di Luca Baiada

Fossetto1In Valdinievole, nel basso Valdarno, c’è una strada di campagna, la via del Fossetto. Oggi le preferiscono una comoda arteria di scorrimento, ma un tempo era lei, l’orlo del Padule di Fucecchio fra gli abitati di Monsummano e Castelmartini. Vicino a un ponticello c’è un casolare abbandonato: due corpi di fabbrica, un’aia invasa dagli arbusti. Qui viveva la famiglia Romani, e qui fu consumato un delitto che lasciò segni tanto profondi quanto oscuri.

È il 6 luglio 1944, Roma è libera, Firenze no. I tedeschi si stanno ritirando, è la stagione dei grandi massacri. È già accaduto a Civitella, fra poco scorrerà sangue a Sant’Anna di Stazzema. Kesselring è alloggiato proprio a Monsummano, e ha già dato ordini durissimi. I tedeschi fanno quello che vogliono.

In questo casolare abitano Gaetano Romani e i suoi figli Ugo e Sereno, detto Purgatorio, con le loro mogli. Ci sono anche i figli di Sereno, due ragazze e due bambini. La famiglia è costretta a dare alloggio ai militari.

Stiamo soltanto alle indagini britanniche, subito dopo la Liberazione. La sera quattro tedeschi vengono a far visita a un ufficiale e al suo attendente, alloggiati qui. Verso mezzanotte cercano di raggiungere le ragazze, al piano di sopra, ma Gaetano e Sereno li fermano, e comincia una colluttazione. Svegliato dal chiasso, interviene Ugo. Prudente, il contadino ha nascosto vicino al letto una roncola: la afferra, colpisce i tedeschi. Qualcuno stramazza, qualcuno rotola giù dalle scale. Alla fine Gaetano riesce a fuggire, Ugo è ferito. Purgatorio lo impiccano in un rustico vicino alla casa, probabilmente nella concimaia. È appeso a una trave, e i tedeschi portano tutti i familiari a vederlo: una scena da rabbrividire. I britannici raccolgono la notizia secondo cui nel fatto sono morti tre militari, ma le indagini non sono più precise. Di certo nessuno è mai stato punito per questo crimine.

Da allora la memoria ha costruito varianti. Sereno è zoppo, uno o più tedeschi sono decapitati, il sangue corre e carne umana finisce in una fogna: «Tornava da’ campi col pennato, a un tedesco gli buttò giù la testa. I tedeschi lo impicconno a una trave, e la su’ moglie la misero sotto a lavare, dove c’avevano il bozzo dell’acqua: sotto a lava’, e lui a dondoloni». Oppure: «Ammazzò un tedesco, lo spezzò col pennato e lo buttò nella botte del pozzo nero. E lui lo ’mpicconno in cima alle scale». O ancora: «E ’r su’ nonno si mise in fondo le scale: “Se passate di qui, v’ammazzo!”». Si insiste sul sangue, e il contadino combatte. Il tedesco, nel capo o nel busto, deve essere spezzato per bene. Una testa rotola giù, un corpo dondola su. Gli anziani che raccontano mimano il guizzo di una lama roteando le braccia. Linguaggio atroce? o sono atroci i fatti?

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La realtà è che qui l’occupazione è terribile e la violenza sessuale è la regola. Anche limitandosi a una parte della Toscana e all’estate 1944, si contano innumerevoli stupri e almeno diciannove persone assassinate, fra le donne aggredite, i parenti, chi le difende, chi semplicemente è sul posto. Ci sono stupratori abituali, come i paracadutisti che a Reggello vanno più volte nella stessa casa. A Londa è stupro di gruppo: qualificandosi capitano, maresciallo, cappellano, entrano nelle case, mangiano e bevono; poi di colpo sparano per aria, inveiscono contro partigiani immaginari e stuprano. Neanche la fuga garantisce l’incolumità: sulla montagna pistoiese Graziella Fanti lava i panni in un rio e vede arrivare i tedeschi. Ha 17 anni, fugge. Le sparano mentre corre, prima di spegnersi grida: «Mamma, mamma, moio!». Poco dopo i tedeschi ripassano, e si divertono a ripetere una cantilena: «Mamma moio, mamma moio…». C’è chi si ribella. A Peretola Giulia C. apre la porta di casa e si ritrova una pistola alla gola. Leonessa fiorentina, non permette di portare via le sue figlie, di 16 e 19 anni: allora stuprano lei, nel campo di fronte. A Lastra a Signa un quattordicenne, Umberto M., difende sua sorella a colpi di pietre. Gli sparano ma sopravvive.

Questa è la situazione. Cosa accada a casa Romani è incerto. La morte di tre militari sembra un’elaborazione successiva, che dà un senso all’impiccato. Se davvero tre tedeschi fossero stati uccisi sarebbe accaduto di peggio. E poi, attenzione. Il racconto di casa Romani si salda con altri crimini: i cinque morti di Fattoria a Ponte Buggianese, lo stesso giorno, i due impiccati a Montecatini del 24 luglio, e soprattutto la strage di Fucecchio del 23 agosto 1944, per un totale di 182 vittime. Fatti diversi che i britannici unirono in un’unica indagine: una scelta discutibile ma interessante. Tremendo esercizio di logica, di storia, di morale. Il Padule, l’esecuzione esemplare, l’eccidio selettivo e Purgatorio impiccato a casa sua.

In guerra esiste un delitto comune, da cronaca nera? Se i quattro crimini di quella seria indagine britannica – ed è uno scandalo, che sia rimasta nell’armadio della vergogna sino al 1994 – avevano la stessa firma, allora anche la cronaca nera era un crimine di guerra, e viceversa. Al processo di Norimberga videro le cose diversamente, ma Norimberga non è in Toscana. E poi, è ovvio che la comunità fosse sconvolta dalla strage del Padule, di almeno 174 morti, subita senza potersi difendere. Così, di fronte a un impiccato, si videro dove si poteva teste mozze e tedeschi a pezzetti. Wishfull thinking, cioè “’un si butta via nulla”, o anche “’un mi par vero”.

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Forse la memoria mischiò fatti distanti, ma gli inquirenti britannici fecero lo stesso ed erano poliziotti in divisa, non padulini poveri. Anche i vincoli familiari fecero la loro parte. Per esempio, Isolina, una figlia di Sereno, dopo sposò Dino Romani detto Bongi, fratello di Dina e Giuliana, massacrate il 23 agosto a poca distanza. Quindi la nuova famiglia di Isolina e Dino patì la mancanza di un nonno e di due zie, assassinati in episodi diversi. Tutto sommato l’indagine britannica vide bene.

Da allora l’uomo con la roncola, ira del giusto, il contadino che si difende come può, è entrato nella memoria locale con chiose e variazioni. In un vecchio film, Padule, ricordo di una strage, un uomo afferra una roncola per difendere la sua famiglia, ma nella strage di Fucecchio. Non c’è prova del gesto. Una leggenda arma di roncola persino Carmela Arinci, 92 anni, cieca e sorda, la più anziana di quelle vittime. In questa variante la più indifesa è l’unica che combatte. Nata prima dell’Unità d’Italia, nella Toscana granducale, di Carmela non si è trovata una fotografia, ma possiamo immaginarla come una piccola foglia secca, una di quelle donnine con le mani vizze e instancabili, che all’alba già sfaccendano all’acquaio e che al tramonto si ritirano insieme alle galline. Proprio lei, non esita a brandire una roncola contro una divisione corazzata della Wehrmacht, perché ubbidisce a un comandante molto speciale, a un generale che è spesso sfortunato ma sempre irriducibile: il bisogno di giustizia.