di Danilo Arona

PippoI fantasmi possono essere di varia e diversa natura. Per moltissimi italiani, durante gli ultimi due anni della seconda guerra mondiale, lo spettro notturno più terrorizzante si chiamò “Pippo”, un caccia bimotore della RAF che sorvolava le città in missione di  “disturbo”, mitragliando sulle luci accese e su ogni parvenza di movimento si manifestasse tra le vie e le costruzioni oscurate. Per mesi e mesi, Pippo (in certe zone Pipetto, Pippetto, o “Ciccio o ferroviere” al sud, in Campania) fu il simbolo più efficace della collettiva paura e dello smarrimento di una nazione da un lato costretta a non dormire per i ripetuti allarmi e dall’altro incerta se detestare o amare quel misterioso babau notturno; quasi un gotico spauracchio con il classico mandato di terrorizzare l’umanità “bambina”, costretta a trascorrere notti angosciate nelle cantine e nei rifugi, tra le viscere della città.

Così metabolizzato dall’immaginario, Pippo è oggi visto più come leggenda che come effettiva realtà, quasi un epifenomeno creato a ridosso della spiacevole constatazione che gli aerei alleati, quando bombardavano, non facevano granché distinzioni fra amici e nemici. A interrogare i superstiti protagonisti di allora si ascoltano le versioni più disparate: chi lo considerava un amico, chi un nemico, chi un terzo incomodo, chi un fantasma della mente.

In realtà i tanti “Pippo” in volo sull’Italia facevano parte di una complessa e costosa, nonché poco conosciuta ai più, operazione denominata “Night Intruder” che vide per quasi tutte le notti di quel periodo partire dalle basi di Foggia (e di Falconara in un secondo tempo) i Beaufighter e i Mosquito di tre squadroni al completo della RAF e dispiegarsi a raggiera su tutto quanto lo stivale italico, suggerendo a chiunque e ovunque la sensazione della magica ubiquità di una presenza quasi avvertita come “soprannaturale”.

“Night Intruder” fu, infatti, una vera e propria “Operazione Paura”, un esempio  moderno e sconcertante di guerra psicologica che provocò una generale ritualizzazione leggendaria basata sui timori più ancestrali (il buio, la morte, la solitudine) e sull’esigenza di affabulazione, tipica dell’assenza di notizie – nonché della pressoché totale mancanza di energia elettrica – del  momento. Ma è quasi impossibile trovare traccia di “Night Intruder” nei libri di storia. Sono soltanto gli anziani, la voce della storia e della coscienza popolare, che possono riferircene.

Era soprattutto mia madre, quando tutti si era a tavola, a ricamare sull’argomento. Perché, secondo lei dal ’43 all’aprile del ’45 Pipetto era l’argomento più che concreto per scappare giù nelle cantine, non appena calavano le tenebre e l’oscuramento obbligatorio. Perché Pipetto sparava su ogni luce che si muoveva e su ogni parvenza di vita. Ma soprattutto perché laggiù, tra l’umanità composita che affollava le cantine, di solito si trovava mio padre.

Un brutto e freddo giorno di febbraio del 1943, racconta l’alessandrino Francesco Carrer, il cielo sopra Alessandria ebbe a subire una mutazione. Da allora sempre più italiani iniziarono a scrutare in alto alla caccia di particolari insoliti, disegni alieni e invadenti come la terribile nube fatta a striscia. Se si vedevano le strisce, le fortezze volanti venivano a bombardare. Ancor prima degli allarmi e dei preallarmi, la saggezza popolare – equamente diffusa tra Sud e Nord – decretò di porgere la massima attenzione a certe singolarità sospese fra terra e cielo: il comportamento degli animali, la scomparsa del canto degli uccelli, le nuvole strane, il silenzio inatteso, le vibrazioni delle pareti di casa.

L’Apocalisse,  ancor prima di essere un libro sacro, è sempre stata una dimensione dello spirito. Buona parte degli italiani e dell’umanità intera sono stati allevati con l’incubo del bolide redentore, della morte di fuoco che verrà dal cielo. Da quell’orrendo giorno del ’43 sino agli ultimi giorni di Aprile del ’45 (i bombardamenti non si arrestarono automaticamente nel giorno della Liberazione, ma proseguirono ancora per poco a causa di motivazioni squisitamente “tecniche”, come la fitta pressione sulle truppe tedesche disperse per il territorio in ritirata disordinata), la gente visse in un perenne stato di coscienza alterato e aggravato dalla profonda scissione spirituale – vissuta da moltissimi sul baratro della psicosi – che sopraggiunse dopo l’8 settembre.

