tronc-prov.jpgdi Sbancor

La prima cosa che si può dire è che le telecomunicazioni portano sfiga alla sinistra! Prima la privatizzazione sbagliata di Telecom, poi Colanino & Gnutti, infine Telekom Serbia, adesso Tronchetti Provera.
Partiamo dall’inizio: l’errore è privatizzare tutta Telecom. Si sarebbe dovuto scorporare la rete, come si è fatto per Terna con l’energia elettrica. Ciò avrebbe evitato una posizione dominante di Telecom sul mercato rispetto ai concorrenti nel campo della telefonia fissa. Ma allora la priorità era intascare soldi per onorare l’accordo Andreatta-Van Miert e portare l’Italia nell’Euro

Il processo di privatizzazione inizia nel 1996 (I° Governo Prodi) ed è caratterizzato da quello che in gergo si chiama un sistema di “scatole cinesi” governato da un “nocciolo duro”. Le “scatole cinesi” sono un sistema di società “a cascata” che consentono con poco capitale di governare un’azienda con “tanto capitale”. Provengono dall’ingegno di Cuccia, e, nel caso della Telecom, erano governate dalla Famiglia Agnelli, tramite l’IFIL che possedeva lo 0,6% di un “nucleo stabile” formato dalle principali banche, che a sua volta possedeva il 6% di Telecom. In Borsa era quotato l’85%, il 5% rimaneva in mano al Ministero del Tesoro, e vi erano poi partecipazioni più piccole di ATT e Unicors (1,2%).
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L’unico industriale era Agnelli-Ifil, le banche lo facevano comandare e lui comandava, eccome! L’Offerta Pubblica di Vendita avvenne nell’ottobre 1997. Ogni azione fu fatta pagare al pubblico 5,63 Euro. Il Tesoro incassò 11,82 miliardi di Euro. Il nuovo Consiglio di amministrazione fu eletto a fine ottobre ed il Tesoro riuscì a far pesare ancora la sua quota pre-privatizzazione (44%).

Guido Rossi che come Presidente Telecom aveva guidato la privatizzazione lasciò l’incarico subito dopo (novembre) in polemica con D’Alema, accusato di aver guidato la privatizzazione in mano ai “poteri forti”.

Fu eletto un Presidente “improbabile”, tal certo Rossignolo, che ricordo aver incontrato nella hall di un albergo milanese mentre cercava di spacciare una fabbrica di televisori fallita.

Ma era un ex dipendente FIAT e un “famiglio” di Casa Agnelli.
Bene così.

Il “mercato” però non era d’accordo. Soggetto anomalo, ignoto ed imprevedibile, il “mercato” aveva però in questo caso nome e cognome: Roberto Colaninno. Il Ragioniere viene dalla liquidazione della Olivetti Personal Computer. Qui aveva intessuto ottimi rapporti con il PDS di D’Alema & Bersani. Liquidare imprese e licenziare operai accomuna le parti in causa in un sodalizio complice ed ammiccante. Scrivono Oddo e Pons in L’Affare Telecom, il miglior libro sulla storia della privatizzazione: «La scalata della Telecom scaturisce pertanto dall’esigenza di restituire al gruppo una ragion d’essere prima ancora che una prospettiva industriale, per fare in modo che domani la Olivetti non divenga la consociata italiana di un’azienda tedesca e Colaninno non sia costretto a rifare le valige per Mantova». Invece l’uomo è ambizioso.

La “scatola cinese” di Colaninno si chiama Bell, una società lussemburghese, in cui oltre a Colanino e Gnutti, finanziere bresciano, compaiono Antonveneta, Interbanca e Chase Manhattan (il colosso bancario americano!) e poi S.Paolo, Lucchini, Mediobanca ecc. Oddo & Pons definiscono l’insieme di finanziarie che gira vorticosamente intorno a Bell un “alveare”. Forse, visto gli esiti, sarebbe meglio dire un “nido di vespe”.

Il resto è storia nota. La “nuova finanza” bresciana usa tecniche di “acquisition finance” più sofisticate e spregiudicate di quelle dei vecchi “poteri forti”. In Lussemburgo i prestiti a sostegno dell’OPA su Telecom si moltiplicano in castelli finanziari azzardati, ma comunque sicuri: infatti i debiti, una volta perfezionata l’acquisizione, si scaricheranno su Telecom stessa. L’acquisito pagherà i buffi dell’acquirente, e le banche saranno soddisfatte.

