di Gabriele Galligani

Quando l’alba penetra le persiane, miriadi di particole vorticano nell’aria e si posano sul mastodontico corpo nudo della donna.

Tra le dita, la sua stessa pelle sgattaiola via. È lei a perdere sensibilità o il suo corpo a dissolversi? Altre opzioni non ne considera. Tasta il comodino alla ricerca degli occhiali. Li trova per terra, movimentata notte, e li indossa. Da dietro le lenti spessissime la scrutano gli occhi abnormi. È raggiante di rivedersi allo specchio non troppo diversa dalla sera prima, con il trucco sbavato che sorride alla massa di carne cadente. Afferra il pettine e ricompone i corti capelli arruffati. Poi sfiora le infinite rughe del viso, con lo stesso orgoglio con cui il pronipote saluta i primi peli nelle mutande. Ogni ruga sprigiona un ricordo e lei custodisce anche quelli peggiori, di quando le lacrime rischiavano di farla scivolare a terra e non rialzarsi più.

“Biiiiiis!”

L’urlo del ragazzino la richiama all’adesso.

La Brunilda, la vecchia puttana, si rimbocca il reggipetto e riprende il cammino.

 

Una via crucis. Quella città, ignorata da autostrade e ferrovie, Rocco la attraversa tutte le mattine mano nella mano con la nonna.

“Bis-nonna, coglione!”

Malgrado le neanche dodici estati, l’allure tracagnotta e il visetto luciferino non nascondono il futuro radioso che lo attende nelle carceri di stato, buon sangue! È in gamba assai il piccolo Rocco, allenato sin dalla culla a sollevare pesi ben più grandi dello zaino rubato.

La Brunilda conosce tutti i passanti e li saluta per nome. All’inizio i più non le rispondono, cambiano strada o fingono non esista. Ma qualcuno che le regala una gentilezza spunta sempre.

“Vecchia puttana!”

“Bagascia!”

“Mignotta!”

Dopo che il primo rompe il ghiaccio, gli altri seguono l’esempio. Le anziane la insultano per invidia, le giovani per paura e i vecchi per desiderio. Molti ragazzi lo fanno perché la sua vista rovina la fotografia che custodiscono delle loro nonne, di prima che traslocassero in ospizio. In ogni caso, il sorriso ammiccante e il corpo informe della Brunilda sono insopportabili a tutti.

“Non ti vergogni di andare in giro con quella puttana di tua nonna?”

“Bis-nonna, coglione!”

Pur prendendola in giro un giorno no e due sì, Rocco la adora. Lei è l’unica persona che ha ed è convinto che sia indistruttibile, tale quale un supereroe. Fosse per lui avrebbero smesso da tempo di insultarla, ma ha fatto il fioretto di non usare la fionda dopo aver assistito al pianto inconsolabile di lei accasciata sull’asfalto. Non si disperava per i loro insulti ma per i gestacci con cui lui rispondeva. Da quel giorno, la accompagna nella via crucis mattutina senza fare altro che cercare di distrarla dalla litania di insulti.

“Ehi Bis! L’ultimo di stanotte, quello nuovo, non mi piace… non lo famo più veni’, occhei?”

“Ma se era tanto educato … mi ha fatto pure leva’ li occhiali!”

“Che troione che sei”, ridendo, “Però era strano … sembrava un maniaco. O un prete!”

“Zitto, ché se ti sentono … Ancor più oggi che c’è il Santopapa!”

“E che ho detto?! Anzi, lo vuoi sape’ che penso?”

“No che non voglio!”

“Lo capirei, fosse un prete! Mica è facile lavora’ da prete oggi. Cinquant’anni fa magari sì. Ma vuoi mettere ora, anda’ in giro tra le tutte le passerine in intimo che ti ammiccano dai cartelloni appesi per le strade?”

È il clamore di una folla a interromperli. Rocco non devierebbe il percorso, non fosse che la bisnonna, testarda come un vecchio mulo, deve andare a vedere. L’idea che si tratti di una processione per l’arrivo del Papa al santuario della Madonna Nera la elettrizza. Una visita più unica che rara, per una città la cui squadra non milita in nessuna delle categorie maggiori.

 

La Brunilda pulisce gli occhiali più volte davanti alla folla di giovani che ostentano cartelloni e santini di un eccentrico personaggio, un santo con otto braccia che porge soldi, cibo e assistenza. Non un santo di quelli affrescati, ma uno moderno, senza tonaca e sandali ma con cuffie e uniforme aziendale.

