di Sandro Modeo

singercover.jpgsinger.jpgCircola una luce fredda, quasi nordica, nel nuovo libro del filosofo australiano Peter Singer. E’ una luce che restituisce il «mondo unico» della globalizzazione (l’argomento trattato) ai suoi connotati e ai suoi rilievi più oggettivi, spogliandolo davvero da ogni pregiudizio ideologico. Alle sinistre, per esempio, Singer suggerisce di mettere Darwin accanto a Marx per demistificare una buona volta il mito di una «cultura» (leggi scuola ed educazione) capace di incidere a fondo su una «natura» umana geneticamente violenta e discriminatoria: per capire, quindi, come il diritto e la legge possano solo frenare il Far West socioeconomico della specie. E suggerisce più rigore logico rispetto ad altri miti come quello del «relativismo culturale», perché proprio una difesa radicale delle ragioni di ogni popolo porta a giustificare anche l’imperialismo e il colonialismo occidentali.

Alle destre, invece, ricorda come il «mercato senza regole» sia un meccanismo la cui «mano invisibile» non redistribuisce le ricchezze secondo i bisogni (come credeva Adam Smith), ma le concentra anzi in maniera oscena: solo per ottusità o malafede si può bollare per «demagogico» il dato che vede i tre uomini più ricchi del mondo detentori di un reddito pari al Pil di tutti i Paesi più poveri (600 milioni di persone). Non solo: agli avversatori sprezzanti delle politiche ambientali (che strumentalizzano spesso i dati dell’ecologista di sinistra Bjorn Lomborg) spiega le innegabili alterazioni climatiche prodotte dal buco dell’ozono e dall’effetto-serra, e dimostra come in un ambiente globale un consumatore di spray aerosol a New York possa contribuire all’insorgenza di un tumore della pelle, qualche anno dopo, in un abitante di Punta Arenas nel Cile.
La stessa dialettica tagliente viene applicata a tutti i versanti della globalizzazione. Un esempio è quello del sapere scientifico-tecnologico, il quale – demonizzato da larghi settori di ogni fede politica per la sua invadenza «anti-umanistica» – viene invece inquadrato come il vero motore del progresso sociale e della globalizzazione stessa «in lunga durata» (cioè a partire dalle scoperte geografiche cinquecentesche) e quindi restituito alla sua neutralità: un aereo può infatti portare medicinali o bombardare dei civili. Un altro esempio è dato dalle Istituzioni adibite a una globalizzazione «giusta». La Wto (l’organizzazione del Commercio che dovrebbe presiedere agli accordi multilaterali) è indirizzata dall’oligarchia delle potenze egemoni (quelle, ironizza Singer, che hanno un ufficio a Ginevra) e dà lo stesso peso politico a Paesi come l’India (un miliardo di abitanti) e l’Islanda (250.000). L’Fmi (il Fondo monetario che dovrebbe erogare prestiti a Paesi in crisi) li elargisce solo ad alleati filoamericani (Egitto e Israele) o a Stati che garantiscano un ritorno economico-strategico. E anche l’Onu (che dovrebbe stabilire il ricorso alla forza in presenza di violazione dei diritti umani) è strangolata da una Carta in cui gli articoli 55-56 (vòlti a legittimare gli interventi) sono in conflitto con l’articolo 2 (7) sull’inviolabilità militare dei singoli Stati.
La diagnosi che deriva da questo quadro è disperante. Presi a mezzo tra le grandi corporation e la criminalità organizzata, i governi nazionali sono ridotti all’impotenza, o degradati a cerniere di ratifica (attraverso funzionari corrotti) proprio degli interessi di multinazionali e/o mafie: i molti governi africani autoritari o il disfacimento della Russia sono lì a dimostrarlo. Ma se le soluzioni per uscire da questo scacco sono poche e laboriose (il ricorso a istituzioni sovranazionali come l’Ue o un’Onu riformata), Singer non ha dubbi su quale sia l’ostacolo più serio: la politica degli Stati Uniti, specie dell’attuale amministrazione. In particolare, Singer rimarca la gravità del «doppio standard», di quel doppiopesismo per cui gli Usa fermano la vendita dei farmaci anti-Aids in Sudafrica per tutelare i brevetti, e poi (post-11 settembre) chiedono alla Bayer uno sconto per il «Cipro» anti-antrace, pena l’acquisto di un altro farmaco generico; oppure non aderiscono al Tribunale penale internazionale dell’Aja (per la tutela dei diritti umani) ma istituiscono in patria Tribunali militari in cui tortura e pena di morte sono previste anche senza prove pubbliche; e per finire fanno poco o nulla per assecondare l’Onu in Africa (vedi Somalia) ma ne «bypassano» gli ispettori quando gli interessi sono rilevanti (vedi Iraq).
A trarre le estreme conseguenze dalla lucidità di Singer anche la «superpotenza Canaglia» è esplicabile, in termini darwiniani, attraverso la legge del più forte. Ma proprio perché conosce bene Darwin e la biologia, Singer ci ricorda che non esiste un determinismo assoluto: che la presenza, nei nostri geni, anche di una pulsione altruistica, fa da controspinta a quella egoistico-discriminatoria. E proprio perché sa che il margine di libertà delle nostre scelte è esiguo, sembra suggerirci a ogni riga che il senso di responsabilità che ne deriva per ognuno di noi, nessuno escluso, è – invece – immenso.

Peter Singer – One World – traduzione di Paola Cavalieri – Einaudi – 14,80 euro