di Gioacchino Toni

«nella società tecnologica, la percezione è più importante dei dati e persino dei fatti, perché misura l’assenso dei singoli all’opinione pubblica fondata sull’informazione […] la percezione è data dall’imprevedibilità e dall’emotività delle persone, condizionata dall’opinione pubblica dei media, a loro volta moneta dei poteri, dei quali essa rappresenta le visioni» (pp. 113-114). Così scrive in un suo recente libro Carlo Carboni, Magia nera. Il fascino pericoloso della tecnologia (Luiss University Press, 2020) focalizzandosi su come, nell’ibridazione contemporanea tra reale e virtuale, si viva in una meta-realtà verosimle, in una realtà aumentata che, attraverso dispositivi digitali, interagisce nella costruzione dell’ambiente sociale.

I media informativi tendono a selezionare in base alla possibilità di colpire l’emotività degli individui [su Carmilla] e lo fanno dettando l’agenda delle priorità attraverso un bombardamento di messaggi tale da rendere sempre più difficile individuare i fatti “più importanti” all’interno di una marea d’informazioni effimere, esasperando e persino, soprattutto sul web, mentendo pur di intercettare audience da poter vendere sul mercato pubblicitario.

La percezione è condita dall’imprevedibilità delle emozioni, ma è anche subalterna all’opinione pubblica, detentrice di una sorta di potere di verosimiglianza: quella che trasfigura ingigantendo i dati oggettivi al punto da suscitare percezioni esagerate sulla scorta di veloci emozioni, più che in base a riflessioni che richiedono un tempo che, nel presente, pur “aumentato” non c’è. […] Paure e incubi suscitano allucinanti alte maree negli spazi mediatici. Essi funzionano non solo per il potere politico, ma anche per i poteri mediatici e per tutti coloro che sono deputati alla protezione e alla soft persuasion dei cittadini (p. 114.).

La stretta attualità sta mostrando diversi punti di contatto tra le “strategie emotive” di comunicazione/informazione cosiddette manistream e quelle attaute dai canali che si dicono alternativi alla narrazione dominante. Si possono leggere a tal proposito, con riferimento alla vicenda pandemica, alcune acute riflessionim a firma Guy Van Stratten sulla speculare costruzione di “immaginari tossici” costruiti attraverso modalità comunicative iperboliche non così dissimili [su Codice Rosso], così come del tutto analogo, evidenzia l’autore, è risultato il ricorso a una simboligia patriottica [su Codice Rosso]. Al di là dello specifico, si tratta di questioni di una certa rilevanza che pongono, inoltre, ancora una volta, interrogativi circa l’indicdenza del medium, accuratamente contestualizzato, sulle modalità comunicative e sui contenuti stessi attraverso esso esprimibili efficacemente.

Tornando al volume di Carboni, questo si sofferma tanto sul fascino, anche estetico, esercitato dalla tecnologia sugli individui, quanto sulle modificazioni cognitive e sulle alterazioni di mentalità da essa comportate. In particolare una parte importante delle sue riflessioni ruota attorno al concetto di “verosimiglianza”. «La società tecnologica è verosimile: è la società dove regnano sovrane le percezioni metabolizzate in opinione pubblica tramite i media; quindi, una società maggiormente soggetta al pericolo di percezioni sbagliate» (p. 15).

Maggiore è il grado di sofisticazione tecnologica, maggiore è la propensione umana, nell’impossibilità di comprenderne il funzionamento, allo stupore e alla credenza nei confronti di quelle che vengono percepite come magie del progresso tecnologico. Se da un lato si è propensi a credere che le nuove tecnologie «compiranno la magia delle magie: salvare il pianeta dalle insidie delle esplosione demografiche, dal degrado ambientale e atmosferico. Salvare il pianeta da quanto commesso fio ad ora dall’uomo contro di esso» (p. 19), dall’altro si diffondono incertezze e paure derivate dall’impossibilità di comprendere. «La società tecnologica si presenta come ambivalente, paradossalmente, con la sua duplicità di effetti scontati e inattesi, razionali e magici, rituali e caotici, mentre la società, come direbbe Émile Durkheim, perde “spessore morale”, non ha più la capacità di definire identità» (p. 22).

La diffusione delle nuove tecnologie, oltre a comportare una serie di problemi ruotanti attorno alla sostituzione del lavoro umano e a nuove forme di imprenditorialità e di sfruttamento, amplifica l’impossibilità per la gente di comprendere quanto stia realmente accadendo.

