di Alessandra Daniele

DamonKnight.jpgEsistono generi codificati come una liturgia che da questo traggono anche parte della loro forza: il western, il poliziesco, il fantasy sword & sorcery… Esiste anche un tipo di fantascienza simile a essi, qualcosa a volte capace di confezionare prodotti gradevoli, ma che non esprime l’autentica essenza della SF che al contrario consiste soprattutto nella capacità — anzi, quasi nel dovere statutario — di rompere tutti gli schemi a cominciare dai propri. Molti fra i migliori scrittori di SF infatti partono dagli schemi più classici proprio per infrangerli, spesso ribaltarli completamente, e ottenere così il più spiazzante e antiretorico dei risultati.
Damon Knight (1922 — 2002) è uno di questi maestri.

Il disincanto è la sua cifra distintiva almeno quanto l’attenzione alla psicologia dei personaggi, e lo dimostra fin dai suoi primi capolavori. Come il racconto Non sarà con un botto (“Not With a Bang”, 1950), nel quale affronta uno dei principali topoi della letteratura fantastica, la giovane coppia di sopravvissuti “nuovi Adamo ed Eva”, per smontarlo con geniale crudeltà, arrivando al finale apocalittico più beffardo mai scritto. Quattro in uno (“Four in One”, 1953) rivoluziona poi il classico tema dell’assimilazione aliena: quattro archetipici esploratori umani scopriranno infatti che la forma di vita extraterrestre che li ha fagocitati non li annienterà, ma al contrario consentirà loro di fondersi, e trasformarsi attraverso una sorta di “matrimonio alchemico” nel super-umano del futuro.
Il protagonista di Maschere (“Masks”, 1968) è un cyborg molto particolare, l’intrusione del metallo nella sua carne non ne ha pregiudicato l’umanità, quanto piuttosto svelato la disumanità, dimostrando come in realtà fosse il suo volto umano la vera maschera. Come le ritualizzate contrapposizioni fra le varie società de Il lastrico dell’inferno (“Hell’s Pavement”, 1955) nascondono sotto la facciata di un apparente pluralismo culturale un unico globale psico-totalitarismo capitalista. Il più profetico dei suoi lavori, un ritratto perfetto della planetaria dittatura del mercato, che anticipa due dei principali cardini del Cyberpunk: le megacorporazioni che sostituiscono gli stati, e la percezione della realtà distorta e manovrata attraverso impianti corticali.
Il romanzo Il pianeta dei superstiti (“The Sun Saboteurs”, 1961) ribalta poi il sogno della conquista umana dello spazio: nell’universo descritto da Knight i terrestri non sono che profughi sbandati, completamente responsabili della distruzione del loro pianeta, e per le loro usanze malsopportati dagli alieni che li ospitano ai margini delle loro ipertecnologiche e rigorosamente pacifiche metropoli planetarie. Schiacciati dal senso di fallimento, dalla raggelante incomunicabilità con le altre specie, e dalla terribile consapevolezza d’essere l’unica specie barbara della galassia, i terrestri sono vittime dei loro peggiori demoni interiori, incarnati dai due indimenticabili protagonisti stupendamente tratteggiati. La struggente malinconia di Lazlo, e l’oscura furia genocida di Rack, raccontate con il consueto stile intenso e raffinato di Damon Knight, fanno de Il pianeta dei superstiti un amaro, profondo e inquietante capolavoro sulla natura umana.
Parallela all’attività di scrittore Knight ne conduce un’altra – molto feconda – di critico letterario, fondatore del sindacato degli scrittori americani di fantascienza (SFWA) e curatore di riviste e antologie, caratterizzata dalla stessa passione per l’innovazione intelligente e coraggiosa, dallo stesso desiderio di sfatare i luoghi comuni sulla SF, a cominciare da quello che la etichetta come letteratura “inferiore” e perciò indegna di qualsiasi seria analisi critica. Le acute disamine – e le ficcanti stroncature – di Damon Knight contribuiscono così a fare la storia della fantascienza moderna quanto le sue migliori opere narrative. Entrato nel mondo della SF come moltissimi colleghi dalla porta del fandom in piena Golden Age, Knight vi rimarrà da protagonista fino all’ultimo, anticipando tematiche cyberpunk, come l’infinito video-regresso di Ti vedo (“I See You”, 1972) e continuando a cercare di capovolgere gli stereotipi. Come nell’ultimo capitolo della trilogia della Sea Venture I Simbionti (“A Reasonable World”, 1991) una storia di alieni che invadono le menti degli umani per tentare di renderli… finalmente più umani.

I precedenti profili di grandi autori della fantascienza curati da Alessandra Daniele:
Robert A. Heinlein
Isaac Asimov
Alfred E. Van Vogt
Theodore Sturgeon parte I
Theodore Sturgeon parte II
Robert Silverberg
Fritz Leiber
Fredric Brown
Frederik Pohl
Jack Vance
Robert Sheckley
Alfred Bester
Richard Matheson