di Walter Catalano

E’ una logora banalità affermare che la realtà talvolta sia molto più romanzesca della fantasia letteraria. Eppure, come molti luoghi comuni, l’abusata asserzione può rivelarsi vera: non ci sono dubbi che lo sia nel caso di un personaggio come John Whiteside Parsons, “Jack” per gli amici.

Se un soggettista si fosse presentato da un produttore cinematografico con una sinossi come questa, forse avrebbe avuto più di una chance (o non ne avrebbe avute affatto, perchè la storia non era abbastanza credibile): un ragazzo californiano di buona famiglia cresce negli anni ’30, nutrendosi di riviste pulp e appassionandosi in particolare alla fantascienza; sogna astronavi, voli spaziali e viaggi sulla Luna. A poco a poco la passione diventa ossessione: il giovane impiega i suoi risparmi per dedicarsi alla ricerca sui razzi; da autodidatta e impiegato in un’azienda chimica diventa un esperto di esplosivi ed entra in contatto epistolare con Wernher Von Braun e con i maggiori ricercatori internazionali del settore; pur non avendo titoli accademici riuscirà, a poco a poco, a realizzare i suoi desideri come conduttore del gruppo che svilupperà il carburante solido dei missili che, qualche anno dopo, porterà il suo paese sulla Luna. Ma non è finita qui: Jack ha una doppia vita; di giorno è, più o meno, uno scienziato ma, affascinato dalla magia e dall’occultismo, di notte si trasforma in un praticante dei riti di magia sessuale del famigerato Aleister Crowley – “l’uomo più perverso del mondo”, secondo la stampa scandalistica britannica – che, inizialmente ammirato, lo metterà a capo della filiale americana del suo ordine esoterico (“la magia non è che un atto di volontà” – diceva Crowley). Non mancano poi intricate storie erotiche e sentimentali con la moglie, la sorella minore della moglie e varie altre affascinanti donzelle, in ménage à trois o più (tra i partecipanti anche Ron L. Hubbard, scrittore di fantascienza e fondatore del culto di Scientology) e un finale tragico e misterioso al quale forse non sono estranei servizi segreti e FBI. Tutto questo sembra invenzione ma è accaduto davvero, tra il 1914 e il 1952: John “Jack” Whiteside Parsons è una delle poche personalità contemporanee il cui nome è stato onorificamente attribuito dagli astronomi a un cratere sul lato buio della luna (a 37° Nord, 171° Ovest).

Ovvio che una figura di tale spessore immaginifico non potesse sfuggire al mondo dei media: a Parsons sono state dedicate ben tre biografie, una a fumetti – The Marvel, realizzata nel 2008 da Richard Carbonneau e Robin Simon – e due in volume: Sex and Rockets: The Occult World of Jack Parsons (1999) di John Carter e Robert Anton Wilson; e Strange Angel: The Otherworldly Life of Rocket Scientist John Whiteside Parsons (2006) di George Pendle. Proprio da quest’ultima opera è stata tratta la serie che lo showrunner Mark Heyman, ha proposto nel 2017 alla CBS Television Studios che cercava un serial di sfondamento, in area Sci-Fi colta, abbastanza solido da essere contrapposto alla Westworld di HBO, alla The Handmaid’s Tale di Hulu o alla American Gods di Starz. Lo show si avvale di Ridley Scott e David W. Zucker – quella Scott Free Productions che già aveva brillantemente avviato, tra le altre cose, The Man in the High Castle per Amazon Video – come produttori esecutivi, e di un cast di ottimi attori tra cui Jack Reynor/Jack Parsons (già visto nel secondo episodio di Philip K. Dick’s Electric Dreams), Bella Heathcote/Susan Parsons (già ammirata in The Neon Demon di Nicolas Winding Refn e in un ruolo minore di The Man in the High Castle), Rade Šerbedžija/Prof. Filip Mešulam (grandissimo interprete croato giunto all’attenzione internazionale con Prima della pioggia di Milčo Mančevski nel 1994 e poi con l’ultimo Kubrick, Eyes Wide Shut – dove si doppiava in italiano da solo), e i più giovani Rupert Friend/Ernest Donovan e Peter Mark Kendall/Richard Onsted.