Assai anomala, come processione.

Con il suo dito ricurvo, la vecchia sfiora il braccio di un devoto per porgli la domanda. Dall’aspetto, pare necessitare di più di una grazia, il devoto.

“È San Precario signo’! Il santo protettore di noi giovani d’oggi …”

“Nun lo conosco?! Ma che gli è successo, a ‘sto Precario, per farlo Santo?”

Rocco scuote la testa e prova a trascinarla via. Conosce la bisnonna meglio di chiunque e già trema quando vede quella scintilla luccicare negli occhi ancora umidi.

“Non di’ stronzate Bis… mica è santo per davvero!”

“Sta’ zitto tu! Che gli è successo, a questo Precario?”

Il devoto lancia uno sguardo al ragazzino.

Che gli è successo? È seria, signo’?”, le chiede da dietro gli occhialini storti, “Di tutto! Lavoro sottopagato, in nero, mobbing. Tirocini fino a novant’anni.”

“Fino a novant’anni?! Oh povero! Ma dimmi, ma è stato questo Papa, a dargli l’aureola?”

La Brunilda non sente la risposta. Viene trascinata via da Rocco, paonazzo.

“Fermati, Rocco! Ma tu lo sapevi?”

“No Bis. Non lo sapevo e non mi frega. Andiamo a scuola.”

“L’ha fatto santo!”

Rocco la strozzerebbe: “Non hai capito una sega, Bis. Come al solito. Non è un santo vero …”

“E come no? C’ha l’aureola!”

“Non è vera. È un trucco al computer Bis, lo può fa’ chiunque!”

“E tutti ‘sti devoti? Anche loro è fatti al computer?”

“No, Bis. Questi non son devoti … son disperati!”

La Brunilda non capisce la ragione per cui il suo Rocco si rifiuta di darle ascolto. Il fatto è che lui la conosce troppo bene, ha esperienza di quel che succede ogni volta che lei vive questi impeti di speranza. Un attimo prima faceva di tutto per nascondergli la tristezza degli insulti e ora   …

“Rocco mio, sai che significa se quel povero Precario l’han fatto santo?”

“Non mi frega Bis. Devo anda’ a scuola io.”

“Se quel povero Precario l’han fatto santo, vuol dire che anche io, Rocco!”

Anche tu cosa, Bis?”

“Anche a me, il Santopapa, mi fa santa!”

La manata che Rocco si dà sul viso risuona nel baccano della folla.

“Ma ti pare, Bis, che il Papa si mette a fa’ santa una … puttana?”

“Sì, appena sente quel che ho da dirgli!”

“E che vuoi dirgli, Bis?”

“Tutto! Dall’inizio! Si va a Loreto, Rocco … il Santopapa ci aspetta!”

Lui la odia e la adora, quando la vede in preda alla speranza. Immagina quel che combinerà e non ha alcuna voglia di assecondarla. Prova a convincerla che è proprio la più grande stronzata che si sia inventata nei suoi secoli di vita. Che dal Papa non la lasceranno neppure entrare conciata così. E che se anche riuscisse a entrare e a parlargli, quello si sarebbe messo a ridere. Ma è tutto inutile. Verso non c’è, di farla ragionare.

“Devo anda’ a scuola io, Bis … mica voglio far la tua fine.”

“C’hai ragione amore, corri”. Rabbuiatasi solo per un attimo, gli stampa un bacione sul viso con la sua bocca da rana cerchiata di viola.

“Ti serve soldi, Bis?”

“No amore,” risponde lei senza pensarci due volte, “a che serve i soldi, quando già si è santi?”

 

Della vecchia lo colpisce la voce roca ma squillante.

Nascosto dietro la massa di passeggeri, il giovane dal colorito bianchiccio non riesce a vederla, ma sa che lei è la causa del ritardo del bus.

“Se non ha il biglietto, lo deve comprare, signora?” Tuona la voce dell’autista.

“Ma non posso comprarlo, signore!”

“E perché?”

“Non ho una lira … il mi’ pronipote tiene le finanze.”

“E allora lo chiami, il nipote finanziere.”

“Pronipote! Impossibile. Sta a scuola.”

Il contrattempo del battibecco non promette niente di buono, nella sua situazione. Non era stato facile, per il giovane, risolversi a aprire la finestra, calarsi lungo la grondaia, rialzarsi dopo il tonfo, scavalcare il cancello e correre zoppicando fino alla fermata. A maggior ragione dopo tutto quel tempo dacché non usciva di casa, da ben prima della notifica dei domiciliari. I genitori, non era come se avessero annullato il divorzio ma quel processo che entrambi avevano intentato contro di lui poteva essere visto come un primo passo per la riconciliazione. Un segnale positivo.

