superstition.jpgdi Danilo Arona

SUPERSTITION – THE NANNY THEY CALLED A WITCH

Cosa può accadere durante l’infanzia di un’autentica firestarter? Può definirsi una normale coincidenza che l’incendiaria Carol Compton, protagonista suo malgrado di uno dei più incredibili casi di malagiustizia italiana, sia nata e vissuta fino al compimento dei suoi vent’anni vicinissima alla Blue Bell Hill nella contea inglese del Kent, laddove una certa Melissa Parker trovò la morte a poche ore del suo matrimonio la mattina del 29 dicembre 1965?

Fu da allora che la Blue Bell Hill divenne uno dei luoghi più infestati del mondo. E da quella stessa data la vita per Carol Compton fu segnata. Centinaia di automobilisti iniziarono a subire nel punto di quel tragico incidente, la sommità della collina, una serie di incontri ravvicinati con il fantasma di Melissa Parker secondo gli schemi classici della leggenda urbana dell’autostoppista evanescente: il conducente diretto verso nord a notte fonda vede sul lato della strada una giovane donna in attesa, vestita quasi a festa e con abiti fuori moda. Capita quasi sempre in autunno o in inverno, quando la nebbia è un colore di fondo che rende tutto indistinguibile, i morti dai vivi, e non a caso si dice da queste parti che i fantasmi sono “fatti di nebbia”. A volte la carica in auto per darle un passaggio a casa, ma durante il tragitto la ragazza sparisce lasciando al suo posto una putrida chiazza d’umido. In altri casi gli autisti vivono nettamente la percezione di travolgere una ragazza ferma al centro strada, ma una volta scesi dall’auto non vedono nessuno, né ragazze ferite o cadaveri. La polizia locale ormai ci ha fatto il callo. Ma in parecchi casi si riscontra una variante anomala.

