di Valerio Evangelisti

Militant

[A titolo di segnalazione di un libro importante, riporto ampi brani della mia introduzione all’antologia del collettivo Militant Il lato cattivo della storia, edizioni Red Star Press, Roma, 2013, pp. 288, € 16,00. Qui e qui le indicazioni per acquistare il volume on line. La Red Star Press è una cooperativa editrice di piccole dimensioni ma di grande intelligenza.]

(…) E’ da allora [dagli anni ’60] che nel valore di scambio delle merci è apparsa una nuova componente: l’informazione. Decisiva nel determinare i prezzi di mercato, e dunque il profitto. Mancano le analisi in merito di parte marxista, né io sono in grado di tentarne una. Qualche ipotesi sommaria, però, posso avanzarla.

Teniamo presente che viviamo in pieno nella fase della “sussunzione reale del lavoro al capitale”. Marx poteva prevederla, ma non ancora descriverla in dettaglio, visto che ai suoi tempi non era ancora interamente operante. La “sussunzione reale” (contrapposta alla “sussunzione formale”) indica un’epoca in cui il capitale si è impossessato per intero della vita delle classi subalterne, anche al di fuori dello stretto ambito lavorativo. Il controllo è esercitato 24 ore su 24, a volte sonno incluso (nel senso di dominio sui sogni). I socialisti di una volta reclamavano “otto ore per lavorare, otto ore per istruirci, otto ore per riposare”. Nella sussunzione reale il tempo di lavoro non è separato da quello destinato all’istruzione e al riposo, che entra a far parte, come l’altro, del processo di valorizzazione. E non come fattore accessorio, ma come meccanismo indispensabile.

Basti pensare a quanto conta, nella società odierna, la televisione per orientare consumi, visioni del mondo, modelli di vita. Lo aveva ben compreso, molto prima, il cinema americano, strumento di propaganda di una way of life di stampo liberista (e promosso da uffici “di cultura” appositi sparpagliati per il mondo). Imitava, a sua volta, i tentativi in questo senso del cinema fascista e nazista, a volte efficace e persino sottile. La svolta però è un’altra, e va sotto il nome generico di “pubblicità”. Si incorpora l’informazione nel prodotto. Così – per fare un esempio rudimentale ma comprensibile – se io trovo in un supermercato una scatoletta di tonno Bartolomei e una di tonno Rio Mare scelgo la seconda. Magari il tonno Bartolomei (marca che mi invento) è migliore e costa meno. Il Rio Mare però lo “conosco”. L’ho visto in tv, ne sento ripetere il nome a tutte le ore. Mi fido: se fosse un inganno, lo avrebbero già denunciato in tanti. Ed ecco che la conoscenza, il contenuto informativo, incrementa il valore di scambio, a parità di valore d’uso.

Il quid di informazione è servito a vendere e a far digerire tante cose, dallo scatolame alle guerre. Ciò che era marginale non lo è più, nella sussunzione reale. La scatola vale quanto il prodotto, e forse più ancora. Addio all’effimero. Uno dei momenti di forza del ’77 fu il suo modo di comunicare. Slogan paradossali, uso delle radio, rinnovamento grafico e visuale. Il tutto al servizio non della sussunzione, bensì della liberazione dal suo espandersi. Riprendersi un poco delle 24 ore, con una lotta condotta anche sul fronte dell’immaginario. Di nuovo far proprie le otto ore per riposarsi, quelle per istruirsi. Quanto al lavoro, fare proprio anche quello, nei limiti del possibile. Capovolgere la sussunzione. Con la forza o con l’amore? Be’, l’amore rientrava nell’ambito privato. La scelta era una soltanto. Fu una scelta tragica ma giusta, e comunque inevitabile.

E’ una lezione, quella del ’77, che è andata perduta nel corso degli anni ’80, tra repressione feroce e tentativi di resistenza su base prevalentemente difensiva. La sussunzione dilaga con prepotenza mai vista, colonizza le menti, sopprime il discorso critico o anche solo iconoclasta, impone fantasie obbligate e una gestione del proprio vivere interamente finalizzata alla produzione. Lotte ce ne sono, ma non sedimentano né culture né un immaginario condiviso. E’ un decennio senza canzoni di protesta, senza aggregazioni, senza valori unificanti contrapposti al potere. Tutto ciò si ritrova quasi solo nei centri sociali, spesso ridotti a ghetti di periferia, e tante volte tendenti all’auto-ghettizzazione. E’ un decennio spento e silenzioso, in cui trionfa e ammutolisce tutto il frastuono della sussunzione reale imperante.