Come di consueto quando c’è di mezzo Ridley Scott, fotografia, costumi e scenografie d’epoca sono ineccepibili; il rimando figurativo all’immaginario pulp di Amazing Stories o Astounding Science Fiction, alle cui pagine il giovane Jack si abbevera, è estremamente raffinato, così come la ricostruzione di un ambiente scientifico dilettantesco – a base di laboratori ricavati in magazzini e garage o di esperimenti nel deserto mediante rudimentali rampe di lancio missilistiche con protezione a base di sacchetti di sabbia – e in parallelo lo scenario universitario del prestigioso Caltech (California Institute of Technology) che gli avventurosi giovani cercano con alterne vicende di frequentare; oppure colpiscono certi sofisticati particolari della sceneggiatura, vere e proprie strizzate d’occhio allo spettatore edotto (per esempio vedere i protagonisti mentre ascoltano alla radio frammenti dello storico radiodramma che Orson Welles trasse nel 1938 dal romanzo War of the Worlds di H.G. Wells, commentando sugli idioti che ci credono davvero; oppure, come in un romanzo di Raymond Chandler, vedere Jack testimoniare ad un processo in qualità di esperto di esplosivi – episodio per altro avvenuto realmente – incastrando i poliziotti corrotti che avevano piazzato una bomba nella macchina del detective che raccoglieva prove contro di loro…). La prima stagione della serie si concentra solo sulla prima parte delle numerose esperienze di questo straordinario personaggio e dei suoi compagni di strada (che nello show, probabilmente perché alcuni di loro sono ancora in vita, figurano tutti con un nome fittizio); ma prima di proseguire, esploriamo meglio quali sono i fatti storici reali che la fiction, più o meno fedelmente, rielabora.

Nato nel 1914 in una distinta e facoltosa famiglia di Pasadena (Los Angeles), Parsons, pur avendo avuto accesso a studi superiori, era in larga misura un autodidatta in campo scientifico: “non aveva talento matematico” – secondo quanto affermerà il prof. Theodore Von Kàrmàn, di cui fra poco parleremo – ma “un cervello a ruota libera”. Grande appassionato di fantascienza, promotore della Science Fiction League fondata da Hugo Gernsback nel 1934, fu amico o conoscente di molti fra i principali scrittori di science fiction degli anni ’30 e ’40, fra essi A.E. Van Vogt, Forrest J. Ackerman, Ray Bradbury (che dichiarò parlando di lui in un’intervista, di essere affascinato “dalle sue idee sul futuro, ma avevo un po’ paura di lui anche se aveva solo 5 o 6 anni più di me: io allora ero solo un ragazzo poco scolarizzato che vendeva giornali per strada, senza alcuna possibilità di unirsi alla società missilistica di cui parlava quel signore…”), Jack Williamson (di cui apprezzava particolarmente il romanzo Darker Than You Think, in cui la razza dei licantropi cerca di recuperare l’antico potere sugli uomini dando vita ad un fanciullo magico: il Figlio della Notte – anche Parsons, vedremo fra poco, proverà a fare qualcosa di simile. In un episodio dello show lo vediamo partecipare ad una convention fantascientifica durante la quale un giovane Williamson presenta il suo romanzo appena uscito), e Robert Heinlein (che modellò proprio su Parsons il personaggio di Michael Valentine Smith, il Messia marziano di Stranger in a Strange Land, figura che tanto avrebbe ispirato gli hippies, Charlie Manson compreso…. ). Parsons – descritto da chi l’ha incontrato come un uomo “bruno, alto, di bella presenza, molto brillante e intelligente” – usò la volontà – che è la vera magia secondo Crowley – per rendere reali le visioni tecnologiche di cui leggeva sui pulp fantascientifici.

