di Fabrizio Lorusso

Florence-13-052.jpgDopo 7 anni di reclusione Florence Cassez, cittadina francese condannata in Messico a 60 anni di reclusione per sequestro di persona, porto d’armi e criminalità organizzata, torna in libertà grazie a una decisione della Prima Sala della Suprema Corte di Giustizia della Nazione messicana. La Corte ha giudicato incostituzionale il suo processo e le relative condanne. L’affaire Cassez rappresenta il caso diplomatico più rilevante e più strumentalizzato politicamente tra Messico e Francia dalla Seconda Guerra mondiale in poi. Avevo fatto visita a Florence nel carcere femminile di Tepepan, nella zona sud di Città del Messico, giusto un paio di mesi fa e lei era in attesa della decisione della Corte: silenzio stampa, tensione e tanti sogni. L’addio con le sue compagne di cella, l’auto bianca coi vetri scuri del consolato francese che la veniva a prendere, la libertà respirata fuori da Tepepan, i suoi genitori, l’aereo solo per loro e un volo diretto a Parigi. Niente dichiarazioni per un po’, l’arrivo, la colazione e una nuova vita. Così è stato, come lei desiderava, per filo e per segno anche se nessuno se l’aspettava. Avevamo seguito le vicende su Carmilla Qui – 1 e Qui — 2 (cronologia degli ultimi giorni Qui)

“Dopo sette anni qui, mi pare che lo scherzo sia durato abbastanza”, mi aveva detto l’ultima volta, in novembre. E il suo caso sembrava proprio uno scherzo, anche se tragicamente reale e concreto, come lo sono la privazione della libertà durante anni e l’immersione nel circo mediatico e politico franco-messicano senza interruzioni né spot pubblicitari. Nell’ormai lontano 2005 anche contro di lei s’era messa in funzione la “fabbrica dei colpevoli” messicana, una macchina spietata con ingranaggi incastrati e ferruginosi che girano e s’imballano tra burocrazia, politica, sistema giudiziario e di polizia.
Un sistema che funziona per i motivi e gli interessi più disparati e ogni anno produce casi d’ingiustizia che riempiono le carceri di innocenti o di presunti innocenti cui viene negata la possibilità di difendersi, i cui casi e le cui colpevolezze vengono parzialmente o totalmente fabbricati a vari livelli del processo (vedi libro di Anne Vigna e). Quando si ha la fortuna di arrivare fino alle istanze superiori come la Corte Suprema, in genere c’è la speranza di ottenere giustizia e libertà, ma non molte persone hanno i mezzi materiali, intellettuali, emotivi e giudiziari per portare il proprio caso in appello e poi alla Corte che in Messico funge da giudice costituzionale.
Nel primo pomeriggio del 23 gennaio è arrivata la decisione della Corte di annullare il processo Cassez e le sue due condanne (in primo grado e in appello). Nel marzo scorso, ancora alla fine del periodo presidenziale di Felipe Calderón, i giudici s’erano espressi in senso contrario e la francese era rimasta in carcere.

S’era aperto un dibattito importante nel paese: un processo doveva essere una vendetta o fare giustizia? In che modo, con che metodi era lecito conoscere la verità, sempre che questa sia conoscibile? Esiste in Messico la presunzione di innocenza quando la metà dei reclusi resta in attesa di giudizio per mesi, spesso in base a prove inconsistenti o ricavate con espedienti surreali o con la violenza? E’ meglio un presunto innocente in prigione o un presunto colpevole in libertà? Spesso il governo e la polizia preferiscono i numeri e le cifre: chili di droga sequestrati e persone arrestate. Poi a nessuno importa cosa succede con quei chili di sostanze e soprattutto con quelle vite e nessuno sa se sono colpevoli perché il sistema non sa e non riesce a processare, a investigare, a condannare secondo un minimo standard di protezione dei diritti umani e delle garanzie individuali. E’ giusto comminare una pena di 60 anni di reclusione a una presunta rapitrice se le prove, che poi sono solo testimonianze più volte modificate e incoerenti, sono ottenute in modo fraudolento o addirittura con torture o ricatti? (Intervento recente video in spagnolo)

Mercoledì 23 gennaio i voti positivi in favore del progetto presentato dal magistrato della prima Sala della Corte Olga Sánchez sono stati 3 contro 2 e Florence ha ottenuto la libertà, è partita subito per Parigi. Nelle ultime settimane si vociferava su questo progetto che, in teoria, avrebbe dovuto prevedere semplicemente l’annullamento del processo e la riapertura di un nuovo fascicolo depurato delle testimonianze e delle prove (praticamente tutte) ottenute illegalmente, non valide o derivate da montaggi della polizia, delle TV e delle autorità che via via sono state coinvolte nel caso. Senza queste famigerate “prove” l’assoluzione sarebbe stato il risultato più probabile. Ma la Corte, a sorpresa, è andata oltre.

