di Fred Vargas e Claude Mesplède

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Fred Vargas (a sinistra, in una foto di Vivianne Halmy), oltre che archeologa, è una delle più note scrittrici francesi contemporanee. Il suo ultimo romanzo, Sous le vents de Neptune, figura attualmente al primo posto nelle liste dei bestsellers d’oltralpe. Claude Mesplède (nell’altra foto), scrittore ma soprattutto storico del romanzo poliziesco, è autore tra l’altro di un monumentale Dictionnaire des littératures policières.
Questo loro articolo è originariamente apparso su L’Humanité del 7 aprile 2004.

Tanto inchiostro è stato versato sul caso Battisti in un mese, che il primo aspetto da prendere in considerazione è proprio tale straordinaria sproporzione; e la prima cosa da fare è interrogarsi sulla ragione intrinseca di tutto ciò: due anni fa, l’estradizione del professor Paolo Persichetti, rifugiato politico in Francia, è passata quasi inosservata. Al contrario, quella richiesta per Cesare Battisti ha scatenato nei media italiani, e fatto riecheggiare in gran parte della stampa francese, una stupefacente campagna a favore dell’estradizione.

Allo scopo di influenzare e paralizzare l’opinione pubblica, abbiamo visto dispiegarsi un’odiosa propaganda accusatrice totalmente mirata su un uomo che, soltanto un mese fa, era completamente sconosciuto ai francesi. Poiché questa reazione è sproporzionata, e diremmo persino anormale, essa è ricca di insegnamenti: perché è l’espressione sintomatica di un fenomeno ben noto, il mascheramento. In psichiatria si chiama mascheramento il tentativo di evitare e impedire a un vero problema di affiorare alla coscienza, grazie a un’idea ossessiva che finisce per occupare del tutto la mente. Tale parallelo non è privo di utilità: perché nella Storia il mascheramento, orchestrato da un Potere, sia ecclesiastico che statale, medievale o contemporaneo, ha sempre avuto un unico scopo: distrarre l’attenzione del pubblico cercando di focalizzarla con grande risonanza su un obiettivo preciso, identificato come “il responsabile dei mali”, al fine di rendere invisibili verità imbarazzanti o indicibili: l’impotenza o l’errore governativi. Gli esempi di autodafé e di altri roghi destinati a dissimulare le caverne del potere e le sue stanze infestate sono cosa di ordinaria amministrazione nella Storia, come tutti sanno. Questi roghi furono gli alberi scelti per nascondere le foreste.
Oggi l’amplificazione anormale del caso Battisti tradisce un fenomeno totalmente analogo. Battisti svolge la funzione dell’albero, cresciuto fino a raggiungere dimensioni assurde, dipinto come diabolico, con una gabbana da mostro, affinché l’opinione pubblica possa concentrarsi su questa figura posta in primo piano, vacillare e dimenticare tutto il resto. Quale “resto” ? O, in altri termini, qual è la foresta che si presume di poter nascondere grazie a questo albero?
Vale la pena notare come prima cosa che lo scopo, ahimé, è stato abbondantemente raggiunto. La mobilitazione francese contro l’estradizione di Cesare Battisti si imperniava inizialmente su una difesa strettamente repubblicana, ossia: il rispetto della parola data dallo Stato di Mitterrand ai rifugiati italiani nel 1985, e la difesa del nostro Diritto, che non ammette che uno stesso caso sia giudicato due volte. Queste argomentazioni indiscutibili hanno ottenuto all’inizio un’eco innegabile. Ma oggi si perdono nella marea che ha riversato sulla Francia la stampa italiana, così efficacemente operosa nel confondere i termini del discorso e nel sostituire alla questione del Diritto e della Parola quella della Colpa. In nome di questa “colpevolezza” proclamata d’ufficio dalla stampa, e su cui nessuno si sogna di porsi delle domande, l’opinione pubblica ha dimenticato diritto, princìpi e repubblica, per affrettarsi a passare in un sol colpo al partito dell’estradizione.
E’ fondamentale sottolineare che l’orchestrazione di questo baccano non era stata evidentemente prevista. In origine, le estradizioni richieste da un Berlusconi in difficoltà non avevano altro scopo che quello di creare un riflesso di temporanea unità nazionale, poiché tutti i partiti hanno da ridire, in un modo o nell’altro, sugli avvenimenti degli anni di piombo. L’estradizione di Cesare Battisti (seguita da altre, già programmate), doveva sicuramente passare inosservata in Francia.