Dopo aver assistito nel 1936 ad una conferenza al GALCIT (Guggenheim Aeronautical Laboratory), sull’ipotesi di un aereo a reazione, il giovane chimico dilettante, insieme all’amico meccanico Edward S. Forman, iniziò a sperimentare con piccoli razzi a polvere pirica. Nel giro di poco tempo i due passarono al propellente liquido ma, mancando di fondi per sviluppare le ricerche, contattarono il Caltech, ottenendo l’interessante proposta di collaborare alla tesi di dottorato sulla propulsione a reazione di un brillante allievo dell’Istituto, Frank Malina (nel film chiamato Richard Onsted): il gruppo affiatato che si formò con l’apporto di un assistente di laboratorio, Weld Arnold, che li finanziò, e di un dotatissimo studente di matematica cinese, Hsue Shen Tsien (nel film chiamato Gui Chiang), venne presto soprannominato nel giro universitario “The Suicide Squad”, per la disinvoltura con cui tutti i membri maneggiavano sostanze pericolose come l’acido nitrico o l’ossigeno liquido e per i razzi sperimentali sparati quasi quotidianamente provocando devastanti esplosioni.

Nella realtà il gruppo, unito sotto il motto di “Ad Astra per Aspera”, fu una sorta di triunvirato di individui complementari: Parsons, il chimico; Malina, il matematico; e Forman, l’ingegnere. Il film invece, sopprimendo la figura di Forman, si concentra sulla dialettica contrapposta fra Parsons, l’impetuoso sperimentatore, e Malina/Onsted, il cauto teorico. Sotto gli auspici e la protezione del professor Theodore Von Kàrmàn (nel film chiamato Prof. Filip Mešulam) – il più geniale studioso di aereodinamica della sua epoca, ungherese, docente universitario in Germania e profugo in Usa dopo l’avvento di Hitler – le ricerche del gruppo, alle soglie degli anni ’40, iniziano ad interessare l’esercito per un possibile utilizzo militare, considerato il sempre più probabile coinvolgimento degli Stati Uniti nel Conflitto mondiale. Grazie a questi nuovi e più cospicui finanziamenti, i ragazzi della Squadra suicida approdarono finalmente allo sviluppo di un propellente solido: Parsons aveva ormai approntato la tecnologia che, una trentina di anni dopo, avrebbe portato il suo paese nello spazio esterno. Per sua sfortuna però, il chimico – confermando il suo scarso senso pratico – avrebbe venduto la propria quota di compartecipazione sui diritti del brevetto nei tardi anni ’40: così mentre Malina divenne milionario, Jack restò solo uno spiantato di genio.

Nello stesso volgere di anni, fra il 1939 e il 1941, in compagnia della moglie Helen Northrup (nel film chiamata Susan Gaston), Parsons era entrato in contatto con la loggia Agape dell’O.T.O. (Ordo Templi Orientis), una confraternita magica internazionale dedita alla magia sessuale. Attraverso il suo capo Wilfred Talbot Smith (nel film chiamato Alfred Miller), un inglese che aveva fondato la branca californiana dell’ordine intorno al 1930, potè così entrare direttamente in contatto con Aleister Crowley, il controverso mago britannico che si era dato l’appellativo di Bestia 666 (cioè la bestia dell’Apocalisse, vista come l’artefice del riscatto degli antichi dei dal giogo cristiano, in nome di una nuova dottrina – Thelema: Volontà – rivelatagli al Cairo nel 1905 da una presunta “intelligenza preterumana” di nome Aiwass o Aiwaz e la cui legge si riassumeva nel motto “Fai ciò che vuoi”, inteso però non nel senso del banale scatenamento di tutti gli istinti dell’individuo ma in quello del disvelamento della propria più autentica volontà). Impossibilitato a trasferirsi negli USA, Crowley era costretto a limitarsi a pontificare per lettera, facendosi in cambio mantenere dai suoi adepti americani. Il vecchio mago rimproverava a Smith di aver abbandonato la legge di Thelema trasformando la pratica dell’ordine in un triviale “culto erotico” e già nel 1944 lo destituì: Parsons si ritrovò di colpo a capo della loggia anche se la moglie Helen gli preferì Smith e se ne andò via con lui. La prima stagione della serie arriva quasi fino a qui: Susan/Helen, prima fervente cattolica (in realtà era di confessione battista), comincia a partecipare con fervore ai riti thelemici e a cadere sotto l’influsso sempre più forte di Miller/Smith che – così lei pensa – la sta liberando dal sempre più fiacco rapporto col marito e, soprattutto, dal dispotico dominio del padre (in realtà era il patrigno, secondo marito della madre, che aveva anche abusato sessualmente di lei e della sorella: nel film ci si limita a descrivere solo un abuso psicologico).

