di Daniela Bandini

12.jpg

10 storie per la pace, a cura di Alessandro Bertante, ed. Piemme, 2003, pp. 159, € 10,00 ( 2 a favore di Emergency). Autori: Carlo Lucarelli, Franco Scaglia, Piero Colaprico, Sandrone Dazieri, Giancarlo De Cataldo, Laura Facchi, Giuseppe Genna, Antonio Scurati, Alessandro Bertante, Valerio Evangelisti.
Dieci storie per la pace è una piccola ma intelligente raccolta di racconti di autori italiani avente per tema la pace e il modo di raccontarla. Una raccolta che ancora una volta dimostra la sorprendente vitalità di questi autori, conosciuti e meno conosciuti, che rappresentano così bene la nostra contemporaneità. Il legame tra queste trame, se esiste, è a mio avviso rappresentato dall’impossibilità di chiamarsi fuori della storia. L’evento della guerra è qualcosa che sembra impregnare la natura umana, quasi fosse inscindibile da essa. La sfida della pace, intesa come relazione etica e paritaria tra gli uomini, pare dipendere da uno sviluppo delle relazioni interumane che oggi non è neanche lontanamente percepibile, e che forse lasceremo come utopia alle generazioni future. Oggi non ci riguarda, nel modo più assoluto.


Questo pessimismo è ben presente in tutte le storie dell’antologia: in nessuna vi è la speranza di un mondo migliore. Sembra che la migliore e più fiduciosa relazione con il futuro sia resistere almeno sul piano della coerenza personale, immersi in un mondo governato da chi non riconosciamo neanche rappresentante del “nostro” genere umano.
Nel suo Italia, Carlo Lucarelli affida a Italia, una giovane insegnante sempre sorridente, il compito di soffrire e capire l’irreversibilità della guerra nel bombardamento di un cimitero. Quando anche la volontà di distruzione sembra non resistere di fronte all’estrema incoerenza di colpire qualcosa che non ha più senso annientare: la morte.
Uri e Maria di Franco Scaglia è il racconto estremamente poetico di un amore impossibile tra un ebreo e una palestinese cristiana, un amore che trascende il rapporto a due per diventare “la” pacificazione tra i popoli, nella tentazione di condividere nel profondo l’appartenenza alla stessa terra e al travaglio della storia che l’ha attraversata.
Muoia Sansone di Piero Colaprico è un racconto che è l’emblema della comunicazione impossibile tra la rappresentazione del potere (qualsiasi esso sia) e il cittadino. Il potere, “il Presidente”, come visione irrazionale della parte schizoide della nostra psiche. Un potere che è sempre più Il Potere.
Wrooom! di Sandrone Dazieri è una storia a tratti seriamente umoristica, in cui l’estrema conseguenza di un sistema modellato ad personam porta i peggiori criminali, psicolabili o veri e propri borderlines, a ottenere la garanzia totale dell’impunità se si affidano a una sorta di superstruttura forense, capace di vendere diritti d’immagine, d’autore, televisivi e quant’altro.
Nella Confessione di un dittatore alla CNN (il sostituto), Giancarlo De Cataldo propone il racconto autobiografico di un sosia, presumibilmente di Saddam Hussein, preso da piccolo dalla strada e condotto attraverso l’indottrinamento a ricoprire il suo ruolo. Ma è indottrinamento per via delle specifiche causali gerarchico-religiose o si può assimilare all’istruzione di un qualsiasi master in economia globale? Certo, l’oggetto è sempre Il Potere, dunque disgustoso.
Sette giorni di Laura Facchi, ovvero l’impossibilità di dichiararsi fuori. E’ un racconto emblematico, praticamente perfetto, di come il dolore e la sofferenza siano in realtà uguali per tutti. Non è scontato. E di come in un processo storico di mutamento non vi sia chi “fa” la storia e chi la scrive. E’ un unico procedere parallelo, inesorabile, violento o suadente, che trascina anche colui che credeva che la campana suonasse sempre per qualcun altro.
Discorso di accettazione a Membro Onorario della Società Rotariana di Pechino tenuto da Gorge Bush Sr. il 15 ottobre 1978 di Giuseppe Genna. Semplicemente fantastico lo stile di Genna: ieratico, impossibile, esaltante, esasperante, assolutamente unico. Un racconto non riassumibile se non nell’essenza più vera della storia, o in quella che io ho riscontrato: Gorge Bush junior, l’incarnazione del padre, del figlio e dello spirito santo. C’è stato un momento, nella lunga e attesissima notte dell’invasione dell’Iraq, quasi un 31 dicembre, con l’orologio che scandiva le ore, poi i minuti al contrario, meno tre, meno due, meno uno… in cui ho avuto la percezione assoluta ed esatta di una telefonata di Bush Jr. al padre in cui diceva: “E allora, papà, sei fiero di me?” E la sensazione era raggelante.
Dell’Hotel des Invalides di Antonio Scurati rimane fortemente impressa la figura del reduce, con le sue ferite, con il corpo e la mente mutilati, con l’ossessione del racconto dell’episodio di guerra, così uguale e così unico perché vissuto da persone diverse. La mutilazione è un affronto esplicito, e volutamente esposto. E’ un racconto cinico, quasi sprezzante nel descrivere l’inutile pulsione umana delle singole volontà. L’ultimo reduce è quello che conserva il segreto, il particolare dell’evento, la rivelazione che non arriva.
Tutta questa gente di Alessandro Bertante, semplice e agghiacciante, è la storia di un contadino semianalfabeta reclutato a forza, in un lontano conflitto del 1890. Commetterà delitti atroci, spietati e barbari, con lo stupore ebete di averli commessi. Attualissimo, purtroppo. In tutte le guerre immaginiamo personaggi simili, per i quali proviamo pietà e disprezzo. Scevri da ogni ideologia, col nostalgico ricordo di antiche carezze.
Rachid, di Valerio Evangelisti, rappresenta l’immedesimazione nel dolore di un’altra cultura. Una cultura così lontana, ma così lontana che le sue stesse parole sembrano impronunciabili da noi occidentali, cui il primo dolore fa urlare la bestemmia. Eppure la rabbia, l’umiliazione, la fratellanza, il valore e il coraggio, bisogna pur che abbiano una parola che li rappresenti. E su cui soffermare la coscienza.