di Anna Luisa SantinelliPrig-Salo-covr.jpg

La concezione dinamica del passato che è alla base di ogni ricerca storiografica, esige la rilettura del dato storico acquisito difronte al rinvenimento di nuove fonti. È da una situazione affine, ovvero dall’analisi di documenti inediti o insufficientemente frequentati che nasce l’ultimo saggio di Mimmo Franzinelli, Il prigioniero di Salò. Mussolini e la tragedia italiana del 1943-1945 (Mondadori 2012, pp. 202, € 19,00). Agile nelle dimensioni, rigorosissimo per l’accuratezza delle ricerche d’archivio, il libro ci restituisce il contesto drammatico (non edulcorato dalla propaganda patriottica o da strumentali decontestualizzazioni) di quel momento storico in cui ha origine la Repubblica Sociale Italiana e, di conseguenza, l’innesco della guerra civile.
Comparando testimonianze di varia provenienza, molte delle quali vergate dal duce in persona, Franzinelli tratteggia un’immagine del dittatore ad alto tasso di ambiguità e contraddizione: un Mussolini pubblico in apparenza energico e “roboante”, un Mussolini privato incline allo stato depressivo e all’autocommiserazione.
Costretto entro l’atmosfera asfittica dell’ambiente saloino, il “capo” della RSI è conscio della propria condizione di ex condottiero ridotto a vassallo: ostacolato dagli emissari del Reich, costantemente spiato e, di fatto, sprovvisto di qualsiasi potere politico-militare necessario alla rinascita personale. Obbligato all’inerzia, al “prigioniero” di Salò non rimane che l’esternazione della rabbia (per il prepotere tedesco, l’inettitudine degli italiani, il tradimento dei camerati) o la riproposizione di convinzioni antiche — la grandezza del Ventennio, il razzismo coloniale — non scalfitte dallo sfacelo del presente, convincimenti che lo portano a scrivere (in vista dell’imminente liberazione di Roma) asserzioni come queste: «adesso rabbrividisco al pensiero che truppe africane — per la prima volta nella storia — sfilino per Via dell’Impero, non più come nel 1937 da servi, ma da padroni; non più come vinti, ma come vincitori».
Redatto con uno stile linguistico asciutto e incisivo, l’ottimo saggio di Franzinelli ci sembra l’antidoto giusto per avversare un malessere tutto italiano, la memoria a breve termine che ciclicamente, talvolta in fase pre-elettorale, consente la riemersione del cliché mitigato e non veritiero del “Mussolini buonuomo”.


1) La consultazione di documenti inediti, alcuni accessibili solo di recente, consente una rilettura dell’immagine di Mussolini nel periodo saloino. Sulla base delle nuove fonti, può spiegare in che modo la figura del dittatore diverge dall’impostazione biografica di De Felice?

ben1.jpgIn estrema sintesi, De Felice recupera e attribuisce dignità storiografica alla versione del Mussolini che si sacrifica per la patria, accettando di interporsi tra tedeschi e italiani per moderare l’occupazione germanica. Nella mia interpretazione, anzitutto, ciò che convince Mussolini è la volontà di tornare al potere, illudendosi di trattare alla pari con il potente alleato, mentre si ritrova in una duplice situazione di subalternità, cui allude il titolo de Il prigioniero di Salò: controllato strettamente dai tedeschi e ingabbiato dal proprio passato che gli impedisce di uscire dalla subalternità alle strategie d’occupazione naziste. La pesantissima tutela germanica è documentata, nel libro, dai dispacci inediti inviati dai plenipotenziari hitleriani in Italia ai loro referenti berlinesi: in essi si parla con scarso rispetto del capo del fascismo, descritto come un uomo del passato. Mussolini è consapevole di essere controllato, spiato, condizionato. A un certo punto ha il terrore di subire il destino del maresciallo Pétain, internato nel Reich e ridotto all’impotenza. Vi è poi la questione dell’autoprigionia: il duce, pur consapevole del disastro imminente e immanente, non vuole smarcarsi dal suo passato e i richiami di matrice repubblicana e socializzatrice non sono che la scelta obbligata, per essere stato scaricato dalla monarchia e dai grandi industriali. Dal nuovo materiale da me utilizzato, e che — in particolare l’Archivio Petacci — De Felice non poté consultare perché secretato sino a un paio d’anni addietro, si comprende come lo stesso Mussolini, deluso dal non poter costituire un vero esercito, si considerava, nel corso del 1944 uno sconfitto senza più prospettive.