Se, come ci auguriamo, le stagioni di Strange Angel continueranno (per il momento non ne abbiamo la conferma), il resto della storia dovrebbe essere, più o meno, il seguente. Consolatosi subito del fallimento coniugale con la sorella della ex moglie, la diciottenne Sara Northrup, Jack continua di lena le sue operazioni magico-erotiche trasformando la grande e lussuosa casa acquistata con i primi proventi delle sue scoperte, per metà in una sorta di residence per personaggi eccentrici – artisti, bohemiens, atei, anarchici, seguaci del libero amore, ecc. – e per metà in tempio magico thelemico. Nel 1946 si sarebbe avventurato in compagnia dell’amico scrittore di fantascienza Ron Lafayette Hubbard, futuro fondatore di Scientology, in un’impresa magica che ricorda la gestazione del “Figlio della Notte” di Williamson: la cosiddetta “operazione Babalon”. La storia è dettagliatamente raccontata nel bel volume di Lawrence Wright, La prigione della fede: Scientology a Hollywood, pubblicato da Adelphi, per cui la riassumeremo molto sinteticamente.

La convivenza fra Parsons e Hubbard si sviluppa subito in un piccante ménage à trois con la compagna di Parsons, Sara Northrup. Di lì a poco si unisce al gruppo un’altra procace e disinibita fanciulla: Marjorie Cameron, dotata pittrice in seguito vicina alla Beat Generation (chi avesse la curiosità di verificarne le grazie potrebbe vederla, con qualche anno di più ma tutt’altro che brutta, nei film del regista underground Kenneth Anger, crowleyano ‘eretico’ e cofondatore con Anton Szandor La Vey della “Chiesa di Satana” in California). Lo scopo del rituale di magia sexualis architettato da Parsons era produrre l’“Homunculus”, quello che Crowley chiamava “Moonchild” – il figlio della luna – (esiste anche un romanzo di Crowley del 1929 con questo titolo e che descrive un simile rituale, così come il romanzo del 1911 Alraune dello scrittore tedesco H.H. Ewers, che tanto successo ebbe nel cinema espressionista, immagina qualcosa di molto simile, forse perché Ewers e Crowley all’epoca si conoscevano piuttosto bene). Si tratterebbe di una sorta di fecondazione assistita ante litteram che intenderebbe generare un veicolo umano in cui incarnare le energie della natura – un dio, una dea, uno spirito elementale – Parsons voleva incarnare quella che chiamava nei suoi appunti febbricitanti “madre dell’anarchia e delle abominazioni”, niente meno che Babalon stessa, cioè il grande archetipo femminile: Artemide, Diana, Cibele nel pantheon greco-romano; Iside e Hathor in Egitto; Kali, Durga e la Shakti indù. Crowley la chiamava Babalon: la Prostituta di Babilonia dell’Apocalisse, la Donna Scarlatta; dal punto di vista cristiano l’Anticristo.

