di Paolo Brunetti

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Brevi riflessioni economico/politiche come indispensabile visione d’insieme per comprendere i processi di privatizzazione dei servizi, a cominciare dall’acqua e dai rifiuti. Intervento al convegno di Bedonia (PR) del 3 dicembre 2005 su “La gestione pubblica dell’acqua”

IL PROBLEMA CHE ASSILLA CHI COMANDA È L’AUMENTO DEL PIL

Le feste di Natale sono prossime e il sistema si prepara a una orgia di vendite. Le città si riempiono di luci, per indurre nei “consumatori” l’euforia che li spinge ad acquistare oltre i loro bisogni. Non sono infatti i bisogni che spingono i consumi, se non in misura insignificante per il buon funzionamento del sistema, ma la forzatura delle vendite.

Ma le feste non bastano per l’aumento del PIL.
C’è la costrizione alle mode. Le città si sono riempite di negozi di abbigliamento non perché ci si deve vestire, ma perché dopo qualche mese i vestiti sono diventati vecchi; non sono logori o rattoppati, anzi sono quasi nuovi, ma i consumatori, soprattutto giovani e giovanissimi, vengono indotti ad acquistarne sempre di nuovi. Prendete il sistema Benetton, che ha fatto scuola. I maglioni prodotti sono sempre gli stessi, con qualche piccola variazione, ma cambiano i colori e quelli dello scorso anno non sono più di moda. Ogni anno lo staff della Benetton prepara una linea di colori, sottoposta ad un gruppo di consumatori tipo sparsi per l’intero globo, dal Messico al Giappone passando per Treviso. Una volta studiate le reazioni, si inizia la produzione e la distribuzione a tutti i negozi franchising. Nei magazzini della casa madre, enormi depositi di maglie e maglioni senza colore sono pronti ad essere spediti, previa colorazione, a quei negozi che hanno esaurito la prima spedizione. Il tutto gestito da un sistema computerizzato che si serve di robot per prelevare, far lavorare, imballare e spedire la merce.
Un altro esempio lo fornisce una società italiana: per costituire una joint venture con una società commerciale giapponese ha dovuto dimostrare di essere in grado di fornire, nel tempo di quindici giorni, nuove linee di calze e calzettoni per seguire i mutevoli gusti dei consumatori, rilevati attraverso sofisticati sistemi di valutazione degli orientamenti dei teen agers giapponesi.
L’innovazione del prodotto è uno dei modi con cui si inducono i consumi anche se molto spesso si tratta di innovazioni del tutto apparenti.
L’esasperazione delle vendite è divenuta necessaria per la sopravvivenza del sistema produttivo, ma paradossalmente la sua capacità di produzione aumenta ancor più dei consumi.
Prendiamo l’esempio della industria editoriale. Il presupposto della sua esistenza, oltre che del suo sviluppo, è la possibilità di produrre e vendere sempre di più, ma perché ciò sia possibile occorre che solo una minuscola minoranza di coloro che comprano libri e riviste li leggano, perché se leggessero tutto quello che comprano, la velocità di acquisto calerebbe fino a provocare il tracollo del settore. Provate a riflettere sulla lettura dei giornali. Ogni acquirente dedica alla scorsa dei giornali dai dieci ai venti minuti al giorno, a meno che non si tratti di qualcuno che non ha nient’altro da fare. Per mantenere la tiratura i giornali devono non informare, ma creare nel cliente il desiderio di comprare il giornale che ovviamente non avrà tempo di leggere. Per vendere bisogna creare una relazione identitaria con il ‘non lettore’ che comprerà l’idea che il giornale gli ha fornito di se stesso (vedi ‘La Repubblica’) e poiché anche questo non basta più il giornale porta libri, videocassette, cd, dvd ed altri ammennicoli. Ci sono nelle case degli italiani, dei tedeschi, degli inglesi, dei turchi ecc. decine e decine di libri, videofilm e chissà altro che nessuno avrà mai il tempo di leggere o di vedere. Ci sono persone che hanno accumulato qualche centinaio di film, per vedere i quali dovrebbero stare otto ore al giorno davanti al monitor, per più di un mese.
