di Danilo Arona

WaywardHo un dubbio da un po’ di tempo. Che M. Night Shyamalan sia un autore troppo maltrattato un po’ da tutti, critica e pubblico, oltre l’effettivo valore dei vari titoli che compongono la sua opera omnia. Allora che posso fare? Soprattutto che posso fare qui, in questa rubrica di frontiera che è La Luce oscura, dove spaziamo in tante discipline borderline, compreso un certo cinema d’autore? Cedere la parola a lui, ovviamente per sommi capi, ma senza dubbio ricchi di intuizioni rivelatrici. Perché al di là del dubbio iniziale, una convinzione ce l’ho: Manoj viaggia nella Luce Oscura, e di questa ci racconta in ogni suo film. Se poi avete visto Wayward Pines e ne avete colto la quintessenza, apprezzerete ancor di più certi passaggi del nostro. Che, nel bene e nel male, resta a parer mio un autore con una sua granitica coerenza. Anche quando sbaglia.

(D.A.)

 

Il vero incubo

Il sesto senso appartiene al filone di Rosemary’s Baby, Repulsion e Il presagio, un genere che incanala la paura nei percorsi della realtà quotidiana. Situazioni ed emozioni sono vissute da personaggi credibili, bambini e adulti come tanti che potremmo conoscere. Le loro angosce ci sono familiari: l’abbandono, la menzogna, il timore dell’ignoto, dell’aldilà. Il miglior modo per lottare contro questo tipo di paure consiste nella possibilità di esprimerle, un po’ come accade nel rapporto paziente/ medico, madre/ figlio o marito/ moglie. L’assenza di comunicazione può minare una coppia, distruggere un matrimonio, o una carriera, o una vita. Questo è il vero incubo.

 

La cosa nella camera da letto

Una volta, tempo fa – avrò avuto più o meno 14 anni -, sono tornato a casa dopo un giro in macchina con i miei genitori. E abbiamo trovato la porta di casa spalancata. Mio padre ha detto qualcosa come: «Fermatevi qui, qualcuno è entrato.» E mentre lui iniziava a dirigersi verso l’ingresso accompagnato dal nostro enorme cane, io provai una paura terribile. Stavo là fuori, non vedevo nulla e potevo solo immaginare. Più tardi seppi tutta la verità: quando eravamo usciti, uno stuoino aveva bloccato la porta che non si era chiusa completamente. Ma questo era niente: papà aveva confessato che in camera da letto, proprio sopra il materasso, si era installato uno strano individuo… Una visione che, anche se soltanto riportata, mi aveva atterrito, restandomi per sempre impressa. Questo è il genere di immagini spaventose che tento di utilizzare nei miei film, immagini perfettamente realistiche e tangibili.  È quel tipo di suggestione alla quale non si può sfuggire: entrare nella propria camera da letto e trovarsi faccia a faccia con qualcuno che sembra attendervi, proprio seduto sul bordo del letto. Una prospettiva che per me è l’essenza stessa del terrore e che ho tentato di veicolare ne Il sesto senso.

 

Crossover

Non credo che horror sia una definizione adatta a nessuno dei miei film. È un’etichetta che mi hanno appiccato in America e che, come risultato ha avuto, per esempio, quello di mia sorella che non vede i miei lavori dicendo: «Non mi piacciono i film che fanno paura.» Spero di poter allargare con The Village questa definizione e di sicuro The Village è un film pensato per rendere più ampio lo spettro di questo tipo di delimitazioni. Confido che dopo questo film il pubblico abbia capito che il mio cinema merita una caratterizzazione più ampia. The Village, secondo me, è una storia d’amore gotica.

 

Hitchcock, Spielberg, Kubrick

Sì, è vero, mi paragonano a Hitchcock, ma credo si tratti più che altro di una grande attestazione di stima. Hitchcock era un maestro che ha girato una cinquantina di film di cui tredici o quattordici possono essere considerati dei veri e propri classici. Normalmente un grande regista ha quattro o cinque film che possono essere considerati dei classici. Nel suo caso la quota è davvero straordinaria… Io sono stato influenzato da molti registi, ma il mio cinema resta legato alla suspense. Dovrei riflettere in maniera non più naturale per cambiare il mio atteggiamento registico. Non credo di copiare Hitchcock, anche se evidentemente lo ammiro molto. Del resto il mio amore per il cinema è nato in maniera completamente diversa. Sono nato nel 1970: da quando avevo sette fino ai dodici anni Spielberg e Lucas hanno girato film come Guerre Stellari, I predatori dell’Arca Perduta e E.T. Questo tipo di cinema ha trasformato la mia vita facendomi scegliere la carriera di regista. Stilisticamente, le mie influenze sono quelle di Kubrick e Hitchcock. I temi appartengono ai primi due, il tipo di narrazione che scelgo agli altri due.

 

L’Apocalisse

Un giorno mentre mi trovavo sull’autostrada che collega Philadelphia a New York, un percorso che faccio tantissime volte avanti e indietro, mi sono messo a riflettere. Era una giornata plumbea e il viale alberato aveva qualcosa di opprimente. Mentre ascoltavo della musica classica mi sono messo a riflettere su quanto siamo vulnerabili nei confronti della Natura. E ho iniziato a rimuginare su questa idea. Credo che le nostre paure di adulti derivino tutte da quelle che abbiamo vissuto da bambini e, su tutte, quella di restare soli e abbandonati in mezzo all’ignoto. E nulla, in questo momento, è più ignoto del futuro. The Happening (E venne il giorno) nasce da questo genere di paura. È una pellicola basata idealmente soprattutto sul cinema degli anni Cinquanta e Sessanta su pellicole come Gli uccelli, L’invasione degli ultracorpi e La notte dei morti viventi. Film che erano ispirati dalla paura del comunismo, dai movimenti per i diritti civili, dall’inquietudine per la terza guerra mondiale. Oggi il cinema della fine del mondo è tornato con pellicole come Cloverfield e Io sono leggenda. Del resto nessuno scrive storie su “come va tutto bene e come funzionano le cose”. Non interesserebbe a nessuno andare a vedere un film del genere. Questo, poi, è un momento che “fa paura”. The Happening è un’altra risposta riguardo a quelle che sono le inquietudini del nostro futuro.Ovviamente, io sono cresciuto con un cinema legato alle catastrofi e alle grandi domande riguardo all’avvenire e, per di più, resto un ottimista anche se i miei film sembrano non rispecchiare questo sentimento. È un’epoca difficile, è vero, ma sono certo che tutto possa tornare nella giusta direzione.

 

11/11/2001

Dopo l’11 settembre ho reagito nell’unico modo a me possibile, ovvero scrivendo. E ne è scaturito The Village. Io non avevo affatto previsto di scriverlo. E ancor meno di realizzare un film politico, ma molte persone interpretano il film in questo modo. Posso capirli, ma il film non è una conseguenza a ore e ore di terrore e di paura. Per me l’elemento soprannaturale del film è l’amore. Quel che l’amore può fare e quel che può spingervi a fare. Si può diventare supereroi per amore, si possono compiere miracoli, si può attraversare l’inferno.

 

Climax

Non bisogna mostrare troppo e troppo presto. Bisogna saper gestire il proprio tempo prima di mostrare una creatura. Poi, al momento dell’apparizione, occorre andare brutalmente, ai cento all’ora. Senza esitazione. Questa combinazione di sottrazione e di brutale esposizione è decisiva.

 

(M.N.S.)