Sei pronto a mckinseyizzarti?di Giuseppe Genna

Incominciamo con il richiamare un dato, rivelato dagli autori stessi: i Wu Ming, nel 2007, hanno venduto un terzo di tutti i libri venduti da quando hanno iniziato a pubblicare. Questa “operazione trasparenza” ha motivazioni che, al solito, non hanno nulla di narcisistico, poiché la stessa politica e poetica del collettivo costringe a un enorme lavoro di eliminazione delle tracce narcisistiche. Se si legge l’articolo di Wu Ming sulle proprie vendite, ci si renderà conto che entrano in gioco considerazioni che si fanno politiche e che sono tali anzitutto perché, oggi, il politico è una modalità di assenso, variazione, sovvertimento o negazione del rapporto con il cosiddetto mercato, e di definizione di cosa sia infine il mercato: il mercato sono persone. Ciò detto, vorrei appuntare l’attenzione su un fatto grave che l’industria culturale sta sottacendo, praticando uno sterminio mnemonico in nome proprio di un’errata concezione del mercato: è la distruzione dei cataloghi, è lo sfoltimento dei tascabili. Qui è in gioco una battaglia politica che coincide con quella letteraria e a nome dei redattori di Carmilla tutti, che credo condividano l’analisi che sto per fare, viene qui annunciata la strategia che ci vedrà partecipi, in quanto autori, di questa lotta.

Il teratomercato
Cosa sta succedendo? Che è arrivato, rombando, il gigantismo delle tirature e la richiesta di aumentare la liquidità, cioè il saldo, nelle maggiori case editrici. Si dichiarano vendite stratosferiche false – ma ora non basta più. Bisogna fare soldi, non basta più aumentare il giro di soldi e fare budget, è necessario invece che lo sviluppo sia convertibile all’istante in tassi di guadagno. Gli editori non lo dicono, piangono sulla sorte maledetta che sembra farli operare nelle ristrettezze mercantili del giro editoriale espresso dal Botswana (nazione che tra l’altro, in termini di PIL, ci ha scavalcato nella classifica mondiale).
Si tratta di una menzogna.
In realtà, quello italiano è il sesto mercato al mondo. Mentre rischiamo di scivolare fuori dal G8 (e sarebbe l’ora, sia perché non siamo tra le otto nazioni che devono decidere le sorti economiche del pianeta, sia perché si tratta di un’associazione criminale interstatale), siamo abbondamente nel G8 della lettura. O, perlomeno, della vendita dei libri. Ma agli editori non basta. Si richiede più sviluppo.
Si ignora, ovviamente, ogni investimento a lungo termine: gli editori non organizzano politiche culturali o di acculturazione, eventi pedagogici o militanza educativa, e si accontentano di fiere e festival allestiti da terzi che poi, con sapido gigantismo, vanno a occupare. Occupano con libri dalla tiratura obbrobriosa. E’ un fenomeno degli ultimi anni, mai riscontrato prima. Il bestseller, in cui peraltro bisogna includere fior di letteratura come dimostra Stephen King, diventa una sorta di superfetazione di ciò che già era prima: il gigante si fa titano incommensurabile. Le tirature si alzano in maniera imbarazzante. Vanno taciuti i bagni di sangue che questa politica editoriale folle ha comportato – guai a parlare di cifre. Spinti dal processo che posso definire di “mckinseyizzazione” del prodotto (poiché tale per l’editoria è il libro), si cerca a ogni anno uno sviluppo rispetto all’anno precedente. Si tenta di mungere più latte, sempre più latte, mentre non si dà abbastanza foraggio al bovino (l’editoria di massa considera i lettori di massa bovinidi).
Questa smisurata crescita spinge alla disperazione gli operatori culturali stessi. Se la Rowling non fa un altro Harry Potter, sono guai. Dove trovare uno che ti fa un milione di copie come Saviano? E Moccia regge? Si assiste a una scelleratissima campagna di rialzi delle tirature, con conseguente invasione delle librerie. Le quali, au coté Feltrinelli, sono ben liete di e organizzate per accogliere le pile dei titoli su cui le case editrici puntano per fare liquidità. In questa prospettiva, la centralizzazione degli ordini delle Librerie Feltrinelli ha dato la stura e non è andata a confliggere con una politica del rialzo. Si tratta semplicemente di essere presenti in libreria. Se quattro gruppi editoriali eiettano contemporaneamente titoli con tirature da due o trecentomila copie, a farne le spese sono i titoli che vengono tirati in cinquemila, anche in diecimila copie.
Ovviamente, questo teratomercato ha la sua brava componente di condizionamento collettivo – fenomeni che diventano macrofenomeni, grazie all’ubiquità dei nomi e dei titoli su cui, in una tragica roulette, si punta, a dispetto della media e piccola editoria, che viene scalzata.
Che fine fanno poi quei titoli da macrotiratura? Non si depositano. Vendono poco, a distanza di dieci anni. E’ qui che s’inizia la battaglia annunciata: quella della costruzione di un autore, della sua backlist e in generale del catalogo.