2) Le valutazioni storiche da lei espresse sembrano fornire una visuale interpretativa nuova non solo su Mussolini, ma anche sulla drammatica esperienza della RSI. È corretto?

In premessa, vorrei accennare alla pluralità di fonti, spesso inesplorate o comunque poco conosciute, utilizzate nella ricerca. Per la seconda metà del 1943, il periodo contrassegnato dalla deposizione, dalla prigionia, dalla liberazione per mano tedesca e dalla nascita della Repubblica sociale italiana, mi sono servito anche di preziose comunicazioni a Berlino da parte dei protagonisti della diplomazia, della politica e della presenza militare nazista in Italia. Ho poi utilizzato l’epistolario con Claretta Petacci e il cospicuo materiale d’agenzia e di stampa che il duce inviava all’amante, con interessanti sottolineature, commenti e postille. Vi sono inoltre i preziosi Notiziari redatti dal Comando della Guardia Nazionale Repubblicana per Mussolini, i rapporti dei capi-provincia (che erano pure comandanti delle Brigate nere). Dall’analisi di questo materiale credo ne scaturisca un approccio significativo e innovativo alla personalità e alla politica del vecchio dittatore, giunto oramai — e di ciò ne era convinto — all’ultimo atto della sua vita e della sua esperienza di statista. E proprio da queste fonti “di parte” emerge con forza il carattere della RSI come Stato fantoccio, nonché come un regime dilaniato da una lotta personalistica e di corrente, con l’esistenza di una pluralità di organi di polizia legati ai tedeschi, detentori del potere reale.

3) Nel terzo capitolo del libro si parla di una “guerra dei monumenti” condotta in maniera sistematica dai tedeschi. Può dirmi qualche cosa di più su tali vicende?

La guerra dei monumenti riveste un forte valore simbolico, in quanto nelle zone amministrate direttamente dai tedeschi — in primis Alto Adige (Sud Tirolo) e Venezia Giulia — le forze armate germaniche e l’amministrazione nazista gettarono la maschera e rimossero quei simboli considerati lesivi dell’onore del Reich. Ne conseguì lo smantellamento di monumenti che vantavano la vittoria italiana nella grande guerra. Mussolini, informato di questa strategia, non riuscì a impedirla e ciò gli bruciò doppiamente, poiché egli si gloriava dei suoi trascorsi interventisti e dell’arruolamento nel conflitto italo-austriaco. La potenza occupante passò sopra queste problematiche e sferrò pubblicamente uno schiaffo all’orgoglio del duce, che non era più padrone a casa sua.

4) La sudditanza di Mussolini rispetto all’alleato teutonico emerge tra le pagine con chiarezza; tuttavia, lo stato di subalternità non impedisce al dittatore di condizionare la storia italiana anche in questo frangente.
In che modo l’operato di Mussolini ha inciso sulla quotidianità degli italiani oramai restii ad appoggiarlo?

Dal momento che i tedeschi vietarono la costituzione di forze armate fasciste da impiegare al fronte, ne conseguì che l’apparato militare della RSI era rivolto all’interno, ovvero finalizzato alla repressione del partigianato, in funzione di guerra civile. Guerra civile che, lo sottolineo con forza, nacque con la decisione di Mussolini di aderire ai piani germanici, dando vita a uno Stato fantoccio.
5) Anche il ritratto di Claretta Petacci appare ridefinito dai nuovi materiali d’archivio: convinta filonazista, razzista dichiarata, non esente da un certo egotismo; siamo lontani dal cliché romantico cui una certa vulgata ci ha abituato…