Le cose cambiano, anche se di poco, negli anni ’90, che si aprono con la Pantera (simbolo efficacissimo), da molti scambiata per un nuovo ’68. In realtà non ha la forza per esserlo davvero e, incapace di uscire realmente dalle università, si spegne in breve tempo lasciando tracce labili. Perché una resistenza creativa torni in scena bisognerà attendere molti anni, e la definitiva affermazione di Internet (preceduta dalla rete telefonica Fidonet) quale strumento di comunicazione alla portata di tutti. I giornali e giornaletti, scomparsi a decine, tornano a proliferare. Ricompare la controinformazione, altra vittima illustre del decennio. La Rete diventa un moltiplicarsi di reti, molte delle quali autenticamente antagoniste, che riescono a mettere in contatto soggetti prima divisi, se non altro, dalla distanza fisica. Pare il formarsi di aree sottratte al dominio del capitale, piuttosto lento, inizialmente, a percepire le potenzialità economiche del nuovo mezzo di comunicazione (e confermato nella propria diffidenza dalla cosiddetta “bolla informatica”).

E’ Internet un’autentica antitesi alla sussunzione? In parte sì. Aggrega, semina discussione, mette a confronto idee, rivela segreti sottratti al pubblico, avanza ipotesi di trasformazione. Parlo, ovviamente, della sua parte migliore, da cercare e scoprire tra fiumane di liquami. Ma è Internet di per sé antagonista, come credevano alcuni dei suoi alfieri iniziali? No, non lo è. Dipende dall’uso che se ne fa. Occorre un progetto politico ben definito e, più ancora, occorre che i rapporti virtuali escano dal cyberspazio e divengano solidarietà concrete, materiali.

In rete si potrebbe anche promuovere una rivoluzione tutta digitale e, una volta vinta quella, andarsene a dormire soddisfatti per avere respinto un frammento di sussunzione. Salvo risvegliarsi prigionieri, a computer spento, degli stessi rapporti di subordinazione preesistenti. Ciò non significa sottovalutare Internet o, più di recente, i social network. L’esempio di un uso realmente rivoluzionario della Rete è Seattle 1999. Internet per coalizzarsi e organizzarsi, la piazza per fare agire la forza raccolta (con ampie componenti operaie e proletarie). Alcune delle recenti rivoluzioni in area mediterranea hanno avuto una genesi del tutto analoga.

L’ha capito, in parte e con molta fatica, Beppe Grillo, che oggi si presenta astutamente come il profeta del Web. Il suo sito, graficamente orribile ma scritto in maniera brillante, è in effetti stato capace di unire molte volontà, poi gettate nell’agone politico italiano al servizio di un progetto che definirei sansimoniano (Saint-Simon proponeva una coalizione modernizzatrice di produttori, industriali e operai, uniti attraverso una nuova forma di organizzazione, i relais, le reti). Ma ogni volta che la folla così radunata si è fatta minacciosa, Grillo è intervenuto di persona a fare rientrare la protesta. A farla defluire nella sussunzione reale, rendendola valvola di sfogo da aprire e chiudere a piacere.

Il nuovo assetto del capitalismo è affrontabile solo mantenendo centrale un ancoraggio di classe, un’analisi impeccabile, una coerenza ferrea e tanta, tanta immaginazione. La valorizzazione del conflitto esige l’incorporazione dello stesso contenuto informativo che oggi è presente nella composizione organica del capitale, quale parte essenziale del capitale costante. Per dirla in maniera molto più semplice, oggi non si dà lotta di classe se la figura del ribelle non si fonde con quella del rivoluzionario, e la spontaneità fantasiosa del primo e la progettualità del secondo non smussano, nella sintesi, i loro rispettivi limiti. La sussunzione si vince così: riconquistando, uno a uno, i tre segmenti di otto ore.

(…)