di Gioacchino Toni

paz_cover_particolareRoberto Farina, I dolori del giovane Paz. Contributi alla biografia negata di Andrea Pazienza, Milieu edizioni, Milano, 2016, pp. 176, € 14,90

«Andrea Pazienza è in balìa di chi ne vuole fare un mito da esporre su una t-shirt e da conservare in banca. L’arte in lavatrice, l’arte in cassaforte» (Prefazione p. 16)

«C’è in corso questo tentativo di fare di Pazienza un’icona del ‘77 bolognese, ulteriore segnale, questo, del vampirismo onnivoro della società del mercato globale, che non consente forme di antagonismo che siano al di fuori di essa. Sotto questo aspetto Pazienza rischia di essere vittima del percorso di ogni avanguardia: nato come forte rottura nei confronti del mercato, ne è poi riassorbito. Con la differenza che quello delle avanguardie storiche era un antagonismo intellettuale, mentre quello di Pazienza era soprattutto vitale» (Gianni Canova, p. 21) / «La verità porta con sé la contraddizione e la contraddizione è sempre sgradevole. Pazienza e quelli del gruppo di Frigidaire mostravano la verità della contraddizione e la contraddizione della verità. Lo facevano raccontando il mondo come lo vedevano, senza compromessi o mediazioni di comodo» (Daniele Luttazzi, pp. 25-26) / «Mi colpiva la violenza con cui si buttava nelle cose, i suoi eccessi. Però, mentre questa aura di dannazione di solito la si associa a qualche aspetto diabolico, nero, cupo, in lui era angelica: era un dannato circondato da nuvolette azzurre» (Claudio Lolli p. 28) / «Paz è agli antipodi della coglionaggine ottimistica che c’è in giro e di cui i media sono pieni, con tutta quella gente che fa finta di essere allegra per qualcosa che non merita neanche un secondo di attenzione» (Bifo p. 32) / «Andrea lo diceva, che i fumetti potevano arrivare a tutti e che invece i quadri finivano nel salotto dei farmacisti» (Roberto Perini p. 40) / «era un confusionario che impastava tutto e lo rovesciava sulla carta, con l’occhio del narratore» (Sergio Staino p. 42) / «Nella satira, prima, c’era poesia e speranza. Ora c’è al massimo rabbia e sarcasmo» (Roberto Vecchioni p. 50) / «Non aveva il senso del reale e andava avanti così, tanto il fisico glielo permetteva. Viveva senza volere rendersi conto che nella realtà le cose le paghi» (Jacopo Fo p. 53) / «Il Male, Cannibale, poco Alter e tutto Frigidaire: questo è il Pazienza che mi piace, tutto il resto sono stronzate» (Filippo Scòzzari p. 56) / «Se sei morto, poi, è facile finire in pasto agli avvoltoi del concetto, che ragionano all’interno di conformismi culturali di varia natura e che portano ad un altro conformismo, quello del giudizio, contro cui era tutta l’opera di Paz e della sua squadra» (Vincenzo Sparagna p. 60) / «La sceneggiatura negli ultimi anni gliel’ha scritta la siringa» (Jose Munoz p. 66) / «Gli anni Ottanta sono stati l’inizio della fine. Tutto è cambiato, le droghe non erano più solo divertimento, ma necessità. Quindi, tutte le miserie sono arrivate» (Emi Fontana p. 72) / «Per lui vita e arte erano inscindibili, rovesciava tutto nell’arte, e io ero arrivato al punto di stare attento a quello che gli dicevo, perché sapevo che poi sarebbe finito tutto dentro il suo lavoro» (Marcello Jori p. 78) / «Andrea me lo ricordo come figlio del Movimento, ma in modo spontaneo e non strettamente politico. In quanto artista con le antenne ben tese, raccontava ciò che captava» (Roberto “Freak” Antoni p. 82) / «Viveva come fosse sempre sul palcoscenico» (Luigi Daminai p. 85) / «Ma