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Ecco ad esempio un caso “classico”. E’ la notte dell’8 novembre 1992, una domenica. Molto dopo mezzanotte, la Ford di Ian Sharpe, 54 anni, esce di strada a velocità non sostenuta dalla corsia sud sulla A229 a circa quattro miglia da Maidstone. Sharpe ha scartato di colpo sulla sua sinistra perché una giovane donna è apparsa all’improvviso davanti al suo veicolo, gli occhi fissi e puntati su di lui, buttandosi quasi sopra il cofano dell’auto. Sharpe, che ha percepito senza ombra di dubbio la “solidità” del corpo e dell’impatto, esce dall’auto inorridito e convinto di avere ucciso una ragazza con propositi suicidi, ma non trova alcunché, né sull’asfalto né dentro i fossi adiacenti e neppure nei campi che circondano la strada. Dopo avere tentato invano di fermare due macchine per farsi aiutare, Sharpe decide di raggiungere Maidstone per denunciare l’incidente alla polizia. Alla stazione, piangente e pallido come un cencio, riferisce di avere travolto una ragazza vestita da festa sulla cima della Blue Bell Hill, ma nel contempo scorge strane espressioni sui volti dei poliziotti che stanno raccogliendo la sua deposizione. Da lì a pochi secondi qualcuno lo informa che ha incontrato il famoso spettro che infesta la collina, ma, dal momento che c’è una denuncia di mezzo, non si può far altro che recarsi tutti assieme sulla scena per cercare riscontri dell’incidente. Davanti all’attonito Sharpe, una dozzina di poliziotti setacciano la zona con pile e cani, ma senza risultato. Per di più il cofano della Ford di Sharpe non presenta alcun segno e, per quanto l’uomo sia soggetto irreprensibile né sospettabile di “visioni”, qualche graduato a denti stretti gli dice che ha travolto, lui come tantissimi altri, il fantasma della Blue Bell Hill. Per alcuni giorni, come già capitato ad altri automobilisti, Sharpe diventa oggetto di un’effimera fama da parte dei media e, passando da un’intervista ad un’altra, conferma in modo tanto lucido quanto ostinato la sua versione, talmente perfetta da divenire poi nel tempo il modello per antonomasia di avvistamento: “E’ stata la più terrificante esperienza della mia vita. Ho visto il suo viso, una faccia tondeggiante, con grandi e magnifici occhi. Occhi splendenti, fiammeggianti al punto tale che sembravano bruciare. La ragazza stava dentro la nebbia, al centro strada. Io chiaramente non andavo forte e lei avrebbe avuto tutto il tempo per potersi scostare. Ma invece ha fatto tutto il contrario. E’ venuta contro di me, fissandomi con un’espressione terribile. Non ha mai smesso di guardarmi. Ma non era uno spettro, per quel che ne so sull’argomento. Lei era solida, capelli lunghi portati sulle spalle. Indossava un lightish, uno di quei vecchi cappotti degli anni Sessanta con scollatura a V e sotto una camicia leggera, damascata, da cerimonia… Ma la sua faccia. Posso vederla ancora adesso. Con quegli occhi enormi, fiammeggianti.”
La variante anomala si era già presentata molti anni prima con lo storico caso di Maurice Goodenough, riportato anche nel libro di Michael Goss I fantasmi della strada. E’ il primo avvistamento, diciamo così, “fuori stagione” e anche fuori norma.
Nelle prime ore del 13 luglio 1974 Maurice Goodenough, un trentacinquenne muratore di Rochester irrompe nella stazione di polizia di Rochester affermando di avere travolto una ragazzina sulla Blue Bell Hill. La polizia si affretta ad andare con lui sul luogo dell’incidente per scoprire soltanto la coperta con cui l’autista dice di avere avvolto il corpo della giovane investita intorno a mezzanotte. Goodenough dichiara che la ragazza è apparsa di colpo nel fascio di luce dei fari della sua auto: “E’ venuta all’improvviso contro di me dal margine della strada e non ho potuto far altro che colpirla. Il rumore dello schianto è stato orribile”. Goodenough ferma subito l’auto, salta fuori e corre verso la ragazzina che giace piangente sull’asfalto. E’ una bambina di non più di dieci-undici anni, vestita stranamente con abiti molto più grandi di lei, a prima vista appartenenti a un adulto. Una gonna ampia, una camicia merlettata e un cappotto di tipo lightish. La ragazzina chiama la mamma, ha un grosso taglio sulla fronte e le ginocchia scorticate. Piange, ma sembra anche mentalmente assente, come in trance. Non risponde mai direttamente alle domande e alle sollecitazioni dell’uomo.
Goodenough tenta di fermare tre e quattro macchine in transito, ma tutti tirano dritto. Così l’uomo, non trovando cabine telefoniche nei paraggi e giudicando poco prudente l’eventualità di caricare la ragazzina sulla propria auto, decide di avvolgerla in una coperta e di lasciarla sulla banchina laterale per andare di corsa alla stazione di polizia di Rochester. Trenta minuti più tardi, Goodenough torna con gli agenti sul luogo dell’incidente, ma della ragazza neppure l’ombra. Le ricerche proseguono sino all’alba con l’aiuto dei cani, ma non si trova nulla neppure una piccola traccia di sangue, nonostante gli sforzi. Successive inchieste, anche negli ospedali della zona, non portano ad alcun risultato. A parte l’ovvio e naturale timore per la salute della ragazza, uno dei sospetti delle forze dell’ordine è che lei sia stata rapita da qualche balordo in transito: “Facemmo un appello per tutti quei genitori che per caso avessero constatato che un loro figlio si fosse ferito seriamente alla testa”, dichiara in seguito un portavoce della polizia. Goodenough era molto confuso e dichiarò a News of the World che lui aveva di sicuro investito una ragazzina con la sua macchina: “Non sto diventando matto. Non bevo, non fumo e sono lucido. E ho anche sentito la sua voce.”
Il caso di Goodenough è il primo dei casi anomali, fuori schema, perché non rientra nel modello dell’incidente del 29 dicembre 1965, quello in cui morì Melissa Parker. Quello di Ian Sharpe è un classico conforme: la sua descrizione della ragazza investita calza a pennello con la defunta Melissa, sia nei lineamenti che nell’abbigliamento. Ma la ragazzina sui dieci – undici anni che c’entra?
Nel luglio del 1974 Carol Compton ha undici anni. Vive con i genitori alla periferia di Maidstone, in una graziosa casa circondata da prati e campi coltivati. La sua non è una vita facile. Di giorno ha una vita pressoché normale, quella di tutte le ragazzine della sua età, divisa fra giochi e scuola. Ma di notte spesso Carol è tormentata da incubi e visioni mostruose che hanno costretto il medico di famiglia a prescrivere più di una volta il famigerato Ritalin. Nessuno ha mai associato i due fatti, ma i problemi notturni di Carol sono iniziati la mattina del 29 dicembre 1965, proprio in concomitanza dell’incidente in cui morì Melissa Parker. Carol era piccolissima, alle 5,20 si svegliò urlando, ma quale bambino di quell’età non piange disperato in quel lasso di tempo, più o meno lungo a seconda delle stagioni, che precede l’alba? In quella oscura fascia di tempo senza tempo che Gianfranco Nerozzi ha battezzato come “ora blu”?
La notte del 13 Carol vive un ennesimo incubo. E’ vestita con abiti non suoi, molto più grandi come taglia. Sta correndo sulla strada della collina, la Blue Bell Hill. Nelle orecchie sente voci di ragazze che la chiamano e dicono: “Melissa, dove vai? Resta qui vicino a noi?”, poi vede dei fari avvicinarsi e sente il metallo della macchina che le trapassa le carni. Urla e chiama la mamma.
I genitori accorrono al capezzale della figlia. Quel che vedono però li riempie di sgomento. Carol sembra ferita. Ha le ginocchia profondamente sbucciate come se fosse caduta. Il cuscino è sporco di sangue. Lei ha un grosso taglio in mezzo alla fronte. Il padre corre a prendere il disinfettante, gli occhi pieni di lacrime per il dramma inspiegabile che da anni tormenta la sua piccola.
Né lui né sua moglie arriveranno mai a collegare gli incubi di Carol alle apparizioni fantasmatiche della Blue Bell Hill, distante pochissimi chilometri dalla loro casa. Eppure l’unica bozza di spiegazione sta lassù, sulla collina più infestata del mondo. E’ da qui che nasce quel fuoco che forse oggi brucia ancora a Bassavilla.