In Italia si stampano ogni anno circa 50.000 libri, quasi centocinquanta al giorno comprese le domeniche e le festività. Di questi più della metà non arrivano nemmeno nelle librerie, ma finiscono direttamente al macero per dar vita alla stampa di nuovi libri. Degli altri qualche migliaio hanno effettivamente mercato, in maggioranza vendono qualche centinaio di copie, gli altri restano sugli scaffali da pochi giorni a qualche mese per essere ritirati e ricominciare da capo il ciclo “produttivo”.
La tenuta dei consumi è diventato l’assillo dei governi.
I crucci di Bush in questi giorni sono le vendite di Natale, non la guerra in Iraq. Dovrà dedicare qualche tempo per apparire in tv mentre fa shopping in un grande magazzino, come qualsiasi buon americano. Chi non ricorda i patetici spot del governo Berlusconi per spingere ai consumi: quel signore che ha fatto la spesa e per strada tutti lo ringraziano come se avesse compiuto il proprio patriottico dovere di sostegno della economia italiana?
La pubblicità è divenuta una delle industrie più importanti del paese, le offerte delle grandi catene di distribuzione fanno a gara ad offrire sconti, tre per due, due per quattro, tutto si vende a rate e le banche sembrano pronte a finanziare ogni tuo acquisto. Ma l’economia stenta a riprendersi, segno che la vendita delle merci prodotte non è sufficiente. La Germania sembra che se la cavi meglio soltanto perché è riuscita, diversamente da noi, ad esportare di più, compensando la stanca dei consumi interni. La crisi delle fabbriche di auto è generale (si pensava che la General Motors salvasse la Fiat e invece non ha salvato nemmeno se stessa!); si cerca di rimediare con la rottamazione di imperio delle vecchie auto, con la scusa che inquinano.
Bisognerebbe aumentare la spesa militare, un mercato non soggetto a crisi, e che consentirebbe di finanziare in modo massiccio la ricerca tecnologica: ma l’Unione Europea non trova l’unità necessaria per armarsi; il Giappone, invece, anche per questo, ha cambiato la costituzione. La bilancia commerciale degli Stati Uniti è attiva nel solo settore della esportazione di tecnologie, che sono il sottoprodotto del budget militare per la ricerca delle cosiddette nuove armi (il budget militare degli USA è grande più del doppio della somma dei bilanci militari di tutti gli altri Stati). Uno dei sogni dell’euro è che se divenisse moneta di riserva accanto al dollaro, con gli eurosterili (chiamiamo così quei soldi che si terrebbero nei forzieri della Banca Europea se diventasse moneta di riserva) si potrebbe finanziare la ricerca militare e civile in misura confrontabile con gli Usa. Un rimedio “fantastico” e peggiore del male.
La stagnazione dei consumi dal punto di vista del capitalista è la stagnazione del profitto. Il capitale si è perciò messo in cerca di nuovi territori. La globalizzazione si è rivelata una arma a doppio taglio. È stata usata contro i lavoratori dei paesi avanzati il cui potere e i relativi salari, all’interno della produzione e soprattutto della grande fabbrica erano giunti a un livello intollerabile (ricordate Profitto Zero il grido di dolore del padrone Fiat nei primi anni ’70?). Ma la globalizzazione ha fatto crescere a dismisura le grandi economie capitalistiche asiatiche che ora tengono per il collo il Tesoro americano e tolgono il sonno ai capitalisti europei coi loro bassi salari e l’accesso a tecnologie di avanguardia.
Il capitalismo italiano sta cercando una merce ideale il cui consumo non sia soggetto alla volubilità dei consumatori e alla concorrenza internazionale dei paesi emergenti, e soprattutto che non sia sostituibile con altri consumi. Continuerà a produrre le sue merci, ma altrove, dove i salari sono bassi e gli operai non hanno ancora la possibilità di lottare per più salario e meno orario.
Ma i capitalisti italiani non possono competere:
a) con la potenza tecnologica di Usa, Giappone, Cina e ormai anche India;
b) con i bassi salari dell’est europeo e del sud est asiatico.
Essi sono quindi alla ricerca di nuove merci, e, come gli antichi baroni feudali, puntano sullo sfruttamento del territorio e dei suoi abitanti, trasformando in merce i fondamenti della loro esistenza: L’ACQUA, L’ARIA, L’ENERGIA, I RIFIUTI, L’ISTRUZIONE, I TRASPORTI, LE RELAZIONI UMANE (LEGGASI ANCHE TELECOMUNICAZIONI), LA SALUTE, LA MORTE.
Ed ecco così che la Fiat si getta sull’elettricità, Benetton sulle autostrade, Pirelli sulle telecomunicazioni…

(1-CONTINUA)