di Dziga Cacace

DzigaCacace1.jpg[Dziga Cacace è uno degli autori del programma televisivo Le Iene, e critico musicale del mensile Rolling Stone. Da molti anni regala agli amici una pubblicazione autoprodotta, in cui passa in rassegna i film che ha visto o rivisto, vecchi e recenti, con brevi giudizi spesso spietati. Carmilla ha deciso di proporre, con ritmo all’incirca settimanale, tutti i volumetti di Dziga Cacace, cominciando dal primo, Lo sguardo mutilo. Rispetto all’edizione originale mancano solo gli exergo, per ragioni tecniche.] (V.E.)

E la vita, la vita…

Bisogna fare un salto nel tempo: a due anni dal conseguimento della laurea raggiunsi la consapevolezza che io, l’architetto, non lo avrei mai fatto. Serviva un piano B, una via d’uscita. E cosa poteva sognare di fare un ventenne indeciso? Ovviamente il cinema. Scritto.

Per far le cose per bene iniziai una stagione di studio matto e disperatissimo: recuperai i libri degli amici che frequentavano Dams e Lettere moderne e iniziai a consumare film in quantità industriale. In casa arrivò il videoregistratore e io razziai le videoteche di Hilda e Barbara, ricche di titoli storici. Poi, in rapida sequenza, tre eventi fondamentali: la frequentazione assidua di un cineclub, il Lumière; l’eredità di un vespino Pk 50 che elevò la mia produttività a livelli sudcoreani; e infine, nell’ottobre 1995, l’arrivo in casa di un malandato computer 286, lento e coglione, facile all’impastamento improvviso e senza recupero dati. Ma finalmente potevo fissare su un qualche supporto informatico tutte le fregnacce che mi giravano per la testa.
Iniziò così la folle impresa di registrare tutte le mie visioni: gli uomini sono ciò che mangiano e probabilmente sono anche ciò che vedono. Ecco, io sono (anche) i 2000 film che ho visto negli ultimi dieci anni. Ho cominciato scrivendo semplicemente i titoli dei film che vedevo, a futura memoria. Poco a poco ho aggiunto una frase di commento, un particolare che avevo notato, un’impressione, una curiosità. Diventarono delle piccole recensioni. All’inizio boriose, superficiali, ignorantissime (probabilmente le più divertenti). Poi la cosa si fece seria: gli amici pretendevano commenti più elaborati e l’annuario di Dziga Cacace divenne un obbligo, tanto che a un certo punto credetti anche di poter diventare un critico serio. Ma la mia mercanzia non interessava a nessun editore: il mondo è già pieno di cialtroni che fanno i critici cinematografici e nessuno ha bisogno dell’ennesimo, oltre a tutto consapevole e orgoglioso della sua cialtronaggine.
La febbre cinefila durò ancora per qualche anno, con l’ansia di conoscere tutto, di studiare per capire e col sincero divertimento della scoperta, l’accanimento del collezionista, l’ansia della rivalutazione o del ridimensionamento dei classici. Importunavo gente del settore, bazzicavo gli sporadici set genovesi, molestavo con interviste critici professionisti, sperando di essere illuminato dal loro sapere e di individuare la retta via.
Sono passati dieci anni: la febbre è scemata, vivo in un’altra città e i lettori a cui mi rivolgevo una volta non li frequento più. Ormai vedo pochi film, sono fuori dal dibattito e al cinema non mi diverto neanche tanto. Tengo famiglia, mutuo e pancia e dover commentare tutto ciò che vedo rischia di diventare una routine senza divertimento. È ora di finiamola, direbbe Totò.
Ma se volevo fissare su carta la mia educazione sentimentale cinematografica, bene o male ci sono riuscito. Sono dieci anni di vita dove ritrovo gioie e dolori da spettatore (e cittadino), lungimiranti consapevolezze e ignoranze clamorose, in un’opera faziosa e spesso ottusa, per niente esaustiva, tanto meno attendibile. Nessuno sarà interessato a pubblicarla, è ovvio, ma io confido sempre nell’extraterrestre che tra centomila anni troverà questo file e si chiederà chi era il regista di Altrimenti ci arrabbiamo.
Queste centinaia di pagine non sarebbero mai state scritte senza (l’aiuto, la litigiosità, l’incoraggiamento e la pignoleria di) Barbara, Pier Paolo, Alessandra, Hilda, Ferro, Enrico Giannubilo e Claudio Schenone, zia Luisa, Mariella e Luciano, Francesca e Giorgio, Simona e Andrea, Stefano Sitia, Paolo e Pitta, Dippa, Raffa, Chicca e Zook, Alberto e Paolo Ghiara, Enrico Musso, Simona O. e Marco, Irina e Pietro, Mario Bozzocosta, Paola e Diego, Matteo e Nuria, Roberto Marcanti, Simona Raya, Andrea Bempensante, Paolo e Francesca, Claudia e Peter, Franz Scarpelli, Lina e Armano, Rossana Vitiello, Marco Polese, Luisa, Laura e Morando Morandini, Claudio G. Fava, Carlo Micciché, Fabrizio Battocchio, Paola Capra, Axel Fiacco, Alberto Sigismondi, Giovanna Amista e il suo network di a me ignote lettrici. E poi l’ultimo prezioso lettore: Eugenio Bonacci.
Grazie a tutti loro e buona lettura.