L’effetto principale della decisione di mercoledì è stata l’immediata scarcerazione di Florence. Questo implica l’ammissione che il processo era stato condotto con abusi abnormi, ingerenze politiche, montaggi televisivi, sentenze e testimonianze falsate e illegali, insomma fuori da qualunque criterio giudiziario accettabile, fuori dal principio costituzionale del processo giusto e dovuto. Florence è stata “sequestrata” quasi un giorno intero prima di essere portata dalla polizia sul presunto luogo del delitto per ricreare televisivamente la scena della cattura. E’ stata sbattuta sugli schermi di fronte a milioni di telespettatori senza saperne nulla. E’ diventata la “diabolica e perversa rapitrice francese” che tortura i messicani. Tutto nel giro di cinque minuti in TV.

E ci sono voluti sette anni per convincere la metà del paese che così non era. Florence non ha avuto l’assistenza consolare adeguata. Florence è vittima e, per colpa delle autorità, non avremo mai un processo che possa chiarire, sempre che fosse possibile, chi siano stati i veri carnefici, i veri rapitori di quelle altre vittime, i tre sequestrati che ancora non sanno chi sono i veri membri della banda di delinquenti che li aveva presi in ostaggio. Ad ogni modo la Corte non poteva decidere circa l’innocenza o la colpevolezza di Florence Cassez, ma poteva solo valutare la legittimità del processo e così ha fatto.

Tutto il caso, compresa la sua rilevanza e importanza mediatica, era cominciato con un montaggio TV orchestrato dall’allora capo della FBI messicana (la Agenzia Fedarle della Investigazioni o AFI), Genaro Garcia Luna (dal 2006 al 2012 Ministro della Sicurezza Pubblica del presidente Calderon), e di Televisa, principale catena messicana e principale artefice della vittoria presidenziale di Enrique Peña Nieto del PRI (Partido Revolucionario Institucional, ex partito egemonico del sistema politico messicano per 70 anni nel novecento) lo scorso primo luglio. Per sei anni Calderon e Garcia Luna non hanno voluto mollare la presa sul caso Cassez mentre Sarkozy sparava dichiarazioni scioviniste e revansciste contro il governo messicano e nel 2011 sospendeva l’anno della Francia in Messico aprendo l’ennesima crisi diplomatica tra i due paesi. Hollande è stato più discreto, ha lasciato fare ed ha atteso la fine del sessennio del PAN (Partido Accion Nacional, di destra) e di Calderon, mentre negoziava in dicembre con Peña Nieto, che è stato anche in Francia durante il suo primo tour di visite ufficiali, la fine del tormentone e la normalizzazione delle relazioni diplomatiche.

Il governo messicano non è stato da meno in quanto a strumentalizzazioni: tra sparate sensazionaliste per coprire gli eccessi della polizia nel “controllo” della protesta sociale e nell’ambito della “guerra al narcotraffico”, tra annunci vuoti e altisonanti sul rispetto della sovranità del paese e del suo presunto “esemplare stato di diritto”, il presidente e il suo ministro prediletto, Garcia Luna, per anni hanno messo in ridicolo e caricato oltremodo il sistema politico e l’amministrazione della giustizia che, solo ora che sono usciti di scena, la Corte ha potuto in qualche modo sanzionare correggendone alcune storture e pratiche nefaste. Mentre prima il Ministro Garcia Luna negava, col tempo ha dovuto ammettere la storia del montaggio TV e a poco a poco l’opinione pubblica ha cominciato a capire con chi aveva a che fare. Oggi i media messicani, nella polemica post-caso Cassez, stanno già chiedendo la sua testa e anche quella del suo secondo, il fidato ex capo della polizia Luis Cardenas Palomino, coautore dello show e del montaggio televisivo contro Cassez. Dal portale SinEmbargo.Com.Mx : “Ci aspettiamo che i responsabili di quella manipolazione, che fu totalmente illegale, siano chiamati a rendere conto ” e ancora “la polizia non isolò né protesse le vittime del presunto rapimento e, al contrario, furono mantenute in un ambiente ostile, insieme ai loro presunti aggressori, il tutto per fare un’operazione pubblicitaria che non aveva nulla a che vedere con le indagini”.

Il giudice della Corte Arturo Zaldivar ha giustificato la decisione in questi termini: “La Corte difende i diritti umani di tutti perché desideriamo un cambiamento nella prassi della polizia, del pubblico ministero e dei giudici, ed è questo che rende rilevante il ruolo del tribunale supremo al di là del caso concreto e della situazione concreta della persona di cui parliamo”. Dunque la trascendenza di questo caso è indubbia: in un paese condannato da più parti (mass media, ONG, Corte Interamericana dei Diritti Umani, ecc…) per le violazioni ai diritti umani, per i femminicidi, per gli abusi della polizia, per la guerra al narcotraffico promossa dall’ex presidente Calderón (2006-2012) che ha provocato oltre 16mila desaparecidos e circa 80mila morti, il rispetto della legalità nei processi e il rispetto dei diritti dell’uomo sembravano essere principi astratti, inutili, mentre rappresentano la base per ricostruire il tessuto sociale e la credibilità delle istituzioni. Senza questi elementi, nessuna lotta ai cartelli e alla delinquenza organizzata è possibile. Il caso Cassez ha evidenziato, messo a nudo e condannato le interferenze politiche nella magistratura, l’intervento di ministri e presidenti in sfere a loro estranee, l’ingerenza dei media (in primis la catena Televisa) che hanno costruito il caso e alimentato i sospetti e i pregiudizi contro la francese.

Cronologia breve in francese.
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