“Senza biglietto non si sale sull’autobus, signora.”

“Ma non è grave … son già salita!”

“Adesso basta! Se non scende subito io chiamo la polizia!”

Fino a poco tempo prima, udire la parola “polizia” lo rassicurava. Ora però non può correre il rischio, il giovane bianchiccio, malgrado la sacrosanta ragione dell’infrazione ai domiciliari. Quando l’autista già impugna il cellulare, interviene. Si alza di scatto e si fa largo tra i passeggeri.

“Fermollì! Glielo pago io il biglietto. Basta che partiamo!”

L’autista scruta lo strano giovane. Non può fare a meno di notare il vistoso crocifisso di legno che spunta dalla sua tasca. L’autobus riparte.

“Anche tu sei devoto di quel Santo là, Cocco?” Gli chiede la Brunilda indicando il cimelio.

Quel crocifisso finto-antico, il giovane bianchiccio non l’aveva più sfoggiato da quando era stato cacciato dalla crew di giocatori di ruolo per colpa dello zelo con cui impersonava l’ecclesiastico.

“Quale santo?” Le risponde.

“Quello dei giovani … coso, come si chiama?”

“San Giovanni Bosco?”

“Macché! Quello con tante braccia e il telefono attaccato all’aureola.”

“Ma che dice?”

“Quello nuovo, dai! Come si chiama?!”

“Non lo so guardi. Poi a me tutte queste novità … io sono per la tradizione. Per la chiesa di un tempo.”

“Che tempo?”

“Un tempo … anche solo una ventina d’anni fa.”

“A me, la chiesa pare la stessa da cent’anni, Cocco …”

“E si sbaglia! Le dico solo una cosa, signora: da piccolo, l’ora della messa era l’unica in cui potevo stare tra mamma e babbo senza che iniziassero a litigare. Capisce? Le parole di un prete facevano miracoli!”

“Quando glieli chiedevo io i miracoli, non succedeva mai nulla. Almeno … la bara restava sempre chiusa.”

Il dito storto della Brunilda sfiora una tra le centinaia di rughe che le partono dall’occhio e scompaiono tra i capelli. Si è bloccata, non parla più e guarda oltre il finestrino dove, lontana, la sagoma del Santuario svetta sulla superficie celeste. Sembra finta, un modellino.

Il giovane osserva la strana donna. Il vestito sgargiante, la maschera di trucco e la carne che strasborda da ogni parte lo mettono a disagio.

“Dillo a me di che hai bisogno,” si sblocca d’improvviso lei, “Così lo dico al Santopapa!”

“Anche lei va dal Santo Padre?”

“Sicuro!”

“Non sarà facile farsi ricevere.”

“Facilissimo invece. Con quel che ho da dirgli io, Cocco …”

“Perché, mi scusi? Che ha da dirgli … se non sono indiscreto?”

La Brunilda sorride, sicura di sé: “Eeeeeh … lo saprai presto. Lo sapranno tutti. Ma dimmi che ti serve, che glielo dico io. Una grazia? Stanno male i tuoi?”

“No, non è questo …”

“Che allora?! Sei tu che … così bianco?”

“No, signora. Non è per me e manco per loro. Devo parlargli a quattrocchi perché son preoccupato di tutte queste aperture.”

“Quali aperture?”

“Della Chiesa! Le dico solo una cosa, signora: se continuiamo così, vedremo presto donne prete, matrimoni tra uomini, distributori di preservativi in sagrestia e … perfino delle sante puttane!”

Sante puttane? Si stupisce lei.”

“Sì, insomma, forse esagero ma …”

“Ma quale esageri? È proprio vero! Quella parola che dici, puttana … a me fa sempre male, ma ora che sarò santa non me la diranno più, no?!”

“…”

“Che ti prende? Hai un malore, Cocco?”

 

Prima che apparisse lei, era annoiato a morte. Malgrado gli allenamenti quotidiani a guardare in faccia il vuoto, avrebbe pagato oro perché qualcuno nella folla raccontasse una barzelletta sporca. Poi lei appare.

Lui resta immobile perché in quello consiste il suo lavoro, restar fermo a guardare il vuoto. Con i suoi passi traballanti, la Brunilda lo supera nei pressi del portone. Allora lui scatta. Le si pianta davanti e la impala con i suoi occhi grigi.