Dedicato a Pier Paolo, compagno d’innumerevoli visioni (cinematografiche e non) e straordinario umorale critico; a Barbara, che ha visto per prima La passione degli scacchi di Pudovkin; a Hilda, che vede poco, ma oltre; a Enrico e Claudio, che, pur avendo visto migliaia di film, non hanno colto la sublime levità di Io ballo da sola.

Introduzione

Ho scritto questa congerie di puttanate nell’arco di un anno e mezzo e l’ho fatto per diversi motivi: innanzitutto volevo creare una sorta di diario di cui servirmi per ricordare tutti i film della stagione e per tenerne il conto (e sono lontani i tempi in cui il mio diario era un pappone melenso in cui mi sentivo Un eroe del nostro tempo e, lamentabundo, piagnucolavo; Dio che prosa!).
In secondo luogo (ma sto evidentemente facendo un po’ di teatro) necessitavo di uno strumento (prime ghignate dell’incauto lettore) che m’aiutasse nei lavori di catalogazione per l’erigendo Laboratorio Multimediale della Facoltà di Architettura di Genova e per l’organizzazione delle rassegne al Cineclub Lumière.
Infine, l’idea nasceva dall’esigenza di raccogliere le mie elucubrazioni in materia filmica, dal momento che, prima o poi, tutti questi film saranno motivo d’interminabili logomachie con Hilda e Pier e, specialmente nel caso di Hilda, converrà avere da parte qualche argomento per almeno, diciamo, pareggiare.
Dette le motivazioni ufficiali di questa follia, bisogna anche ricordarne i motivi strutturali: la logorrea, forse parzialmente mitigata dal lavoro recensorio (salva di risate), la compulsiva grafomania che m’affligge e l’innegabile esibizionismo che mi porta a sproloquiare di cinema come se fossi un vero critico.
Scritto durante le notti insonni e nelle consuete attese di Hilda in ritardo, questo diario s’è trasformato, da scarno elenco alfanumerico, in un essere mostruoso che dopo ogni visione televisiva o cinematografica pretendeva, come il cerbero dantesco, una pseudorecensione; ne è venuta fuori una porcata zeppa di anacoluti, di errori grammaticali e di concetto, di ripetizioni e di cazzate manifeste che, però, ha il coraggio di dire chi sono i colpevoli.
L’idea iniziale era di “coprire” un anno di visioni cinematografiche, poi la pressione dell’editore e la curiosità del pubblico hanno spinto nella direzione di una fantastica strenna natalizia che potesse ridare fiato all’asfittico mercato dell’editoria. Ho resistito alla tentazione di infliggere una batosta all’Alberoni di turno e, sprezzante di ogni logica commerciale, faccio uscire il libro secondo il mio porco comodo. Le recensioni, che vanno dal 1° settembre 1995 al 1° febbraio 1997, sono 365, alcune minime e pigre, altre straripanti e geniali. Alcuni film sono stati visti più volte: le recensioni, in questo caso, sono uniche se le visioni erano ravvicinate, diversamente se soprattutto emergevano nuove fondamentali questioni.
Prima d’augurarvi la consueta buona lettura ancora qualche considerazione: in primis NON si può vivere senza Bertolucci, per cui, qui, non troverete critiche severe neanche alle cose più imbarazzanti del Maestro (abbondanti in tempi recenti); in secundis molti “classici”, per evitare peana banali e ripetitivi (peraltro profusi per altri film), hanno un commento di cortesia; infine, nessun criterio estetico, morale, ideologico etc., etc., (compresi i due sopra citati) ha rigidamente indirizzato i giudizi: è perlopiù prevalso il noto “metodo Calza”, metodo secondo il quale il valore del film è direttamente proporzionale alla qualità della digestione in atto durante la visione. (il “metodo” prende nome dalle abitudini di Pier Paolo Calza, fratello tante volte citato semplicemente come Pier).
Buona lettura.

