di Sandro Moiso

una bibita Gianfranco Marelli, Una bibita mescolata alla sete, BFS Edizioni 2015, pp. 128, € 12,00

[L’Internazionale Situazionista può essere senza dubbio considerata come uno dei più luminosi esempi di pensiero critico radicale espresso dalle lotte della seconda metà del ‘900. Il principale motivo per potere sostenere ciò risiede nel fatto che tale movimento, nelle sue espressioni più significative, ha saputo anticipare e tentato di fornire gli strumenti teorici per realizzare una rivoluzione che non fosse soltanto frutto e figlia della necessità, ma anche, e soprattutto, della ricerca della felicità collettiva e individuale e della piena realizzazione dell’essere sociale. In questa ricerca i situazionisti presero le distanza dalle forme partitiche ed organizzative prodotte fino ad allora dal Movimento Operaio, sganciando il pensiero antagonista dalla semplice critica della miseria economica, destinata sempre a produrre soltanto ipotesi di carattere economicistico e riformista, per misurarsi più in generale con l’immaginario che stava alla base di tale produzione ideologica. Così, oltre che critici del lavoro salariato e della società divisa in classi e dello Stato che la giustificava, i rappresentanti dell’ Internazionale Situazionista appuntarono i loro strali su quelli che fino ad allora erano stati aspetti minori, e spesso dimenticati, della teoria rivoluzionaria: le merci, intese come strumento di soddisfazione di bisogni profondi di realizzazione individuale e collettiva attraverso il consumismo, e il tempo libero, inteso come momento dedicato al consumo più che ad una effettiva liberazione dell’individuo e della collettività dal lavoro salariato e dalla schiavitù capitalistica. Nel fare ciò furono forse i primi ad individuare il terreno del politico come uno dei territori dell’immaginario collettivo. Immaginario che se non fosse stato rovesciato non avrebbe fatto altro che prolungare la schiavitù capitalistica basata sul lavoro salariato e sul consumo mercantile di tutto ciò di cui era stato precedentemente espropriato l’essere umano proletarizzato. Anche una volta “fatta” la Rivoluzione, come la drammatica esperienza sovietica e stalinista avevano già fin troppo bene dimostrato. Proprio per questo furono i primi e migliori interpreti del’68, avendo saputo anticiparne i contenuti e gli slogan più originali (“L’immaginazione al potere”) fin dai primi anni sessanta. In questo senso l’ultimo testo di Gianfranco Marelli, studioso da sempre del Situazionismo e dei suoi protagonisti,1 si rivela una guida magistrale per cogliere tutte le sfumature della critica della società delle merci operato dal detournment situazionista nei confronti di quella insaziabile sete di felicità che accompagnava, e probabilmente accompagna ancora, la lotta di classe e che veniva però tradita da un immaginario ancora basato sul consumo di un prodotto già a monte reificato in forma mercantile. Si trattasse, o si tratti ancora, pure di sentimenti, sogni e ideali. Come lo stesso Marelli dimostra ancora una volta in questa occasione non sempre tutto filò liscio e gli stessi critici del “reale” non poterono sempre esimersi dalla critica a cui furono sottoposti dalla “realtà” in grazia anche dei forti personalismi che caratterizzarono e finirono col dividere tra di loro i principali esponenti del movimento, ma ciò non toglie che quella esperienza sia degna ancor di grande attenzione. Qui di seguito pertanto si riproducono le pagine 62 e 63 del testo in questione, utili al fine di riassumere i caratteri generali della “politica” situazionista.]