Parsons scriveva regolarmente a Crowley tenendolo informato dei suoi progressi; quest’ultimo così espresse il suo apprezzamento nella lettera ad un comune amico dell’O.T.O.: “Sembra che Parsons e Hubbard e qualcun altro vogliano produrre il Moonchild. Mi deprime profondamente constatare l’idiozia di questi pasticcioni”. La cerimonia proseguì per 11 notti consecutive finchè – come racconta Sprague de Camp, amico e scrittore di fantascienza – “i vicini cominciarono a protestare quando una donna incinta, nuda, dovette saltare per nove volte attraverso il fuoco nel cortile di casa”. Risultato di tutta l’operazione non fu l’auspicata incarnazione magica ma la ben più prosaica fuga di Hubbard con Sara, la fidanzata di Parsons, e con tutti i suoi soldi. Il povero Parsons, becco e bastonato, tentò di evocare qualche demone, scatenare tempeste e fare naufragare l’imbarcazione su cui l’ex compare e l’ex amante erano salpati verso lidi lontani, ma con scarso successo: si consolò sposando la bella Marjorie. Anni più tardi Hubbard avrebbe tentato di prendere le distanze da quell’esperienza reputata un po’ troppo sulfurea: sebbene avesse nominato qualche volta Crowley come “il mio carissimo amico Aleister”, dichiarò di aver lavorato per lo spionaggio della Marina con lo scopo di investigare sui collegamenti fra occultisti e scienziati in casa Parsons e di aver disperso un pericoloso gruppo di maghi neri. Comunque sia, Hubbard sposò Sara Northup, pur non essendo ancora divorziato dalla moglie precedente, e si dedicò agli affari inventando Dianetics.

Uscito malconcio dall’impresa – oltre all’ex compagna aveva perso diverse migliaia di dollari e Crowley insoddisfatto del suo operato lo aveva rimosso dalla conduzione dell’ordine magico – Parsons con la nuova fiamma Marjorie Cameron, aveva ripreso autonomamente la pratica delle sue attività preferite, spostando il suo interesse prevalente dall’O.T.O. crowleyano alla stregoneria e assumendo l’impegnativo nome magico di Belarion Armiluss Al Dajjal Anticristo. In quegli anni scrisse una serie di diari magici, saggi e poesie sparse che verranno pubblicati solo di recente, fra questi Freedom is a Two Edged Sword (La libertà è una spada a due lame), The Book of Babalon, The Book of AntiChrist (Il libro di Babalon, Il libro dell’Anticristo): testi in cui qualcuno – come il biografo di Crowley John Symonds – ha visto un’evidente sintomo di psicosi. Ne stralciamo qualche passo per rendere l’idea: “Siamo un’unica nazione, un unico mondo…Non possiamo sopprimere la libertà dei nostri fratelli senza uccidere noi stessi. Ci solleveremo insieme, come uomini, per la libertà e la dignità umane o cadremo insieme, retrocedendo tutti quanti nella palude originaria”; “I gruppi religiosi, sostenuti dalla stampa, propagandano costantemente la proibizione dell’arte e della letteratura che, come per prerogativa divina, definiscono indecente, immorale o pericolosa….sembra che tutte le organizzazioni siano devote ad un unico scopo comune: la soppressione della libertà”; “In breve l’obiettivo della magia è il dischiudersi dell’individuo verso tutte le possibilità dell’amore e l’illuminazione della società perché possano essere accettati gli impegni di questa apertura e le condizioni necessarie per il progresso”. Non sembrano davvero i deliri di uno psicotico…