Ma un minuscolo granello di sabbia s’è infilato nell’ingranaggio, un granello che né il governo francese né quello italiano potevano in alcun modo immaginare: Battisti apparteneva alla famiglia degli scrittori francesi di romanzi polizieschi. Piccolo gruppo totalmente trascurabile costituito da meno di centocinquanta persone, ma solidale e dotato di riflessi politici piuttosto rapidi. Il suo arresto ha dunque infiammato subito questo gruppuscolo di marginali scrittori e, dall’attività di questo imprevisto focolaio, è nata un’immediata mobilitazione che si è estesa come un fuoco di paglia attraverso la Francia a più di 23.000 persone. Rapidamente, questo movimento ha messo in evidenza le verità indicibili sul vecchio processo che aveva condannato in contumacia Battisti all’ergastolo e, di conseguenza, sulle leggi “speciali” emesse dal governo italiano dal 1974 al 1982, senza dimenticare il funzionamento della magistratura di allora, talmente contraria ai diritti umani da meritare una condanna di Amnesty International.
Così, in modo imprevedibile, ritornava in superficie un relitto insabbiato dalla Storia, non propriamente bello a vedersi. Ed è stata questa rivelazione, e non il caso Battisti, a rendere l’Italia incandescente: perché la maggior parte dei politici e dei magistrati che avevano approvato o applicato le leggi speciali su cui si basavano i processi di allora sono ancor oggi in posti di comando. E nessuno di loro desidera veder riaffiorare i dettagli delle misure drastiche cui aveva aderito. Sono in gioco reputazioni, rispettabilità, carriere. Bisogna a ogni costo, e non importa a quale costo, accantonare questo fantasma così pericoloso che i francesi hanno riesumato in modo tanto brutale. Come unica soluzione, dare a intendere in ogni modo che la giustizia di quel periodo fu assolutamente regolare, e dimostrare come il processo contro Cesare Battisti fu “esemplare”. E per fare ciò, occorre non solo rivendicare la colpevolezza del condannato, ma decuplicarla creando un’immagine temibile di quest’uomo: presentarlo come un “terribile assassino”, dal “glaciale sadismo” capace di “sparare su un bambino di tredici anni”, di “finire la sua vittima a terra con un colpo alla nuca”. In modo che, di fronte al “mostro” così dipinto, si smetta di preoccuparsi di come egli venne giudicato, un dettaglio del tutto trascurabile se paragonato alla crudeltà del personaggio.
Detto fatto. Ad esempio, il giovane ragazzo tragicamente ferito durante il delitto Torregiani, e divenuto paraplegico, è costantemente esibito alla televisione italiana come vittima di Battisti. I procuratori di allora sanno per certo che egli fu raggiunto da un colpo sparato dal suo stesso padre, ma lasciano correre la bugia. Perché tutto serve a rendere diabolico l’accusato, e nello stesso tempo a screditare le argomentazioni francesi. Ci si serve di torrenti di contro-verità, di ipocrisie e volontarie elisioni, e pure di attacchi contro i difensori francesi di Battisti. Questa sproporzione serve a definire, per deduzione logica, la vastità stessa della foresta, e la gravità del suo contenuto.
L’intossicazione funziona in pieno, e presto, sul proscenio di questo caso giudiziario, non apparirà altro che un “mostro Battisti” e un pugno di “intellettuali” francesi smarriti, ignari, afflitti da un “complesso di superiorità”, “imbalsamati” e nostalgici rivoluzionari “pseudo-romantici”. La stampa francese (con la notevole eccezione di Libération, Paris-Match, Télérama, Le Nouvel Observateur e L’Humanité, tra i giornali nazionali), fa eco soggettiva alla propaganda italiana. Essa pubblica i devastanti articoli di celebri magistrati italiani che, curiosamente, salgono di persona sugli spalti (tra questi, manco a dirlo, uno dei vecchi procuratori che rappresentavano l’accusa contro Battisti. Il lavaggio del cervello influenza l’opinione pubblica in un’unica direzione, senza alcuna prova né obiettività. Alcuni articoli provenienti dall’Italia, che descrivono la realtà viziata dei processi e la verità sul caso Battisti, non riescono a essere pubblicati. Le parole sono imbavagliate, l’auto-censura dei media soffoca la voce della difesa, e l’aggressione è quasi totale.