Nota all’edizione 2001
Questa è l’ennesima edizione riveduta e corretta (ma non troppo!) della prima e ormai leggendaria comparsa editoriale di Dziga Cacace. Il file originale è andato progressivamente evolvendo e oggi non esiste più. Solo chi possiede la prima, mitica edizione su carta sa quali errori siano stati commessi e quali correzioni siano state apportate. Eh eh.

1-Cyclo di Tran Anh Hung, Francia/Vietnam 1995

Claustrofobico e soffocante, Cyclo è una fotografia del Vietnam d’oggi dove, come in Ladri di biciclette, ci s’arrangia per vivere e un mezzo a due ruote rappresenta una ricchezza inestimabile. Mafia, padrini, prostitute, violenza: tutto raccontato con montaggio e inquadrature virtuosistiche che denunciano il passato pubblicitario del regista e che, incredibilmente, ben si adattano al soggetto. Il finale è dolce-amaro: dopo la caduta agli inferi del protagonista c’è la resurrezione a una vita nuovamente difficile. Bellissima la figura dell’enigmatico pappone, silenzioso e amareggiato; straordinarie le scene in discoteca (complice una colonna sonora da brividi) e lo stordimento per droga e vernice blu del personaggio principale. Logico che a Pier non sia piaciuto: l’avrà visto come sesto film giornaliero durante la rassegna milanese che liofilizza il Festival di Venezia. (Cinema Ritz, settembre 1995)

2-Last Action Hero di John McTiernan, USA 1993

Apprezzabile tentativo metacinematografico del non troppo ottuso Schwarzenegger; il film però si perde presto anche in gag clownesche col risultato di rimanere in bilico tra l’ironia e lo spettacolo per bambini scontentando sia i pupi, sia gli adulti (non a caso è stato un flop di dimensioni colossali). A ogni modo il film è dignitoso e con qualche scena francamente godibile. E comunque Schwarzy mette più autoironia in questo film che Stallone in tutta la sua carriera. (Vhs)

3-Triplo gioco di Peter Medak, USA 1993

Ennesima variazione sul tema del poliziotto corrotto che si vende alla mafia; cast sontuoso, con un Gary Oldman che dà letteralmente il bianco (in futuro eviterò una terminologia così specialistica, scusate) in più di una sequenza. Divertente e coinvolgente, riesce a non irritare evitando i vieti luoghi comuni del genere e assurge quasi a culto quando rinuncia in modo spiazzante al consueto lieto fine. Da vedersi, se non altro, ribadisco, per l’immenso Oldman, che ci regala la miglior camminata claudicante dai tempi di Un uomo da marciapiede. (Vhs)

4-It’s All True di Orson Welles, Bill Krohn, Myron Meisel, Richard Wilson, USA/Francia 1993

It’s All True ricostruisce uno degli innumerevoli film non finiti di Welles e documenta, attraverso le testimonianze di chi lavorò a questo progetto, un fallimento produttivo che perseguitò a lungo il Maestro di Kenosha. Il documentario è abbastanza interessante. Il materiale lasciato dal Maestro è invece assolutamente straordinario, nonostante la povertà di mezzi in cui si trovarono Welles e la sua esigua troupe (due persone). Senza carrelli, gru e altri macchinari, Welles punta tutto sulla composizione, sulla fotografia e sull’espressività dei visi dei pescatori brasiliani. Un tuffo al cuore quando c’è la corsa del bambino tra le reti o nella scena del funerale… Montare a posteriori i film altrui è uno sporco lavoro; grazie a Dio qualcuno lo fa: ameremmo Springsteen se non avessimo le registrazioni pirata dei suoi concerti? Viva i bootleg! (Cineclub Lumière)