una bibita 1 Il linguaggio nuovo e irriguardoso nei confronti delle esperienze rivoluzionarie precedenti, applicato ad una critica tagliente della passività cui l’uomo è costretto in ogni momento della sua vita dall’estraneità, dalla separazione, non più circoscritta al solo tempo di lavoro, ma diffusa nell’arco dell’intera esistenza indotta a consumare merce – in quanto che perfino il tempo libero è ormai totalmente scandito dai ritmi delle macchine del consumo e del divertimento obbligatorio che lo consumano e l’uomo, dopo essere stato il «capitale più prezioso», diventa il «bene di consumo più apprezzato»-, finisce per incontrarsi con la protesta giovanile nata dal degrado urbano, sociale e culturale di quelle stesse città di cui i situazionisti furono i primi a denunciare la funzione di controllo e repressione attuata attraverso una manipolazione ideologica consistente nell’appagare artefatti bisogni dei suoi abitanti, che proprio per questo si trovavano continuamente e necessariamente insoddisfatti e frustrati.
La costruzione di basi situazioniste – vere e proprie zone liberate dall’occupazione del mondo della merce in cui viene messa in scena lo spettacolo della divisione, dell’estraneità, della vacuità –finì per recepire le istanze di partecipazione, comunicazione, realizzazione espresse dalla nuova coscienza dei giovani proletari: «la coscienza di non essere in nulla padroni della propria attività, della propria vita».2 Non per nulla, l’attenzione mostrata dai situazionisti nei confronti della gioventù ribelle che, apparentemente «senza causa», esprimeva con rabbia incontrollata il proprio rifiuto della vita così come era organizzata dalla società dello spettacolo. Diventò uno degli aspetti più trattati dalla rivista (soprattutto a partire dal numero 9 in poi), cercando – nella puntuale e minuziosa descrizione degli avvenimenti- di fornire gli insorti le ragioni delle ribellioni che, a partire dagli anni ’60 del XX secolo a Napoli, come Caracas, a Tolone come ad Algeri , a Londra come a Praga, negli USA come in Giappone e in Congo, caratterizzarono le sommosse sociali nei quartieri degradati delle città; ribellioni «contro la merce, contro il mondo della merce e del lavoratore-consumatore gerarchicamente sottoposto alle regole della merce»,3 in cui il saccheggio, lo sciopero selvaggio, l’insubordinazione a qualsiasi imposizione gerarchica, confermeranno definitivamente ai situazionisti l’urgenza di porre, non più in modo oscuro, «la questione di una nuova organizzazione rivoluzionaria, che comprenda abbastanza bene la società dominante, per funzionare effettivamente, a tutti i livelli, contro la società dominante: per trasformarla integralmente senza riprodurla in nulla».

una bibita 2 Non più dunque, operai soddisfatti, come avevano sostenuto i patiti riformisti, i sindacati collaborazionisti, gli pseudo rivoluzionari e l’ala destra dell’I.S., ma proletari ribelli in cerca di un’organizzazione rivoluzionaria che sapesse fare i conti con il fallimento della rivoluzione e con la necessità di reinventarla. Di questo furono convinti assertori i situazionisti, attivandosi affinché il pensiero teorico, a partire dallo stesso Marx, fosse riscoperto, riconsiderando altresì le posizioni degli anarchici nella Prima Internazionale, il blanquismo, il luxemburghismo, il movimento dei Consigli Operai, Kronstadt e i machnovisti; ma non certo – puntualizzarono orgogliosi- «per un fine di eclettismo universitario, o di erudizione, ma unicamente con il fine di essere utile alla formazione di un nuovo movimento rivoluzionario, del quale vediamo in questi ultimi anni tutti i segni premonitori e del quale siamo noi stessi un segno premonitore».4


  1. Si vedano i suoi: L’amara vittoria del stuazionismo, BFS 1996; L’ultima Internazionale. I situazionisti oltre l’arte e la politica, Bollati Boringhieri 2000; la “voce” Internazionale Situazionista per il secondo volume di L’Altronovecento. Il sistema e i movimenti [Europa 1945-1989], Jaca Book 2011  

  2. Il declino e la caduta dell’economia mercantile-spettacolare , in Internazionale Situazionista n°10, marzo 1966, pag.7  

  3. Ibid. pag.4  

  4. I brutti giorni finiranno, I.S. n°7, aprile 1961, pag.12