di Mauro Vanetti

060224-N-5438H-058Tre finestre di chat aperte, ma due ragazze erano andate a dormire; la terza rispondeva sempre più lentamente, spezzava il ritmo del flirt e delle battute, probabilmente stava lasciandosi corteggiare da altri dieci e concedeva a ciascuno solo un «LOL» o un emoticon o un commento minimale, per alimentare l’assedio maschile senza tirar giù neanche mezzo ponte levatoio.

Aveva scavallato un’altra volta. Invece di ammazzare il tempo online, il tempo aveva ammazzato lui e l’alba era arrivata a tradimento senza che le ultime ore avessero portato alcun risultato utile, né avvicinato di un palmo le cosce ancora parecchio virtuali di una qualsiasi delle sue amiche. Come era successo in un’infinità di altre occasioni, superato un momento critico intorno alle tre di notte, stare sveglio era diventato sempre più semplice e la sonnolenza sana aveva lasciato spazio alla sensazione del sonno malato, tardivo, nervoso. Le palpebre si erano fatte più leggere, ma gli occhi bruciavano. I muscoli avevano rinunciato al riposo, ma la pelle sudava acido.

Sul secondo monitor, aveva messo in pausa il gioco per il tempo di versarsi un chinotto. La birra era finita, le lattine erano state tumulate nel cestino sotto la scrivania, di fianco alla torretta ronzante del computer. La terza ragazza gli faceva l’occhiolino col punto e virgola, ma più che «Scopami» sembrava volesse dire «Aspetta e spera». Inclinò le veneziane per esorcizzare i raggi di sole; piegando le lamine d’alluminio verso il basso, dal quarto piano si vedevano le prime automobili degli impiegati, dall’altro lato della strada, che parcheggiavano sotto l’insegna Consultorio Metropolitano n° 3.

 

Si era seduta, aveva appoggiato il portatile sul sostegno ergonomico, aveva regolato lo schienale della sedia. Aveva attaccato lo scaldatazza alla presa USB, ci aveva appoggiato sopra il mug con Mafalda e la scritta Oggi mordo. Aveva immerso la bustina di tè verde.

 

Quel gioco era addictive, dava dipendenza. Come la birra, come tirar tardi, come la figa, come il caffè, come le pillole per studiare meglio, forse anche come il chinotto. Tutti gli universitari sono dei drogati di merda. C’era un neonato morto che gattonava sul suo soffitto, con la testa che girava di 180° come quello di Trainspotting, ma aveva la sua stessa faccia.

Prima avevano fatto #consigliaitagli, grande iniziativa congiunta di tutti i giornali filogovernativi. Chiunque avesse un account Twitter poteva cinguettare al governo uno spreco statale da tagliare. E il governo poteva ben dire «Me l’ha detto un uccellino»! La cosa era riuscita fino a un certo punto, perché molti tweet erano decisamente ideologici, tipo «#consigliaitagli Via dall’Afghanistan» oppure «#consigliaitagli Dimezzare gli stipendi d’oro» o anche «#consigliaitagli Togliete l’otto per mille e i finanziamenti alle scuole private». L’idea non era dare ai cittadini l’ennesima occasione per esternare proclami da bar o da corteo, ma fare un’azione più capillare per fronteggiare la crisi con il crowdsourcing. Serviva una vigilanza antispreco quartiere per quartiere, isolato per isolato.

Da lì era nata l’idea di AusterityVille. La plancia di gioco era l’Italia, divisa in quadratini che corrispondevano a cento metri quadri di territorio nazionale ciascuno. Scorrendo con la freccina del mouse, si poteva esplorare tutto il Paese in cerca di sprechi. I database con le statistiche dettagliate di tutte le spese statali messe a bilancio l’anno precedente erano stati mappati sui quadratini corrispondenti ai punti geografici dove ogni voce di bilancio era stata effettivamente spesa. Se nel bilancio statale c’era l’acquisto di un milione di gessi da lavagna, nei quadratini corrispondenti alle scuole pubbliche e paritarie erano spalmati i soldi spesi per ciascun gessetto. Se nel budget del Guardasigilli c’erano tot mila euro per ciascun carcerato, si poteva andare a cercare ciascun avatar di ciascun detenuto nelle caselle corrispondenti alle celle degli istituti penitenziari e per ciascuno di loro trovare la corrispondente allocazione di risorse pubbliche. Vedi l’omino verde nel bosco che rappresenta la guardia forestale di parco nazionale toscano? Clicca e scopri quanto costa il parassita. Vedi un Canadair che spegne un incendio doloso sulle coste garganiche? Clicca e annulla lo spreco.