“Dove crede di andare?”

“Ché, non è per di qua il Santopapa?”

“Il Santo Padre non riceve.”

“Ma io devo parlargli.”

“Il Santo Padre non parla con nessuno oggi.”

“Che è … malato pure lui?”

“Sicurezza.”

“Sicurezza?”

“Attentati.”

“Attentati?”, scoppiando a ridere, “E chi farebbe male al Santopapa?”

La guardia non risponde. La Brunilda insiste.

“Ma che vuole chiedergli conciata così, signora?”

“La santificazione.”

“Quale santificazione?”

“La mia!”

La guardia resiste pochi secondi. Scoppia così spudorata, la sua risata, che i colleghi devono verificare stia bene. Lui consiglia di non perdere di vista la vecchia. Ne sentiranno di belle.

“E perché dovrebbe farla santa?”

“Perché? Vedrai, appena sente quel che ho da dirgli!”

Loro già sghignazzano. Lui fa segno di aspettare.

“E che ha da dirgli?”

“Tutto. Dall’inizio alla fine. La mia vita.”

Si tiene lo stomaco e si morde la lingua, la guardia dagli occhi grigi.

“La dica a me. Se ha ragione, la porto da lui in un attimo.”

La Brunilda non se lo aspettava così il momento di raccontare tutto. Vorrebbe sedersi, ma la pellicola dei ricordi già prende a scorrere rapida nel proiettore della memoria. Si spengono le luci e il marmo candido del santuario si vivifica della grana dei suoi ricordi traballanti, poco bianco e molto nero.

Non arriva nemmeno a metà della bobina. Le lacrime la interrompono al momento di imitare il rumore dei passi delle guardie che la scortano nel carcere per il riconoscimento della figlia. Del suo corpo, intende.

Scoppia a piangere. Appena lei se ne accorge, è costretta a fermarsi e consolare il giovane dagli occhi rossissimi di tutta la disperazione scatenata dal racconto. Altri rivoli scorrono sui visi delle guardie prima di svanire al contatto col suolo. La guardia dagli occhi rossissimi smette di singhiozzare, solleva la testa dal grembo e le ordina di aspettarlo lì.

 

Della vecchia lo colpisce il profumo insolito per una chiesa. Poi arriva anche la voce.

“Ma ‘ndo ‘sta ‘sto Santopapa?”

“Di qua, nel confessionale. Lì potrà parlargli.”

Il legno del confessionale scompare tra le decorazioni che saturano la cappella. La Brunilda compie gli ultimi passi e si inginocchia. Legno e ossa, entrambi vecchissimi, riempiono il luogo con il loro scricchiolio osceno.

Una mano piccola e delicata, che si tiene alla portiera lignea come per non cadere, è l’unico dettaglio concessole alla vista. La Brunilda non dubita neanche per un istante del fatto che dietro la grata aspetti di udire la sua storia il Santopapa.

L’uomo nel confessionale, invece, dubita di tutto. Il profumo della donna quasi lo strozza. Vorrebbe uscire dall’abitacolo, strapparsi la veste e chiederle perdono di essere un dozzinale curato, per giunta peccatore, e di aver accettato quell’incarico sacrilego affidatogli proprio mentre necessitava di consiglio. Anziché tra le braccia di lei, si rifugia nella liturgia.

“Nel nome del padre e … del figlio e … dello Spirito santo.”

“…”

Quando lui le rivolge parola, Brunilda non sa che rispondere. Da troppo tempo non frequenta liturgie.

“Dovrebbe dire Amen.”

“Davvero? Mi scusi … Amen, certo!”

“Sia lodato … sia lodato Gesù Cristo.”

“Ci mancherebbe.”

“Da quanto … non si confessa?”

La domanda le giunge improvvisa e attesissima. Più o meno dall’inizio, dal giorno più infausto, la Brunilda ripercorre l’orrore, a partire dalle quarantotto ore di sevizie subite nello scantinato, sotto gli occhi vendicativi del marito.

La candida mano non resta insensibile alle sue parole. Diviene rossa, mentre artiglia la sostanza lignea del confessionale. Si tende fino a staccarne un grosso pezzo quando la donna giunge alla descrizione del peso della nipote – del cadavere, intende – mentre lo trascinava via dal rudere infestato di fantasmi con spade al braccio.