ben2.jpgSì. L’idillio tra Clara e Ben (così si chiamavano nell’intimità) cessò quando, con i primi rovesci bellici, il duce comprese la fallacia delle sue convinzioni sulla guerra rapida e vittoriosa. Il suo disappunto venne parzialmente somatizzato, con il riacutizzarsi dell’ulcera che lo aveva colpito ai tempi della “crisi Matteotti”, e in parte si sfogò contro l’amante, sadicamente offesa e persino cacciata più volte da Palazzo Venezia, dove aveva in uso un appartamento. Le liti si alternavano alle riconciliazioni, ma qualcosa si spezzò dentro di lei. Durante l’interludio badogliano subì la carcerazione con la propria famiglia, nella prigione di Novara, e dopo la liberazione per mano tedesca riprese i contatti con Mussolini, che a quel punto la rivalutò, riconoscendole la fedeltà e l’amore in un momento in cui tanti lo avevano rinnegato. Ma Claretta si accorse che Ben era l’ombra di se stesso, incapace di padroneggiare la situazione; di conseguenza, da un lato non gli nascose il proprio disprezzo e dall’altro lo consigliò di schierarsi in tutto e per tutto con Hitler. Mentre la situazione precipitava, decise di restare con Mussolini per manterere quel ruolo che si era conquistata nella storia. E difatti ebbe ragione: si fosse defilata al momento giusto (per lei c’era pronto a Milano un aereo in partenza verso la Spagna), la si sarebbe a malapena ricordata come una delle tanti amanti del dittatore, mentre l’estremo sacrificio l’ha eternata nella storia del fascismo, anche se in una luce ben diversa da quanto i documenti d’archivio rivelano.

6) Un saggio storico come questo incrina il mito di Mussolini in ogni sua declinazione (il duce patriota, virile, condottiero, statista, etc…) nondimeno, in Italia, anche al di fuori degli ambienti politici che esplicitamente si rifanno al fascismo, la mitologia mussoliniana continua a sopravvivere con una certa tenacia. Perché?

Premesso che la storia di Mussolini è la storia del suo rapporto con il potere, e più precisamente con il potere assoluto, i passaggi dalla causa della rivoluzione a quella della reazione, da sovversivo a dittatore, lo rendono un soggetto di studio assai interessante sia sul piano psicologico sia per l’analisi del ruolo delle personalità nella storia. La straordinaria longevità del mito del duce (ben rappresentata, ad esempio, dal film Mio fratello è figlio unico, girato da Daniele Luchetti nel 2007: il giovane protagonista, Accio, cresce nel culto del duce e milita nel Movimento sociale italiano) rappresenta un fattore di stimolo agli studi su Mussolini. Tenuto conto che buona parte dei libri su Mussolini è inficiata da intenti apologetici o manca di un solido riscontro archivistico-documentario, credo vi sia ancora spazio per monografie rivolte a particolari aspetti della sua figura, che ha dominato un trentennio di storia italiana (e non solo). La destra radicale si richiama più ai 20 mesi della guerra civile e del collaborazionismo coi nazisti che non ai 20 anni di gestione mussoliniana del potere. I giovani che nell’autunno 1943 si trovarono a un bivio decisivo erano stati educati nei valori del regime, che identificava Patria e Fascismo. E che attribuiva alla guerra un valore fondante, come banco di prova della vitalità dei popoli. La triade programmatica “Credere Obbedire Combattere” ben sintetizza lo spirito della dittatura mussoliniana, e esprime una linea rimasta inalterata nella Rsi. La convinzione soggettiva di operare per finalità patriottiche era contraddetta — come spiego nel libro con nuovi documenti provenienti dalle carte del duce — dalla consapevolezza che l’alleato tedesco avesse già, di fatto se non di diritto, annesso al Reich l’Alto Adige e la Venezia Giulia. Un fattore rilevante è l’attaccamento, dovuto anche a una questione di sopravvivenza, dei fascisti ai nazisti, che era insieme il portato di valutazioni ideologiche ed uno stato di necessità. E veniamo al presente. Per una serie di ragioni — anche esistenziali, con l’esigenza rassicurante di un “grande padre” — troppi giovani ancora oggi mitizzano Mussolini; ebbene, Il prigioniero di Salò dimostra, con gli stessi documenti del duce, lo squallore umano e la subalternità politica del vecchio dittatore, che per una causa in cui non credeva più inviava a morire e a dare la morte migliaia di giovani. Ho insomma voluto mettere Mussolini con i piedi per terra, togliendolo da quel piedistallo sul quale incredibilmente molti ancora lo collocano, fors’anche per reazione alle miserie dell’attuale classe politica.