son tutte balle! Non bugie, però… voglio dire, ognuno avrà finito con il parlarti di sé o dell’Andrea Pazienza che più gli somiglia, o che più somiglia ai suoi rimpianti» (Sandro Matarazzo p. 90) / «Bisogna avere il coraggio di essere politicamente scorretti. Questa patina di perbenismo sta inglobando una cosa che era libera: l’arte. Una volta poteva essere trasgressiva, ora la vogliamo da salotto e da supermercato. La vogliamo vendibile» (Antonio Veneziani p. 98) / «Lui aveva la sensazione di avere un tempo veloce, come nel disegno… Io, invece, sono condannato a invecchiare e la cosa mi rattrista molto» (Vincino p. 103) / «Secondo me non è per ciò che raccontava che Paz ben restituisce la sua generazione, ma è per come raccontava» (Benka Macrobio p. 106) / «Discutevamo per ore utilizzando il nostro linguaggio di strada, sul quale però si innestavano le parole colte derivate dalle nostre passioni culturali. Andrea operò una magnifica sintesi di questo fenomeno di cultura alta e cultura bassa e io credo che stia in questa sintesi il segreto della sua forza e freschezza» (Reanto de Maria p. 116) / «Era un casino da restarci secchi, ma, credimi, quanto erano belle le strade di Bologna in quegli anni. Non erano mai state così belle. Chissà come sono adesso» (Enrico Fiabeschi p. 125) / «Poi, all’improvviso, nell’estate del 1978, dal fresco soffio del Movimento siamo precipitati nel freddo tombale della droga. Come successe? Successe che nella terra ubertosa dell’immaginazione condivisa, della voglia di vivere comunitariamente, di sperimentare nuove relazioni e nuovi linguaggi a un certo punto cadde il seme della paura e fu lì che attecchì la droga» (Massimo Pagliarulo p. 131) / «Nelle storie di Pazienza c’è il divertimento di mettere in scacco la provincia: quegli eroi sono molto più grandi del piccolo mondo in cui si muovono» (David Riondino p. 141) / «In questo scenario attuale che potrebbe fare Pazienza, se non fosse morto? Forse nulla, almeno nei fumetti intendo. Forse una graphic novel, come chiamano adesso i libri di fumetti, una volta l’anno. Ma non avrebbe più l’impatto che ha avuto all’epoca» (Francesco Coniglio p. 150) / «era quella, effettivamente, l’unica narrazione possibile. Perché quel movimento lì, ostile a ogni struttura formale, refrattario a qualunque politica di compromesso, imbevuto di desiderio fino al midollo, non poteva essere altrimenti rappresentato» (Oscar Glioti p. 155) / «In un’ora sola della sua vita sprigionava l’energia di un anno di una persona normale, e le sue migliaia di tavole ne sono la dimostrazione» (Marina Comandini p. 167) / «Francamente non saprei dire perché quei fumetti mi brillarono subito dentro in quel modo. Ma sapete perché i cani, come Pippo, sono i nostri migliori amici? Perché ci somigliano in una cosa: amano, e non si sa il perché. BAU» (Postfazione, p. 171)

paz_16_cover«Alcune di queste interviste sono state raccolte anni fa, con il desiderio di farne dono alla madre di Paz. Altre con l’idea di ripercorrere alcune tappe d’un percorso che mi aveva accompagnato nella mia adolescenza. Altre ancora per semplice curiosità. […] Incontrai molti cattivi maestri di quegli anni e misi insieme un bel po’ di materiale. Poi senza quasi accorgermene tutto finì nel cassetto, e poi all’improvviso tutto ne uscì. Non so perché. Forse, in fin dei conti, per non darla vinta al cassetto» (Postfazione, p. 169).

 

[Prima edizione, 2005, Coniglio editore. Nuova edizione aggiornata, Milieu edizioni, maggio 2016]