Il senso di connessione – non i sogni, per ora utopici, dell’intelligenza collettiva o inter-connettiva – è diventato un nostro istinto primario, che sistematicamente anteponiamo a stazioni e relazioni vis à vis. Il senso di connessione è ormai un sistema passante della nostra mente. È una traccia, una prova importante che per circa due miliardi di persone la fusione di reale e virtuale sta partorendo una nuova mentalità (p. 23).

La mentalità derivata dall’utilizzo delle tecnologie come protesi di empowerment individuale, sottolinea Carboni, tende a offuscare, non a cancellare, altre dimensioni come quelle socioeconomiche, civili ecc., dimensioni che vengono scarsamente percepite in quanto nelle reti relazionali tecnologiche i “fattori di contesto” tendono a collassare sebbene, in una sorta di processo di resilienza, non a sparire totalmente.

Numerose relazioni sociali e civiche sono andate incontro a una dematerializzazione, a una virtualizzazione attuata dalle nuove tecnologie non di rado sostenuta da un effettivo compiacimento e rapimento degli utenti che ne fanno uso. A rendere la partecipazione politica sempre meno reale hanno indubbiamente contribuito i media, dalla televisione al web, nel loro spingere verso il superamento delle vecchie forme di partecipazione attiva e in presenza [su Carmilla]. La partecipazione diretta ai partiti politici novecenteschi è stata in parte surrogata dalla capacità d’informazione – assai poco critica – dei media [su Carmilla]. «È l’odierna meta-realtà verosimile, in cui realtà individuale, socioeconomica, civica, culturale girano assieme alle infinite finestre e app della realtà virtuale» (p. 24).

Se nel Novecento la tecnologia più innovativa apparteneva soprattutto all’ambito militare o all’automazione industriale, oggi sembra piuttosto focalizzarsi su quelle forme di capitalismo legate alle piattaforme del web che hanno in Google, Apple, Amazon, Facebook e Microsoft, le five stars del firmamento statunitense, ammesso abbia ancora senso collocarle geograficamente. Questi colossi stanno costruendo un’architettura d’intelligenza artificiale “messa a servizio” delle attività umane e al tempo stesso capace di “mettere a servizio” queste ultime [su Carmilla].

La società sembra aggrappata alla fede nella tecnologia e mostra acquiescenza nei confronti del determinismo tecnologico di cui si fanno alfieri i signori della Silicon Valley. Scienza e tecnologia divengono fattori centrali di produzione e lavoro, per cui influenzano tutto ciò che facciamo […] In definitiva, la tecnologia è l’ambiente delle nostre attività economiche e riproduttive, in cui siamo sempre più immersi, sopo la cesura ottocentesca tra scienza e valori religiosi (p. 38).

Se da un lato nemmeno l’avverarsi di eventi distopici o tecnofobici, il succedersi di scandali, il palesarsi di un cinismo affaristico che non esita a insinuarsi sin negli aspetti più reconditi degli esseri umani, sembrano scalfire il fascino dell’avanzata digitale, dall’altro lato il timore della perdita del controllo sulle tecnologie non manca di far presa sugli individui. Si tratta di una paura ricorrente nel mondo tecnologico e più quest’ultimo è complesso, dunque meno di esso è dato di comprendere, maggiormente si risvegliano paure profonde. Non a caso si sono sedimentate paure nei confronti di un “super-sistema di sorveglianza”, una sorta di “grande burattinaio” solitamente individuato in qualche centro di potere politico-finanziario che può assumere le vesti di un’entità di gruppo (G8, G20, Banca Mondiale, FMI… ma anche Big-Pharma, Big-Data, ecc.) o di una singola personalità (Geroge Soros, Bill Gates ecc.) in linea con la classica incapacità di mettere sotto accusa un intero modello di produzione.

Riprendendo James Beniger, The Control Revolution. Origins of the Informtion Society (Harvard University Press, 1986), convinto che lo sviluppo ottocentesco delle tecnologie comunicative derivi da una “crisi di controllo”, la società dell’informazione con le sue mirabolanti tecnologie può essere intesa come una rivoluzione volta alla riconquista del controllo sulla vita sociale dell’individuo. In tale ottica i sistemi di profilazione, controllo e direzione [su Carmilla] caratteristici dell’attuale società dell’informazione appaiono come l’ennesima tappa di un processo, che ha conosciuto un vero e proprio punto di svolta con l’avvento della società industriale, indirizzato alla costruzione di una nuova infrastruttura di controllo.