Il 20 giugno del 1952, alle 5 del pomeriggio, mentre Parsons lavorava ad un esperimento nel suo laboratorio privato situato nel garage della sua abitazione, l’edificio esplose. Il suo corpo orribilmente dilaniato dalla deflagrazione fu ritrovato fra le rovine dell’edificio: con solo mezza faccia ma ancora cosciente, fu trasportato all’ospedale dove morì un’ora dopo. La tragedia non era ancora finita: appena saputo della morte del figlio, la madre di Parsons Ruth ingerì una dose letale di Nembutal di fronte ad una parente paraplegica e impossibilitata ad aiutarla in alcun modo. Le ipotesi sulla catastrofe sono numerose e tutte vaghe. Incidente: Parsons avrebbe lasciato cadere a terra del fulminato di mercurio; lo si ritiene improbabile dato la sua grande esperienza tecnica nel campo degli esplosivi. Suicidio in seguito a stress, depressione e pressioni psicologiche: la moglie Marjorie smentisce questa possibilità; sebbene avesse attraversato momenti difficili, la coppia aveva molti progetti per il futuro, contavano di trasferirsi prima in Messico e poi in Spagna o in Israele. Incidente magico: secondo qualcuno Parsons stava cercando di produrre l’Homunculus di Paracelso – un piccolo uomo artificiale dai magici poteri – un errore alchemico avrebbe provocato la tragica reazione; non risulta però che fra i rischi del lavoro alchemico siano comprese le esplosioni. Omicidio: forse l’ipotesi più probabile; Parsons era spiato dalla CIA e dall’FBI (esiste un nutrito dossier su di lui, consultabile – con molti omissis – anche su internet) a causa del suo anticonformismo politico e religioso; gli venivano rinfacciati dalle autorità i numerosi contatti con anarchici e comunisti oltre che con personaggi accusati di essere dei satanisti e dei pervertiti sessuali dediti all’amore libero; essendo un depositario di segreti militari di grande importanza per lo stato la sua posizione era oltremodo delicata. Pare fosse stato contattato poco prima della morte anche dai servizi segreti israeliani, interessati ai progetti nucleari americani: è probabile che avesse fatto rivelazioni compromettenti. Per tutti questi motivi nei suoi ultimi anni Parsons, cacciato dalla compagnia che aveva contribuito a fondare, la Aerojet Engeneering, si era ridotto a sopravvivere curando gli effetti speciali esplosivi nelle produzioni cinematografiche hollywoodiane. L’ostracismo poteva non essere considerato comunque una punizione sufficiente. E’ stato infatti accertato che l’esplosione nel garage non fu una sola: probabilmente furono due, la prima delle quali deflagrata da sotto il pavimento dell’edificio.

Comunque si siano svolti veramente, gli eventi della scomparsa di Parsons appaiono tutto fuori che effetti di una sfortunata circostanza: già sei anni prima, durante l’”operazione Babalon”, Ron Hubbard in “channelling” aveva profetizzato: “Babalon è la fiamma della vita…Lei ti assorbirà e tu diventerai fiamma vivente prima che Lei possa incarnarsi”. Forse, come ha ipotizzato l’occultista Kenneth Grant in un soprassalto di horror lovecraftiano, “Parsons aveva aperto una porta e qualcosa era volato dentro…”. “Mi sembra – aveva invece scritto Jack qualche anno prima – che se ho avuto il genio di introdurre la propulsione a reazione negli USA e fondare una corporazione milionaria ed un laboratorio di ricerca rinomato nel mondo, allora dovrei essere anche in grado di applicare questo genio in campo magico”.

Come si può ben vedere quindi, la serie TV ha ancora tanto, forse troppo, da raccontare. E magari il problema è proprio questo: un materiale così esplosivo – in tutti i sensi – avrebbe forse bisogno di una dose maggiore di esuberanza e smoderatezza. La ricostruzione fin qui è stata condotta in termini corretti e ineccepibili del punto di vista formale e strutturale, ma risulta alla fine troppo pacata, algida, poco emotiva. Non ci sorprendiamo mai, non sobbalziamo, non ci scandalizziamo, e forse dovremmo. Ci sono dozzine di serial in cui il binomio sex&violence abbonda in termini e quote assolutamente pretestuose e inutili; una storia come questa invece, dove scene di nudo e di sesso esplicito sarebbero perfettamente giustificate ed anzi necessarie, viene mantenuta quasi assolutamente casta. Si intravede qualche seno nudo durante i riti thelemici, si intuisce un cunnilingum in lontananza, c’è un fuggevole bacio saffico tra Susan/Helen e un’altra adepta, ma niente di più. Un po’ troppo poco per rendere credibili le ammucchiate rituali dei crowleyani. Così anche il rapporto fra Jack e Susan/Helen, resta frigido, bloccato: la brava Bella Heathcote, che pure non si era negata a scene abbastanza forti in The Neon Demon, qui è solo una bionda ragazzona sempre vestita. Una visione tutto sommato perbenista di due personaggi che in realtà furono, fin dall’inizio, eccessivi, scandalosi, provocatori. Forse il gioco è voluto, partire piano per mostrare la graduale metamorfosi di due bravi ragazzi americani in qualcosa di diverso e assai più ribelle e aggressivo: bisogna vedere se il pubblico avrà la pazienza di aspettare che questa trasformazione avvenga. Noi ci auguriamo di sì.