di Paolo Lago

Emiliano Dominici, Maria Malva. Brucia il giorno per me, effequ, Firenze, 2024, pp. 304, euro 18,00.

Per parlare di Maria Malva, romanzo di Emiliano Dominici recentemente uscito per effequ, vorrei partire da questi versi di Eugenio Montale tratti da Le occasioni: “Pareva facile giuoco / mutare in nulla lo spazio / che m’era aperto, in un tedio / malcerto il certo tuo fuoco”1, ricordando anche la quartina finale dello stesso componimento: “La vita che dà barlumi / è quella che sola tu scorgi. / A lei ti sporgi da questa / finestra che non s’illumina”2. Il tedio, nella poesia di Montale, distende le sue nere ali sul ripetersi quotidiano dell’esistenza quasi come l’“Ennui” di Baudelaire, la “Noia” che aggredisce qualsiasi angolo della vita umana. I luoghi e gli ambienti di Maria Malva sono pervasi dappertutto da un tedio molto simile a quello descritto dal poeta ligure. Dominici, infatti, è davvero un grande dipintore di ambienti e di atmosfere, e sa muovere alla perfezione i suoi personaggi all’interno degli spazi che crea, come pedine sulla scacchiera tediosa e inconsistente della vita. Tutto scorre, tutto passa segnato nel profondo da un inarrestabile taedium vitae: il personaggio di Maria Malva appare come il fulcro perfetto di questo avvolgente spleen, una figura che si lascia trascinare dalla vita come da una corrente che non permette via d’uscita, che non permette di nuotargli contro. Lo spazio è nulla e “il certo tuo fuoco”, nella narrazione, diventa anch’esso un “tedio” perché è generato da quel “gesto sconvolgente” (come leggiamo nella sinossi del libro e sul quale non voglio rivelare di più) compiuto dal personaggio.

Maria Malva e gli altri personaggi si muovono su uno sfondo quasi inconsistente, quasi metafisico si potrebbe azzardare, laddove l’indeterminatezza dei luoghi conferisce loro una maggiore autenticità, spazi perduti nel lancinante percorso di un quotidiano meravigliosamente descritto dall’autore. Ma il luogo dove viene compiuto il gesto, un’anonima piazzetta con gli alberi e con una fontana di un’altrettanto anonima città, inchioderà a sé tutti i personaggi presenti. Perché, in fin dei conti, lo stesso personaggio protagonista – in una crudele metamorfosi – si muterà in luogo, in spazio, ed è proprio lì che gli altri convergeranno per cercare di risolvere l’angoscia straziante che si è insinuata in loro. I luoghi e gli ambienti sono incapsulati dalla penna dello scrittore all’interno di un “film dell’impossibile”, per utilizzare un’espressione coniata da Carlo Cassola per mezzo della quale lo scrittore grossetano si riferisce alla volontà di plasmare le sue storie come se animasse una stampa, un dipinto, e facesse muovere tutti i suoi personaggi3.

Strade e piazze anonime, senza volto, si srotolano come un tappeto di fronte all’incedere nomadico della protagonista che sembra quasi cercare di fondersi con gli ambienti in un totale anonimato e che cammina di lato alla vita con una grazia leggera come la neve. Assieme alle strade e alle piazze incontriamo negozi, bar, cinema altrettanto anonimi e altrettanto indimenticabili e, soprattutto, interni di appartamenti, sia quelli affittati dalla protagonista nei suoi spostamenti che quelli sfitti dove Maria si incontra con un ambiguo agente immobiliare. Le case e gli spazi domestici sembrano raccontare le proprie vite, inserite anch’esse in una spropositata macina, e lo fanno dopo aver perso qualsiasi parvenza di calore domestico. Non troveremo mai interni accoglienti nel romanzo, non troveremo mai spazi veramente confortevoli: essi appaiono come lo sfondo metafisico e nebbioso nei quali si rincorre l’angoscia dei personaggi. Sfondo metafisico sì, ma anche capace di lasciare una traccia indelebile nel lettore: più sono anonimi e incerti, funereamente indefiniti, più essi sono indimenticabili, più la loro descrizione ci avviluppa e ce li rende estremamente interessanti.

Su uno sfondo di questo tipo, la narrazione di Maria Malva si muove come una detective story, come una sottile indagine dai tratti noir e polizieschi che, per certi aspetti, potrebbe ricordare il “pasticciaccio” gaddiano. Una narrazione che trova il proprio baricentro nei vari personaggi che affiancano la protagonista e che saranno segnati indelebilmente dal gesto compiuto da Maria Malva: l’agente immobiliare Giorgio e la cartolaia Gemma, il solitario Martelli, il giovane youtuber Paolo, la colf Milagros e la bambina Anna, affetta da disturbi comportamentali, nonché i genitori di quest’ultima. Fra questi personaggi sembra svettare appunto il giovane studente youtuber che, trovandosi di fronte alla protagonista nel momento in cui compie il suo gesto disperato, invece di soccorrerla non trova di meglio che riprenderla con un cellulare. Il personaggio appare infatti completamente fagocitato dalla contemporanea digitalizzazione dell’esistenza nonché dall’iconizzazione iperbolica della realtà: qualsiasi situazione (sia essa costituita da un paesaggio o da una o più persone che interagiscono), invece che essere vissuta e conosciuta veramente, sembra essere fatta soltanto per essere fotografata o ripresa ed essere esposta online, in una sorta di esibizionistica ‘turisticizzazione’ esasperata della quotidianità. Come se riprendesse un concerto, uno spettacolo, una partita o un piatto servito al ristorante, Paolo sembra talmente inserito nel proprio universo digitale da riprendere fino in fondo la protagonista fino all’esito fatale. Sembrerebbe quasi una rilettura digitale del personaggio ‘moderno’ e primo-novecentesco di “Serafino Gubbio operatore”, appartenente all’omonimo romanzo di Luigi Pirandello (1925); mentre, durante le riprese di un film, si gira una scena con una tigre, un attore uccide un’attrice con un colpo di pistola e viene sbranato dalla tigre: Serafino Gubbio rimane impassibile e continua a effettuare le sue riprese come se niente fosse. Se il romanzo pirandelliano, nel 1925, vuole denunciare la condizione di ‘uomo-macchina’ del personaggio, un essere umano meccanizzato e disumanizzato, si potrebbe pensare che nel 2024 il personaggio di Paolo, che continua impassibile le sue riprese, rappresenti invece una sorta di uomo digitale e digitalizzato.

Sarà un percorso affascinante e sorprendente seguire ognuno di questi personaggi e seguire anche il flashback che occupa il capitolo centrale, dedicato al dipanarsi della vita della protagonista attraverso le sue vicissitudini. Un’immersione in una realtà languida e realistica, metafisica e come persa in una placida nebbia; sarà un piacere allora attraversare le strade e le piazze di indefinite città insieme ai personaggi e trovarsi ad un angolo imprecisato, magari vicino al cinema Diabolique, un luogo evocativo e dal bellissimo nome, che sa di noir e di fumetto, di anni Sessanta e di cultura pop, e lasciarsi completamente fagocitare.


  1. E. Montale, Tutte le poesie, a cura di G. Zampa, Mondadori, Milano, 1990, p. 111. 

  2. Ibid

  3. Cfr. C. Cassola, Il film dell’impossibile, in Id., La visita, Einaudi, Torino, 1982, p. 7 e seguenti.