Il risultato, con ogni probabilità, sarà maggior controllo e dipendenza dei mercati delle five stars digitali targate USA (o del BAST cinese). Di conseguenza, dietro al partnership dei data flows, visti come precondizione per lo sviluppo tecnologico di un paese, si nasconde un nuovo tipo di colonizzazione sistemica. Colossi come Europa, India e Brasile, per ora, subiscono le azioni dei big five del digitale […]. Solo la Cina sta cercando di creare strutture di governance e d’investimenti necessari per costruire una nuova architettura pubblica per l’AI (p. 43).

Carboni si sofferma anche sull’individualismo amorale e cinico che abita il web. Sebbene “narcisismo individualista” e “solitudine di massa” possano dirsi alimentati e favoriti dalle recenti novità tecnologiche, di per sé questi erano già stati abbondantemente diffusi dalla cultura neoliberista degli anni Ottanta incentrata proprio sull’individualismo e sul rigetto nei confronti della società; si pensi a quanto in tal senso – sia a livello materiale che di immaginario – ha spinto sull’acceleratore Margaret Thatcher.

Se da un lato il sovraccarico informativo e la frenesia di aggiornamento dei media, soprattutto del web, hanno contribuito ad attenuare le capacità d’attenzione e di selezione, dall’altro però, sottolinea Carboni, la rete ha anche spalancato un altro mondo all’individuo. L’individualismo interconnesso non è per forza la fine delle relazioni sociali ma può anche essere una modalità con cui ricostruirle. Esiste anche un individualismo «che ricostruisce trame relazionali sociali anche grazie alla rete, consapevole che le divisioni economiche continuano a pesare anche in rete (livelli d’istruzione, diseguaglianze socioeconomiche)» (p. 56). Un individualismo consapevole del contesto in cui opera e che tenta di costruire una sua trama sociale.

Negli ultimi decenni la società occidentale, anche sulla spinta dell’innovazione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, ha visto un indebolirsi del senso di appartenenza individuale al collettivo in favore di un senso di connessione virtuale con una moltitudine planetaria di individui [su Carmilla].

In questo scenario, l’individuo perde la capacità di apprendere dall’altro e dal mondo sociale e la sua immagine trasloca nella nuova dimensione in cui il confine tra reale e virtuale diventa sempre più sottile fino alla fusione dei due mondi. La società diviene una matassa di percezioni e reti semiotiche interne a un ambiente tecnologicamente costruito. Il senso di connessione, per cui siamo aperti a tutti, prevale sul rapporto comunicativo in presenza […] La connessione diventa indispensabile: non ne potremmo fare a meno, se non al prezzo di cadere in un’ansia da spaesamento come chi è fuori controllo operativo. È l’ansia di non disporre del controllo che testimonia la forza persuasiva dei poteri tecnologici di regolazione e sorveglianza nella società mondo (pp. 79-80).

I colossi tecno-economici hanno saputo tanto intercettare quanto favorire un paradossale desiderio di libertà “ottenuto” in cambio del sottostare/contribuire a un meccanismo di sorveglianza. L’individuo sembra soddisfare il suo desiderio di vagare “liberamente” tra i fantasmagorici scenari tecnologici usufruendo dei suoi mirabolanti “servizi” cercando di non guardare troppo all’avere, nei fatti, accettato di farsi spiare e spia allo stesso tempo. [su Carmilla]

Esiste, sostiene Carboni, una forte relazione «tra cambiamento tecnologico e metamorfosi dell’ordine sociale, con un grande abbraccio a tre con l’economia/finanza. […] Le tecnologie hanno contribuito a destrutturare – a rendere liquida, nei termini baumaniani – la società, mettendo in secondo piano la sua concreta morfologia (l’articolazione socioeconomica) e la sua civicness (il suo spessore morale direbbe Durkheim), la società della cittadinanza attiva e competente» (p. 80).

In un tale contesto ai legami di classe o gruppo sociale tendono a sostituirsi legami individuali all’interno di piccole ed effimere comunità sul web. A rafforzarsi è la dimensione tecnologica del sociale «come contesto distintivo di una nuova epoca sociale d’individualità multidimensionali» (p. 80). La rete ha sostituito il gruppo nell’agire da motore principale di socializzazione dell’individuo [su Carmilla].

Sin dagli anni Ottanta i gruppi sociali hanno via via abbandonato forme di solidarietà dinamica, tese alla conquista di maggiori risorse e alla loro ridistribuzione, in favore di modalità difensive, votate alla conservazione di quanto precedentemente ottenuto. La morfologia sociale contemporanea appare iper-stratificata, segnata da un incremento delle diseguaglianze socioeconomiche, della povertà e dal dissolvimento della classe media. L’isolamento dei tanti “connessi ma soli” deriva sicuramente dalla differenziazione sociale e individuale a cui hanno di certo contribuito le nuove tecnologie della comunicazione ma è pure, sottolinea Carboni,

risultato della multidimensionalità di status (socioeconomico, politico, tecnologico, culturale) in cui l’individuo si trova a vivere le sue verità esistenziali, all’incrocio tra i tradizionali fattori culturali-istituzionali e l’azione presente. La mano invisibile dell’impatto delle NT [Nove Tecnologie] sul sociale si osserva anche sulle diseguaglianze tra ceti medi vincitori e ceti medi vinti (p. 102).

