compie acrobazie sempre più astruse per smarcarsi dall’altro serial killer ammonticchiato di fianco nello scaffale della libreria. Si dice che “tira” solo il noir. Si dovrebbe ammettere che non tutti hanno il talento di aggiungere qualcosa a un genere così inflazionato.

Gente come McCammon ti ridà ossigeno e speranza. Mary Terror è un personaggio solido, originale, una donna orco con un passato in una organizzazione terroristica americana del periodo Yippie e una vita di latitanza rabbiosa che ancora prevede spargimento di sangue. A legarla agli anni della sua giovinezza sono i Doors, che non ha mai smesso di ascoltare, tanto che spesso dialoga con Jim Morrison, e l’LSD, sostanza che non ha mai smesso di assumere e che agevola la materializzazione del Re Lucertola. Le descrizioni dei bad trip sono eccellenti, testimoniano di uno scrittore sempre all’altezza di ogni compito che nel libro si assume. McCammon non è mai uno scrittore “pigro”, non “butta via” nessuna sua intuizione, ogni piano narrativo lo risolve in piena efficienza e densità. Come rileva Antonella Beccaria nella prefazione, questo libro, già uscito nel 1990 negli Stati Uniti e in Italia nel 1991 per i tipi di Interno Giallo, scavalca la gabbia della lettura di genere e si fa strumento di analisi politica e sociale. A vent’anni dalla pubblicazione è ancora sul pezzo. “La gente usa troppo le carte di credito, non è vero, Doug.”. A fare questa constatazione è Laura, giornalista di gossip in crisi di identità e in stato interessante. Si rivolge al marito Doug, broker che risolve il panico della futura paternità con il più classico dei rimedi: l’infedeltà con una femmina più giovane. È la tipica coppia upper class che ci sembra di avere già incontrato in centinaia di film e romanzi, combattono contro i fantasmi di sempre, il difficile equilibrio tra le attese e la realtà, la resa alle abitudini consolidate nel segno della sicurezza economica, il crescere che si fa sempre compromesso e mediazione.

Prima o poi, il mondo ti fa a pezzi, riducendoti a un mucchio di lacrime e rimpianti. Prima o poi, il mondo vince, è così.

Anche quando McCammon descrive stereotipi lo fa in modo ineccepibile, invidiabile, nessun fastidio, la storia scivola comunque via e si fa perdonare momenti di prevedibilità, perché le regole del climax sono applicate al meglio. Difficile staccarsi dal libro. Le vite di Laura e di Mary si incroceranno per dare vita a un duello on the road di epica tutta al femminile (memorabile l’inseguimento nella neve in un parco tematico dedicato ai dinosauri) dove i personaggi maschili sono secondari e quasi mai ci fanno una bella figura.
La forza assoluta è donna, alla donna è delegato il più importante dei compiti del genere umano: portare a termine la fase finale della riproduzione della specie e prendersi cura del cucciolo. Non è una visione maschilista e reazionaria, al contrario, i maschi vecchi diventano inutili, potrebbero andare a morire nella savana dopo l’inseminazione, come superflui appaiono i condizionamenti culturali e sociali che dettano l’agenda di Laura. L’istinto primordiale renderà tutto più chiaro sulle priorità. Non è possibile salvare l’umanità negli anni della contestazione al sistema capitalistico. Non è stato possibile nemmeno salvare noi stessi. Meglio concentrarsi sull’unica speranza, un cucciolo che potrebbe essere “l’uomo nuovo” nell’alba di una “nuova era”.
Mary Terror ha nella maternità un trauma, una ferita che non cicatrizza e che la fece uscire definitivamente di senno. L’incipit del libro immerge il lettore nella sua psicosi in modo agghiacciante. Mary perse il figlio che aspettava dal leader carismatico del gruppo terroristico nel quale militava in uno scontro a fuoco con la polizia, atto finale dello Storm Front, gruppo inventato, (nulla a che fare con lo Stormfront di ispirazione neonazista tuttora attivo negli Stati Uniti) ma piuttosto credibile e ben delineato.
Mary è ossessionata dai neonati. Laura sta per dare alla luce suo figlio. Il piccolo David è il link che legherà il destino tragico di due donne così diverse. Il resto della trama lo lascerò ai fortunati lettori. Interessante il rapporto dei sopravvissuti di quegli anni di piombo con il loro passato. Ogni membro del gruppo di fuoco che incontreremo nella narrazione vive la latitanza infinita e la fine degli anni della contestazione in modo diverso. Sono dei reduci, gli anni Ottanta hanno fatto carne di porco del loro immaginario giovanile, di ogni aspirazione. Sarà curioso confrontare questo testo con altri più “europei” che si sono posti i temi della dissociazione-pentitismo-revisionismo storico-coerenza-intransigenza dura e pura. C’è chi arriva a deturparsi il viso con un intervento di chirurgia plastica per rendersi irriconoscibile, per cancellare la bellezza estetica che non corrisponde più a una integrità morale. E forse per infliggersi una condanna masochista.