Eliminazione fisica
Ho collaborato, qualche tempo fa, con un grande editore, che dispone di un abnorme catalogo di titoli – quasi tutto lo scibile umanistico, che da lunga data forma generazioni e generazioni. Per mesi ho assistito al taglio di titoli che vendevano solo un centinaio di copie e un centinaio di copie non erano sufficienti a garantirne la vita. In quel caso, a decidere della sopravvivenza in catalogo di un titolo o di un autore (e parlo, che so?, di Lucrezio, Lucano, Senofonte: nomi così, da poco…) era non la direzione editoriale, ma i responsabili del marketing. Un’abominevole mancanza di sensibilità quanto al mercato.
Quando Pavese pubblicò La bella estate, nel 1949, vendette circa seicento copie. Passano sessant’anni e ancora La bella estate vende: quanto ha venduto in tutto questo frattempo? Uno sproposito, rispetto alle grandi tirature dell’oggi. E i titoli dell’oggi, quanto avranno venduto nei prossimi sessant’anni? L’accelerazione, che è una delle cifre della mckinseyizzazione dell’editoria (e della mckinseyizzazione in generale, con la sua idolatria dello sviluppo indiscriminato, di cui Corrado Passera è attualmente in Italia il più brillante portabandiera), non consente minimamente di pensare all’editoria in tempi lunghi. Non è dalla struttura editoriale o dall’industria culturale in genere che possiamo attenderci una virata, nonostante l’esempio sia sotto gli occhi di tutti: Repubblica esce con libri in allegato e Faulkner è acquistato da seicentomila persone. Faulkner, non Muccino.
L’eliminazione costante e progressiva dei titoli è un segnale d’allarme per chi crea opere nel presente. Il fatto, a mio avviso sciagurato, che un libro fondamentale come Lezioni di tenebra di Helena Janeczek non venga proposto in catalogo, cioè nei tascabili, la dice lunga sulla storicizzazione a cui sta per venire sottoposto il nostro presente.
E’ dunque dagli autori contemporanei che si deve attendere una forma di scrittura che duri, non solo nella tradizione ma anche nelle vendite, perché colpisce nella resa letteraria, e quindi nella memoria. Ciò che i Wu Ming esplicano con i loro dati è il salvataggio di sé e di altri nel catalogo.
Dal bestseller al longseller: bisogna combattere sul piano stesso del mercato, che, se chiamato così, “mercato”, pare un’ipertrofica entità astratta capricciosa e dittatoriale e anche un po’ idiota, mentre di fatto stiamo parlando di una comunità di persone che devono essere libere di scegliere i riferimenti che incarnano il loro immaginario e la quantità di futuro che i testi tendono a irradiare.

Assalto a un testo devastato e vile
In tutto ciò non ha alcun senso rammaricarsi o piagnucolare sulla qualità dei bestseller. La letteratura popolare è sempre esistita e spesso non è stata canonizzata nella tradizione. Non ha alcun senso prendersela con Faletti o con l’editore di Faletti perché vende cifre astronomiche del suo thriller. Questo è soltanto un piano del confronto e non è su quel piano che va condotta la battaglia.
La battaglia si conduce su due Waterloo, sperando di non essere Napoleone.
Anzitutto, il conflitto è interno all’autore. Va assaltato un testo che cede all’idea di autocensura in nome della leggibilità, quale monomandatario che permetterebbe al testo stesso di inserirsi nel vettore unico della vendibilità. Bisogna inserire autenticità, scavo di sé e ricerca nei saperi, complessità e teoria della letteratura, studi e intuizioni, suggestioni e allucinazioni – elementi che offrano la resistenza su cui si fonda la possibilità che la lettura si trasformi in incanto. Se non esiste questa resistenza, questa difficoltà da superare, questa complessità interna al libro, siamo al livello dello zapping: il lettore non accede all’incanto, accede allo svuotamento di sé, all’alleggerimento di se stesso, del peso che dà la vita alienante che la contemporaneità impone a chiunque – l’alienazione è questo svuotamento e il sapere diverrebbe non la medicina contro l’alienazione, bensì il secondo grado dell’alienazione stessa.
E’ da riflettere sul fatto che la scrittura su computer emendi la possibilità di conservare le varianti – bisogna assolutamente mantenere la possibilità di mostrare errori, per comprendere come il meccanismo del testo si è fatto. I Wu Ming hanno reso disponibili le registrazioni audio delle loro sedute di brainstorming. Io stesso, quando ho deciso di saltare l’editoria tradizionale e di pubblicare in cartaceo solo su Rete, ho mantenuto tutti i refusi della prima stesura e, nella versione digitale del testo, li ho ipertestualizzati. Lì si ravvedono i nodi della costruzione artigianale, che a volte scioglie la resistenza interna del testo e a volte invece la intensifica. Un simile lavoro è emblematico: non soltanto permette una critica, anche filologica, della letteratura contemporanea, ma denuncia l’autocensura in vista della leggibilità che le cancellazioni di Word rendono implicita. C’è un’interiorizzazione dell’autocensura che è direttamente proporzionale al pensiero sul lettore: l’autore che ossessivamente scrive e corregge pensando che il lettore in quel punto non capirebbe, o che l’editore storcerebbe il naso.
Qui si apre al secondo punto: bisogna resistere all’editore. Se si è consapevoli delle proprie intenzioni e si è maturi artigianalmente, il testo va difeso dagli emendamenti proposti dall’editore, che concernono quasi sempre zone di non leggibilità, ripetizioni e iterazioni volute, linguaggio che tende al poetico, involuzioni, strutture non compatibili con la linearità. E’ certo che si necessita di uno sguardo altro, perché è fondamentale comprendere che l’esito letterario non coincide con le intenzioni dell’autore – ma bisogna scegliersi gli interlocutori. Bisogna che gli intrlocutori editoriali comprendano e le intenzioni autoriali e le intenzioni di chi legge. In breve: bisogna dare da se stessi, in quanto autori, l’assalto a un testo che sarebbe vile in quanto reso piatto da un’autocensura ormai automatica e funebre, e che sarebbe devastato perché sarebbe seguìto come un’ombra da un testo primo fantasmatico che è stato emendato, semplificato.

