di Danilo Arona

CorpiDobbiamo tornare sul caso del cosiddetto “bambino feticcio”. Nell’ultima puntata della rubrica dedicata all’incredibile caso di un ragazzino abruzzese, sottoposto in giovanissima età negli anni Trenta del secolo scorso a un’incredibile serie di torture dalla nonna “fattucchiera” che gli introdusse in corpo centinaia di spilloni e di aghi allo scopo magico di far tornare il genero in salute, non sono stato sufficientemente chiaro su un incontestabile dato di fatto: ovvero, che la vicenda narrata con sentita partecipazione da Pier Paolo Giannubilo nel libro Corpi estranei (Il Maestrale, 2008), è storia realmente accaduta (come recita peraltro il sottotitolo) e del tutto speculare a quanto descritto con precisione giornalistica dall’autore, salvo l’uso più che comprensibile di nomi fittizi al posto di quelli anagrafici. L’avere abbinato la vicenda di colui che Giannubilo ha battezzato come “Michele Sertorio”, persona ancora in vita, a un’altra storia piemontese (che mi è stata solo raccontata da un presunto lontano parente dei protagonisti e sulla quale, per mancanza di riferimenti specifici, mai ho potuto indagare) analoga per un buon 80%, potrebbe indurre all’equivoco che magari stiamo transitando nel bizzarro territorio delle leggende metropolitane. Il che ovviamente, nel caso di Corpi estranei, non è. Anzi, come sottolinea Giannubilo, siamo al cospetto di una storia che trasuda lacrime e sangue, veri e autentici, tanto del protagonista che di tutti i suoi familiari, ed è indubbio che la vicenda di “Michele” sia l’inconfutabile sostanza storica dalla quale in seguito, per i misteriosi canali che contraddistinguono la trasmissione orale di fatti “incredibili ma veri” (e non beneficiati da cronache in tempo reale), deriva con evidenza la storia piemontese – per amor di completezza, ne conosco anche una ambientata in Veneto, raccontatami anni fa da un’anziana signora di nome Toscana che mi riferì con i lucciconi che quel bambino-feticcio, a differenza del protagonista di Corpi estranei, non era sopravvissuto alle torture.

Resta intonso il mistero del meccanismo per il quale una storia vera e documentata possa generare in altri luoghi e in altri tempi dei “doppioni” che non sono affatto documentati perché alla fine poi vengono riferiti per sentito dire. Materiali non di prima mano sui quali interviene la provvisorietà del labile giudizio: “me l’ha detto l’amico di un amico”. Peraltro il confine resta sempre incerto: se si chiama “ostensione” la trasformazione della leggenda in realtà, forse il termine può valere anche al contrario. Se pensiamo a un evento molto meno drammatico del bambino-feticcio, quello della “moglie dimenticata” all’autogrill che di tanto in tanto fa la sua comparsata estiva, si sappia che prima di nascere come notizia la storia era già stata classificata negli Stati Uniti come leggenda urbana.

Quando se ne lesse per la prima volta nell’estate del 1992 Paolo Toselli, fondatore del Centro per la Raccolta delle Voci e Leggende Contemporanee di Alessandria, contattò prima l’agenzia stampa che aveva lanciato la notizia chiedendo i recapiti dell’autogrill dove la donna, si raccontava, era stata dimenticata dal marito. Una volta ottenuto l’indirizzo, Toselli vi si recò e lì gli inservienti gli dissero che la storia era stata trasmessa loro dagli agenti della Polstrada. Toselli riuscì a interpellare anche questi ultimi e si sentì riferire che al comando si era fatta la colletta per poter acquistare un biglietto ferroviario alla signora. A questo punto però gli agenti non potevano non conoscere i dati anagrafici della donna. Dopo qualche insistenza, Toselli riuscì a farsi svelare cognome e città (Cantù, provincia di Como) dei protagonisti. E, armatosi di pazienza, stanò per via telefonica una parente strettissima della tipa che a denti stretti confessò che tutta la storia era autentica, comprensibilmente inserita in un prevedibile quadro di crisi coniugale. Peraltro, da lì a pochi giorni, molti altri giornalisti seguirono l’esempio di Paolo Toselli e la signora fu costretta a uscire allo scoperto, con tanto di volto, nome e cognome, quanto di più lontano dall’evanescenza di una leggenda.

Forse non c’entra nulla con “Michele Sertorio”. O forse a volte le storie possono apparirci così improponibili che pensiamo di difenderci dalle stesse trasformandole in leggende. Ma in tutti e due i casi è il Reale con il quale dobbiamo confrontarci.