di Mazzino Montinari

Antonella Lattanzi, Questo giorno che incombe, HarperCollins, Milano, 2021, pp. 455, € 19,50.

Una grande libreria. Tanti scaffali. Volumi messi in ordine. Autori, titoli, generi. Il lettore cerca Questo giorno che incombe di Antonella Lattanzi, il quarto romanzo della scrittrice nata a Bari, con delle significative esperienze cinematografiche in qualità di sceneggiatrice. Lo troverà a colpo sicuro? Potrebbe essere tra la narrativa italiana. O forse tra i noir (un delitto è pur sempre un delitto), tra gli horror (una casa che parla non fa abbastanza paura?) e, magari, se il libraio fosse stato in vena di provocazioni, nel reparto psicologia o società (i disagi della protagonista sono personali e al tempo stesso profondamente legati al contesto nel quale questi si manifestano). Meglio chiedere informazioni prima di scoprire che è stato messo tra i libri di urbanistica, tra gli studi che analizzano quegli strani quartieri a forma di paesi nei quali le persone pensano, stabilendovisi, di scoprire un insperato senso di appartenenza o, come suggerito nel romanzo, un luogo dove rafforzare e condividere i propri pregiudizi.

Questo giorno che incombe è un oggetto che sfugge alle classificazioni, alle facili ripartizioni. Procede seguendo direzioni impreviste, come accade al personaggio principale del romanzo, Francesca. La realtà di questa donna, allo stesso modo dell’intera storia, è uno specchio in frantumi che, ricomposto, offre riflessi di qualcosa che si vede ma con dei limiti sfuggenti, indefiniti, che sconfinano in altro. Ci si approssima a una verità, ma più che l’immagine sarà l’occhio a decidere, assumendosene la piena responsabilità, il giusto e l’ingiusto, l’autentico e l’inautentico. Pulsioni, desideri, atti di fiducia, razionalità, abbandonarsi al flusso (per omologarsi o per trascendere), essere lasciati, venire incontro tra paura e coraggio, le vie di un senso possibile sono molteplici, infinite, per niente garantite.
La storia scorre, procede verso qualcosa che incombe, per rimanere fedeli al titolo che allude a un fatto che è avvenuto, non a un destino ineluttabile. Non ci sono salti temporali, non se ne avverte il bisogno. Il caos è già nel presente. Un tempo che ha tracimato fino a sommergere il passato e il futuro. Eppure, all’inizio delle prime cento pagine, quelle di cui si può parlare più liberamente senza timore di scalfire la tensione narrativa messa in atto da Lattanzi, le vicende riguardano una famiglia che da Milano si sposta a Roma. Francesca ha due bambine, Angela ed Emma, e per seguire il marito Massimo, che finalmente vede decollare la sua carriera, ha rinunciato al suo lavoro, alla sue amicizie, e si arrischia, senza calcolarne bene gli eventuali esiti negativi, in una nuova vita tra una casa che inizia a parlarle (con toni amichevoli e minacciosi), un lavoro da freelance, come disegnatrice che può finalmente realizzare un libro tutto suo, e un quartiere “non-luogo” come quello del Giardino di Roma, che esiste realmente tra via Cristoforo Colombo e via Ostiense, e che in una storia simile nelle atmosfere a The Village di M. Night Shyamalan, tra i suoi abitanti ha un gruppo di persone simili agli adepti di una setta o a quegli amici di cui senti il bisogno in tempi difficili.

Questo giorno che incombe inizia con la gioia di chi pensa che l’esistenza non sia altro che un circolo virtuoso tra relazioni famigliari e professioni. Francesca ama Massimo, Massimo ama Francesca. Francesca e Massimo amano le figlie e viceversa. Il lavoro è il giusto compenso di esistenze che pensano, dunque, di poter essere impermeabili agli scossoni, alle intemperie, ai demoni che agitano le strade, le piazze, anche quelle apparentemente pacifiche, piatte, dei grandi “non-luoghi”.
Non è così. Francesca, d’improvviso, perde le tracce del suo accordo siglato col mondo. La sintonia svanisce e inizia un conflitto all’interno e fuori di sé. La sua vita, i ricordi, il marito, le figlie, il lavoro, i deliziosi vicini, progressivamente tutto si scontorna, le figure, i simboli, le idee smarriscono le forme di sempre, assumendone di nuove e impreviste. È a questo punto che prende avvio un dialogo con la casa, tra l’allucinato e il disperato tentativo di approdare a un’autocoscienza. Un fitto parlare nel quale Francesca da un lato perde se stessa, dall’altro potrebbe aver conquistato una nuova dimensione esistenziale nella quale si rivelano desideri talvolta inconfessabili e un talento creativo fino allora celato in chissà quale angolo remoto della sua psiche. Scorrono pensieri che si fanno largo e che penetrano gli argini eretti senza più convinzione da una donna sull’orlo di un precipizio, dove a cadere forse sarà lei o, in opposizione, il ruolo che altri continuano ad attribuirle.

In queste cento pagine, che compongono la prima di cinque parti, dell’orribile atto ai danni di una bambina, vagamente annunciato in quarta di copertina e nelle recensioni e presentazioni, non vi è ancora traccia alcuna. Il crimine è indubitabilmente un tragico accadere che modifica le relazioni, che pregiudica il reciproco fidarsi e che rende trasparenti le vergognose pratiche del genere umano quando ha paura e si difende con la logica del branco che colpisce il più debole. Tuttavia, quel crimine non definisce l’identità incerta di Francesca e la sua solitudine radicale, quella si è generata (inspiegabilmente) altrove. È proprio questa libertà narrativa fuori dai meccanismi di una trama semplicemente noir a colpire e a disorientare chi vorrebbe avvicinarsi a e, al tempo stesso, allontanarsi da Francesca. Anche nel giro di un semplice paragrafo si avverte una distanza incolmabile e però si prova empatia per una donna che non riesce più a comprendere se è lei ad aver distrutto il piccolo mondo al quale apparteneva o se quest’ultimo l’ha divorata come una preda qualsiasi. Ad ogni modo, non esiste solo un colpevole da rintracciare, da individuare per ottenere giustizia. Il mistero che agita Questo giorno che incombe è quello di un’identità che appare e scompare, che distrugge e costruisce, che scappa e che rincorre. Alla fine (e all’inizio) si tratta di questo.