Colpirne cento per educarne diecimila
Il secondo piano su cui va combattuta la battaglia per l’esistenza di un catalogo è la pedagogia – cioè l’attività di esposizione non di se stessi, ma della cosa stessa del testo, della complessità letteraria di cui si è portatori in tempi di kamikaze della semplificazione. Questo significa che bisogna impegnarsi contemporaneamente su più livelli, anche comunicativi basali, per rendere nota la complessità che governa la costruzione di un testo. E’ un’operazione assai faticosa e difficoltosa da compiersi. Richiede dispendio di energie e un fondamentale lavoro sull’abbattimento dell'”io”. Questa pedagogia deve essere infatti compiuta principalmente a favore sì dei propri testi ma soprattutto a favore non di se stessi, bensì dei propri contemporanei, che si stimano e in cui si riconosce la possibilità di un’interlocuzione. Non ha più senso parlare di manifesti di poetica comune – è chiaro che esiste una poetica comune larghissima, condotta secondo declinazioni differenti. Si può prendere il romanzo storico: accade che molti autori contemporanei lo utilizzino in senso allegorico e allucinatorio. Ciò significa che una parte dell’oggi sta esprimendo una poetica. Questa poetica sottintende una complessità, a cui si giunge attraverso formazioni che variano da autore ad autore. E’ fondamentale che esista l’analisi e l’esposizione dei meccanismi che un autore riconosce in un altro, magari sbagliando e deformando, ma mettendo in luce elementi che risultino educativi rispetto al vero nemico dell’umano in questo tempo, che è l’ideologia ispirazionista o casualista, il folklorismo della pagina di Word bianca in cui dovrebbero piovere idee originali formatesi chissà dove e chissà come. E’ questa specie di misinterpretazione ignorante di un lascito romantico, cioè l’ispirazionismo, che ormai è saldata con il veicolo unico della leggibilità o della supposta brillantezza, del “tutto è un gioco linguistico”, di cui patetici esempi costituiscono lasciti che invece sono veraci: quelli della Neoavanguardia.

La Waterloo del Presente Semplificato: il longseller
La comunicazione emblematica che Wu Ming ci dà nella sua pagina sulle vendite della propria backlist mette in luce che un freno alla distruzione del catalogo passa proprio per la costruzione di un’opera che, senza dismettere l’ambizione a divenire bestseller (ma evitando ogni compromesso con il veicolo unico della vendibilità tramite semplificazione), diviene naturalmente un longseller. In Italia c’è un manipolo di autori i cui dati di vendita non raggiungono forse quelli da sbigottimento dichiarati dai WM, ma che sono inscritti nella medesima traccia: il passaggio in tascabile crea una backlist che si arricchisce di anno in anno, dà una identità precisa allo sviluppo del percorso dell’autore stesso, permette la ripresa di una critica comparatistica e filologica, fa restare a disposizione della comunità una complessità di motivi, suggestioni, intercettazioni di universali che il tempo, in quanto galantuomo, riconoscerà.
Poiché questa è la verità finale, simbolica ma anche pratica: la nostra industria culturale lotta contro il tempo, ma non nel modo in cui la lotta contro il tempo è pensata dall’umanismo (cioè come lotta contro l’erosione della memoria e la persistenza di ciò che è complesso).
Il catalogo non è questo che viene mostrato nelle pochette editoriali. Il catalogo è altro. Su questa alterità si gioca una sfida che è l’avanguardia di un’altra imponente guerra: quella per la preservazione e l’evoluzione dell’umano contro i sostenitori di un meccanicismo cieco, imbelle, smemorato e votato al suicidio e all’omicidio della specie.


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