L’impatto delle nuove tecnologie, nel loro porsi come motore della globalizzazione al cambio di millennio, sul lavoro, sull’acuirsi delle diseguaglianze, sui fenomeni migratori e sulla crisi dei ceti medi è sicuramente rilevante. A proposito di quest’ultima crisi, Carboni sottolinea come la frantumazione della middle class tradizionale comporti vinti e vincitori. Ed è proprio da questi ultimi che sembrano far capolino i «nuovi ceti medi science & tech oriented, del sapere esperto, della consapevolezza del senso del proprio sapere» (p. 106), verso cui cui lo studioso ripone una certa fiducia.

Dopo la transizione nella prima parte del nuovo secolo, in cui appare liquida alla percezione o finita come nelle parole di Alain Touraine o ridotto a “sciame” delle configurazioni imprevedibili, come nella visione del digitale di Byung-Chul Han, la società tornerà ad avere una sua architettura disegnata dalle NT. Le nuove tecnologie […] stanno creando una nuova orditura sociale: danno allo “scheletro” nuovi nervi e muscoli. Competenti e connessi: ecco come saranno i ceti medi del XXI secolo, centrali, perché da essi dipenderanno l’applicazione e le decisioni operative nelle imprese, nei grandi apparati pubblici, nell’informazione, nella politica, nella giustizia, nei servizi, nelle grandi infrastrutture di rete e di AI (p. 106).

Se è difficile riporre la medesima fiducia di Carboni nei confronti di questa futura techno élite, più facile convenire con lo studioso circa il fatto che è attraverso le nuove tecnologie che si sta costruendo l’architettura sociale presente e futura. Resta il problema di come poter incidere contro le vecchie e nuove dinamiche di sfruttamento presenti in questa società tecnologica, se non tecnocratica, della profilazione, del controllo e della direzione, dell’iperconnesione diffusa, dell’esibizione obbligata, della meta-realtà verosimile, della realtà aumentata, dei quadri science & tech oriented intenti a organizzare, magari a suon di accattivanti app, l’altrui esistenza, dei connessi ma soli, della solitudine di massa in balia della magia tecnologica e della paura. Di fronte a tanta complessità, un’unica ceretezza: di certo non sarà una magia delle magie – tecnologica o di altro tipo – a cambiare le cose.

 

Bibliografia

  • Calzeroni Pablo, Narcisismo digitale. Critica dell’intelligenza collettiva nell’era del capitalismo della sorveglianza, Mimesis, Milano-Udine, 2019.
  • Carboni Carlo, Magia nera. Il fascino pericoloso della tecnologia, Luiss University Press, Roma, 2020.
  • Castoro Carmine, Il sangue e lo schermo. Spettacolo dei delitti e del terrore Da Barbara D’Urso all’ISIS, Mimesis, Milano-Udine, 2017.
  • Dal Lago Alessandro, Populismo digitale. La crisi, la rete e la nuova destra, Raffaello Cortina Editore, Milano 2017.
  • Drusian Michela, Magaudda Paolo, Scarcelli Cosimo Marco, Vite interconnesse. Pratiche digitali attraverso app, smartphone e piattaforme online, Meltemi, Milano,2019.
  • Lyon David, La cultura della sorveglianza. Come la società del controllo ci ha reso tutti controllori, Luiss University Press, Roma, 2020.
  • Vaccaro Salvo, Gli algoritmi della politica, elèuthera, Milano, 2020.
  • Van Stratten Guy, Covid, Vaccini e immaginari alterati, in Codice Rosso, 15 settembre 2021.
  • Id., Patriottismo e tricolore ai tempi della pandemia, in Codice Rosso, 22 ottobre 2021.
  • Veltri Giuseppe A., Di Caterino Giuseppe, Fuori dalla bolla. Politica e vita quotidiana nell’era della post-verità, Mimesis, Milano-Udine, 2017.
  • Zuboff Shoshana, Il capitalismo della sorveglianza. Il Futuro dell’umanità nell’era dei nuovi poteri, Luiss University Press, Roma, 2019.

Su Carmilla – Serie completa Culture e pratiche della sorveglianza