La candida mano si rifugia dietro la tenda viola. Un frastuono di pugni rimbomba dall’interno del confessionale man mano che la Brunilda avanza nel racconto. Dopo che i pugni cessano, sostituiti da un pianto inconsolabile, la Brunilda pensa di doversi fermare.

“Tutto bene, Signor Santopapa?”

“S-sì … sì …”

Gli va dato atto di aver resistito più della guardia, al Santopapa.

“La date anche a me, l’aureola?”

La domanda gli giunge improvvisa.

Nei lunghi istanti di silenzio, ripensa alle parole della donna su quanto di tragico e vero, di veramente tragico e tragicamente vero, lei ha vissuto in quasi un secolo di risvegli, pomeriggi e soprattutto notti. Confronta quelle storie con le gesta della straordinaria puttana di cui gli parlavano, anno dopo anno, file di fedeli sempre più inconfessabili. Malgrado quei racconti lo avessero perseguitato per una vita, lui era sempre riuscito a resistere. Almeno fino a quella notte.

“Allora, ‘st’aureola?”

La richiesta è ragionevolissima. Non è riuscito a sopportare neppure metà del racconto di quella vita, ma già avrebbe argomenti con cui scrivere decine di agiografie sulla santa puttana. Una cosa sola le manca, ma esita a dirla.

“Per essere santi … bisognerebbe essere morti. Purtroppo.”

Il viso di rana occhialuta si blocca. Quelle parole feriscono la Brunilda come nient’altro prima. Poi provvidenziale, l’occasione scende dal cielo e si materializza entrando dalla stessa porticina da cui è passata lei poco prima.

“Non ci sarà nessuna Santa Puttanaaaaa!”

Brandendo una corta spada da samurai, il giovane bianchiccio corre, spiritato, contro il confessionale. La Brunilda si rabbuia solo per un attimo. Poi si rimbocca il reggipetto e rimette in cammino.

Immagina le folle al suo funerale mentre il Papa la farà Santa. La trasleranno in Vaticano o il suo corpo ascenderà al cielo? L’opzione “reliquie” non la prende in conto. Quando il tramonto penetra le vetrate, miriadi di particole vorticano nell’aria e si posano sul mastodontico corpo della donna.

In ogni caso, le è piaciuto un sacco vivere.

 

La Brunilda non sarà portata in Vaticano e nessuna celebrazione sarà fatta per lei in San Pietro. La parrocchia della città dimenticata dal mondo sarà comunque piena, finché Rocco non salirà sull’altare a dirne quattro.

Il parroco sarà già stato imbarazzato prima, per via della foto commemorativa.

L’antica bellezza di lei da giovane sarà indicibile.

Rocco dirà che era proprio convinto lei fosse immortale e che già iniziava a sentire il peso della convivenza eterna nell’appartamento minuscolo. Dirà anche che lo fa arrabbiare molto pensare che nessuno, in quella chiesa gremita, sappia niente della vita di lei e della sua morte gloriosa. È per rimediare all’ingiustizia che sta lì anziché a scuola. Così inizierà a raccontare la vita della bisnonna da quando lui ne ha ricordo, quando lei lo aveva portato in salvo, come solo i supereroi possono fare, da un posto infestato di fantasmi armati.

Nel vuoto della piazzetta esterna, i gorilla delle pompe funebri staranno ciondolando di noia quando i presenti inizieranno a fuggire. Il parroco correrà via con i palmi sulle orecchie. Quando entreranno, il pronipote starà concludendo il racconto e ricevendo le condoglianze dell’unico rimasto. Il bambino lo riconoscerà come l’ultimo cliente ospitato dalla defunta. È grazie a sua nonna – bis-nonna, coglione! – che quello ha riavuto la sua vita.

I gorilla avanzeranno incontro all’abnorme legno. All’unisono, si disporranno sui lati per sollevare la cassa. Si piegheranno su un ginocchio e daranno il primo strattone per raddrizzarsi. Come spinti da una forza ascendente, i loro piedi si staccheranno dal suolo e sgambetteranno goffamente per non rovinare a terra. Con il legno massiccio a sfiorarne troppo dolcemente le spalle, i sei gorilla si guarderanno l’un l’altro incerti sul da farsi. Confabuleranno a lungo. Poi appoggeranno la cassa senza proprio alcuna fatica. Il capo gorilla analizzerà il legno ormai sigillato e camminerà incontro a Rocco per parlargli di una cosa.

La cassa non sarà mai riaperta per verifiche, malgrado l’irrisorio peso del suo contenuto.