5-Creature del cielo di Peter Jackson, Nuova Zelanda 1994

Spiazzante: il ritmo della commedia (dopo l’enigmatica scena iniziale), la profusione di effetti speciali e la recitazione un po’ manierata delle protagoniste rendono la prima parte vagamente dolciastra ma, nel secondo tempo, il tranquillizzante virtuosismo del regista si trasforma in lucida follia. Il montaggio si spezza, la recitazione diventa convulsa, il ritmo aumenta… il caos, fino al tragico finale. Gran storia (vera) e ottimo lavoro. Godurioso. (Cineclub Lumière)

6-Il toro di Carlo Mazzacurati, Italia 1994

Film minore e non urlato, con Abatantuono che finalmente non fa la macchietta e dove, senza retorica o facili lacrime, si vedono la disperazione portata dalla guerra e il dramma di chi, nel Belpaese, rimane senza lavoro. Bravo Citran, stupendo Fossati (con la toccante Naviganti sui titoli di coda) e ottimo Mazzacurati che amalgama il tutto in uno stile scarno, asciutto ed essenziale dove il rigido inverno ungherese è più eloquente di tanta retorica cinematografica. Minimale, ma senza la freddezza del genere. (Vhs)

7/8-Il corvo di Henri-Georges Clouzot, Francia 1943

Film maledetto che procurò più guai che gloria al regista francese; l’atmosfera torbida, le luci violente, i dialoghi spezzati, i personaggi sfuggenti e la calma irreale della cittadina di provincia sconvolta da una inspiegabile catena di delitti rendono il plot inquietante e avvincente. Buono il ritmo e anche qualche illuminante sequenza di matrice espressionistica (la fuga dal funerale del presunto Corvo) per un regista che dicono con alti e bassi, ma gli alti, che qui mi sembrano prevalere, sono talvolta sublimi. Visto e rivisto nel giro di una settimana: notevole. (Vhs)

9-Sorvegliato speciale di Una Bestia, USA 1989

Puzzonata che riesce addirittura a far rimpiangere Rocky III. La banalità assurta a sistema: così prevedibile, così falso, così rispondente ai più ovvi cliché che vederlo è un piacere perverso, giocando a indovinare lo svolgimento della trama e la sorte dei protagonisti (anche se è facile azzeccare). Stallone si trova in un carcere di massima sicurezza per un (ovvio) errore giudiziario (la solita magistratura di sinistra); il direttore del carcere (un bolso Sutherland) decide di stroncarlo (senza alcun motivo plausibile…. o mi ero assopito, boh) e giù botte da orbi, ricatti, soprusi… Gli fanno il vuoto attorno, gli uccidono i pochi amici che si era trovato (chiaramente buonissimi e finiti in carcere per astrusi motivi ), gli minacciano la moglie, lo torturano… Quando la misura è colma il nostro eroe s’incazza: fa scoppiare, praticamente da solo, un casino d’inferno e, allorché tutto sembra perduto, estorce al direttore, dietro minaccia di folgorazione sulla sedia elettrica del penitenziario, una piena confessione dei suoi misfatti. Incredibile! L’estorta confessione convince tutti e lo rende libero alla faccia di qualunque logica giudiziaria. Mortale e sublime. (Diretta TV; 20/9/95)

10-Bella di giorno di Luis Buñuel, Francia 1967

Ho messo un po’ a capire quali erano le parti oniriche e quali quelle che la Deneuve viveva realmente… ma non è colpa di Buñuel, sono io un po’ tonto. Comunque: intrigante nella sua atmosfera sospesa e nel percorso nevrotico e dissociato che porta Belle de jour allo sdoppiamento. Enigmatico e corrosivo: forse fingo d’averlo capito, chissà… E cosa cacchio faceva vedere il giapponese alla Deneuve per divertirla così tanto? Vabbeh, ho scoperto che da trent’anni a questa parte non l’ha capito nessuno. Geniale! (Vhs)

(1-CONTINUA)