Demonizziamo uno stregone, bruciamolo, e stendiamo un velo sulle verità da nascondere. Ecco oggi di nuovo in azione questo tragico gioco dei bussolotti che ha tanto avvelenato la Storia, con tutto lo stridore dei suoi ingranaggi medievali: bruciamo Battisti e dimentichiamo l’ingiustizia del suo processo e di centinaia d’altri processi degli anni di piombo, stendiamo un velo su chi ha ideato, approvato ed eseguito. La procedura è grossolana, mostruosa, ma funziona, e questo è quanto basta.
Degli uomini politici, dei magistrati finiscono per trasformare un uomo in un diavolo, che essi sono pronti a bruciare pur di proteggere la propria reputazione. Li si può chiamare in coscienza degli “uomini di legge”? O non, piuttosto, degli “uomini pieni di sé”? E a chi dobbiamo credere? A questi magistrati che tutelano se stessi? O a quegli analisti che rievocano l’uso della tortura, dell’isolamento penitenziario, degli imputati comprati, dei condoni patteggiati e delle pene soppresse, i nuovi decreti e le nuove leggi destinati a dar vita ai “pentiti” o ai “dissociati”, pronti a fare un nome o a fornire un indizio pur di sfuggire al proprio destino? Alle “testimonianze” così costruite ed estorte? All’uso delle “deposizioni” dei minorenni o dei minorati mentali?
Nel processo Battisti, non una sola delle testimonianze a carico è affidabile, non una rientra nel campo di una giustizia degna di questo nome. In tale processo vennero utilizzati tutti i nuovi strumenti frutto delle “leggi speciali”. Eppure l’accusa oggi afferma l’”equità” e l’ “ordinarietà” della procedura di cui Battisti avrebbe “beneficiato”. Nessuno grida più forte di chi ha un segreto da nascondere. Battisti, da parte sua, non grida affatto. Egli ha sempre negato i quattro omicidi che gli furono imputati, ma nessuno l’ascolta. Vengono ascoltate invece le grida dei “saggi”, dei “potenti”, dei “giudici” incapaci per definizione di mentire, sebbene compiano oggi flagranti reati di occultamento di tutti i tipi, di fronte ai fatti storici.
Se, tra un secolo, gli storici studieranno questo caso, l’attribuzione delle reali responsabilità sarà per loro un gioco da ragazzi. Perché, se non fosse in gioco l’estrema gravità delle vitali conseguenze per Cesare Battisti, lo svolgimento del processo in corso sarebbe un regalo per gli storici, che vi vedrebbero riprodotta in fotocopia l’antica pratica della demonizzazione destinata a dissimulare l’indicibile.
E perché mai, col pretesto che il caso Battisti si svolge al giorno d’oggi, non potremmo guardarlo fin d’ora con gli occhi di uno storico? Grazie a questo semplice sguardo distaccato e oggettivo, fisso sui meri fatti e sul contesto dell’accusa, le ombre e le luci ritrovano il loro giusto equilibrio. E, uscendo dalle fumisterie in cui vogliono imprigionarci, emerge allora evidente la presunzione d’innocenza di Battisti.
Ecco perché, accanto al valore assoluto del diritto e della parola data dallo Stato, una visione storica dei fatti, dei passaggi e delle tappe che si sono succeduti nel corso di questo mese di marzo 2004 accresce in modo formidabile la leggibilità del caso Battisti: una simile visione rivela l’esistenza di una foresta tabù che uno smisurato albero Battisti dovrebbe nascondere. Una foresta così fosca, un relitto così pesante, che ogni estradizione verso l’Italia è inimmaginabile. Perché la Storia è là, che osserva, che sa, e che, in ogni caso, saprà. E soltanto la storicizzazione degli anni di piombo permetterà all’Italia di superarli. In attesa di questo processo di salvezza, nessun italiano rifugiato potrà oggi venire estradato verso la prigione senza che la Storia si tinga di vergogna ad vitam aeternam, da entrambi i lati delle Alpi, per questi due popoli amici.

(Trad. di Francesca Valentini)