Dal 1943 al ’45: mesi  lunghissimi, caratterizzati non solo dal freddo, dalla fame, dal buio e dal terrore delle bombe. Ma anche da mister Hyde e Metà Oscure, in due parole il volto dell’Altro. L’irrazionale e l’incomprensibile con cui coabitare, se si riusciva a sopravvivere. Come in ogni guerra civile, i fratelli combattevano contro i fratelli, gli amici carissimi di un tempo si trasformavano in fascisti o in partigiani, e il nemico primigenio era la faccia sconosciuta dentro lo Specchio. I comportamenti quotidiani erano clinicamente schizoidi. Persone che incappavano nei posti di blocco dei tedeschi e sorridevano al nemico, ma in realtà erano staffette della Resistenza. Altri che con grande coraggio e fiducia nell’avvenire si sposavano in chiesa, protetti da cordoni nazisti, e sotto la cintola e i vestiti buoni nascondevano pistole pronte all’uso. La stessa usanza della borsa nera, vissuta come una cosciente e ineluttabile impostura, quasi un vicolo cieco in cui far precipitare quella parte in ombra della propria personalità che intendeva degradarsi per campare.

Fu questa la lunga stagione del “popolo delle cantine”. In realtà, anche se la grande stagione dei bombardamenti alleati a tappeto sull’Italia esordì a partire dal 1943, le bombe inglesi colpivano il suolo italiano già all’indomani del 10 giugno 1940, il cosiddetto “giorno della follia” in cui l’Italia era entrata in guerra al fianco della Germania. Nel settembre del ’39 Hitler, dopo avere annesso l’Austria e la Cecoslovacchia,  invase la Polonia, determinando gli eventi che avrebbero portato allo scatenamento del conflitto planetario. Il 10 giugno dell’anno seguente Mussolini dichiarò guerra alla Francia e alla  Gran Bretagna. L’11 e il 12 giugno il Piemonte fu bombardato e Alessandria fu, secondo Francesco Carrer, la prima città in assoluto a conoscere l’incubo notturno delle fughe in cantina, seguita poche ore dopo da Torino. Era la RAF inglese a gestire queste azioni e ad agire in totale solitudine sino al 1943, quando fu affiancata dalle forze americane nello scatenamento di un’offensiva pesantissima e per nulla discriminante.

Le  prime incursioni sul Nord Italia partirono dalla Gran Bretagna, transitando dalla Francia via Modane e aprendosi sulla valle del Moncenisio. Torino fu bombardata soprattutto in periferia, Milano e Genova risparmiate per sbaglio. Molti di questi aerei si persero per strada, precipitando sulle Alpi. Chi riuscì a tornare atterrò a Ginevra.

E’ in  questo contesto che nacquero i due caccia notturni che gli alessandrini avrebbero battezzato come Pipetto: il Bristol Beaufighter T.F.X. e il de Havilland D.H.98 Mosquito BXX, ambedue caratterizzati da un inconfondibile rumore del motore (pet pet pet) che giustificava l’origine onomatopeica del soprannome, chiaramente riferita al segnale scoppiettante con cui il volatore notturno annunciava il suo arrivo. Così lo ricordava mia nonna negli anni Sessanta: «Lo sapevamo benissimo che non poteva trattarsi sempre dello stesso pilota. Per noi era semplicemente una convenzione del linguaggio». E proprio mia nonna aveva coltivato con Pipetto un rapporto molto personale, dato che la sua camera da letto era mitragliata dal “fantasma della notte” a causa del riflesso di una candela, accesa per orizzontarsi lungo la via del pianerottolo. Quei buchi sopra la spalliera del letto matrimoniale  me li ricordo ancora bene, come ricordo la frase: «Era stato Pipetto. Tirava dove si vedevano luci.» E il famoso poeta alessandrino Sandro Locardi rievocò più volte come un ragazzo nefritico abitante in Piazza Santo Stefano fosse rimasto ucciso dai colpi del pilota notturno mentre raggiungeva il gabinetto esterno in preda a un bisogno clinicamente impellente.

Uno spauracchio volante. In grado di colpire dal buio e nel buio come i grandi archetipi del gotico. Chi concepì l’operazione “Night Intruder” ne era senza dubbio a conoscenza. Peraltro il genere è storicamente nato in Gran Bretagna.