Minimo D’Alema, Presidente del Consiglio, incosciente o connivente, brinda all’operazione come alla nascita di un nuovo ceto imprenditoriale: i “capitani coraggiosi”. Si conia l’espressione della “merchant bank” di Palazzo Chigi. E’ l’epoca in cui per essere ricevuto a Botteghe Oscure, prima del trasloco a Via Nazionale, dovevi rappresentare almeno una “investment bank” inglese o americana. Linda Lanzillotta si aggirava goffa per i giardini di Cernobbio insieme a consumati banchieri anglofoni.
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Dio ci salvi dai dilettanti allo sbaraglio!

Anche il Ragionier Colaninno non brilla per acume finanziario. L’operazione di scaricare tutti i debiti su Telecom gli riesce solo parzialmente. Troppi debiti pesano ancora su Olivetti, via Tecnost. L’OPA di Olivetti su Telecom era pari a 52 miliardi di Euro (100.000 miliardi di vecchie lire!) L’intreccio societario inizia a vacillare. Si sente il cupo “boato” che precede il terremoto.

In fondo Colaninno deve ripagare i “piani alti” della finanza internazionale. E i contatti con i “piani alti” non li tiene il Ragioniere, ma l’Ingegnere. Si, proprio lui: Carlo De Benedetti.

Qualcosa s’è rovinato nel rapporto fra i due. Colaninno si è arricchito con le stock options di Olivetti. Ormai gioca in proprio. Inizia a partire qualche attacco contro di lui su Repubblica.

La crisi scoppia nel 2001. Le grandi famiglie industriali si vendicano: il “Ritorno dei Padroni” è alle porte. Il campione nazionale ora è Tronchetti Provera, l’erede della “famiglia” Pirelli, una delle “quattro” del “salotto buono”, insieme ai magliari della Benetton.

Ma il salotto non c’è più. Cuccia è morto. altri banchieri di rango in Italia non ci sono, o sono occupati a crescere ed evitare scalate.

Tronchetti combina un casino già nella fase di acquisizione di Telecom. Il Ciclo di Borsa è entrato nel momento grave dello sgonfiamento della bolla. I titoli telefonici crollano.

Tronchetti e i Benetton intanto hanno rastrellato azioni Olivetti a 4,1 Euro. La Borsa ora le quota 1,5.

E’ Gnutti che salva Tronchetti. Accetta di ricomprare a termine attraverso la Hopa una parte delle azioni Olivetti.

Tutto finisce bene. Tronchetti è al potere. Tronchetti pontifica. Tronchetti cede in comodato d’uso LA 7 a Silvio Berlusconi, via Ferrara e Costanzo (captatio benevolentiae) del nuovo governo succeduto a D’Alema. Tutto bene fino all’estate scorsa quando Gnutti finisce nei guai per la scalata della Popolare di Lodi ad Antonveneta. Tronchetti deve a quel punto liquidare Gnutti in affanno.

Debiti su Debiti. anche Telecom ha un limite all’indebitamento. Ed il limite è stato quasi raggiunto. L’Ingegnere incomincia con La Repubblica ad attaccare Tronchetti. L’authority rompe il cazzo sulla concorrenza. Tronchetti è nervoso. Siamo alle ultime battute.

Un consigliere di Prodi prepara un piano segreto per Tronchetti. Il piano prevede lo scorporo della rete fissa. Forse il suo riacquisto tramite la Cassa Deposito e Prestiti (Tesoro+Fondazioni Bancarie). Tronchetti senta odore di fregatura. Prova a sparigliare: scorpora Tim da Telecom. Si prepara a vendere la telefonia cellulare. Apriti cielo e lesa maestà.

La situazione è grave, ma non è seria. A poco più di cinque anni di distanza le privatizzazioni italiote, stanno per finire in mano estera: Autostrade prima e Tim poi. È il destino di un capitalismo senza capitali.

Ritorna Guido Rossi, il nemico di D’Alema, alla Presidenza.

Si, le telecomunicazioni portano davvero sfiga al Centro-Sinistra.

(Nota a piè pagina: In questa assai modesta commedia dell’arte di arrangiarsi, fra debiti pubblici e private virtù, non si coglie appieno il ruolo di Chase, la più grande banca americana che in tutti passaggi presta e lucra, lucra e presta, come incurante al crescere del debito. Non sarei stupito se alla fine l’intera Telecom, stretta nei lacci dell’usura finisse nelle mani di un Fondo di Private Equity americano, casomai vicino all’attuale governo USA. Che so, il gruppo Carlyle o Blackstone. Diceva Andreotti: a pensar male si fa peccato, ma quasi mai si sbaglia)