 

Gli uomini in cravatta gesticolavano. Il meeting non finiva più, i responsabili dei tre settori tiravano ciascuno dalla propria parte una coperta troppo corta. Ognuno leggeva i dati delle pratiche inevase di propria competenza, gli indici di produttività comparata, le carenze tecnico-organizzative che giustificavano le inefficienze registrate nell’ultimo mese. Lei abbassò mentalmente il volume di parole che non le interessavano; pensava alle bambine che dovevano fare il cambio di stagione, a quella multa da pagare, alla badante da trovare per papà.

Un paio di neuroni lasciati di guardia le fecero un fischio, rilevando che qualcuno aveva pronunciato il suo cognome. Nel bel mezzo di questo dibattito tutto interno al management, le avevano chiesto di intervenire su una questione di merito. Dall’abisso della disattenzione in cui stava facendo immersione subacquea, diede un paio di colpi di pinna per riemergere tra di loro; usci dall’apnea con un respirone, guardandosi attorno, cercando le parole per rispondere.

 

La tattica vincente era registrare il proprio username col codice fiscale e partire da casa propria. C’era un bonus se si iniziava a giocare nella propria zona di residenza, perché il governo voleva che ognuno incoraggiasse tagli nel territorio che conosceva meglio.

In effetti scovare sprechi nella propria città era molto più facile, si sapeva dove andava a guardare. Se si riusciva a farsi convalidare alcuni tagli importanti, si otteneva il badge per quell’area e si poteva passare di livello, ottenere armi speciali (mannaia da taglio, lanciafiamme antispreco, “bazooka austero” ecc.), costruirsi un piccolo feudo, stringere alleanze con altri giocatori della propria città. Se i propri amici di Facebook giocavano ad AusterityVille, ci si poteva scambiare bonus, armi, consigli. Era diventato un fenomeno sociale di massa.

Il governo aveva detto che il numero di giocatori era così elevato da rappresentare un campione statisticamente significativo e il ministro dell’Innovazione Tecnologica diceva che avrebbero preso in seria considerazione le indicazioni che provenivano dal gioco. Altri Paesi avevano messo i loro esperti d’informatica e comunicazione multimediale a studiare questo esempio di uso virtuoso delle tecniche di gamification.

 

Era tornata alla sua postazione, ancora qualche pratica da completare e poi sarebbe stato orario di ricevimento del pubblico. Aveva preso un caffè alla macchinetta e aveva visto già diverse ragazze in sala d’aspetto. Erano troppe, non sarebbero riuscite a smaltirle tutte in giornata.

Passò il responsabile e si fermò dietro di lei. Non le andava di nascondere la finestra della posta elettronica, quindi finì come niente fosse di mandare la sua email privata all’agenzia delle badanti. Il responsabile le chiese se aveva finito un certo compito che secondo i suoi calcoli (suoi di lui) avrebbe dovuto essere completato entro la mattina. Ma i suoi calcoli erano sbagliati.

Cercò la voce più neutra e priva di sentimento che potesse usare. Voleva solo dare un’informazione senza che per l’intonazione sembrasse né un tentativo di scusarsi, né una frase di sfida. Rispose: «No». Ma nonostante tutto, uscì comunque un’intonazione che sembrava dire «Mi avete fatto odiare il mio lavoro».

 

Quando alcune stazioni periferiche del sistema di trasporti pubblici della capitale, usati solo da anziani della zona e con un tasso di non pagamento dei biglietti molto elevato, erano state soppresse prima su AusterityVille e poi nel mondo reale, il Coordinamento per la Difesa del Trasporto Pubblico di Roma Nord aveva organizzato una serie di proteste nella zona e alcuni giovani attivisti smanettoni si erano messi a sabotare le utenze che avevano sferrato per prime l’attacco alle fermate dei bus su AusterityVille.

Da lì era nata una guerra all’interno di AusterityVille, che aveva distorto il gioco perché un certo numero di giocatori si iscrivevano con scopi politici, per difendere una scuola elementare di montagna a cui mandavano i propri figli o per impedire la chiusura di un ospedale dove avevano ricoverato il nonno o, addirittura, per concentrarsi su obiettivi che il governo aveva esplicitamente escluso dal calcolo dei punti-spreco come la portaerei Cavour o la TAV Torino-Lione. Questi giocatori scorretti mettevano i loro avatar attorno agli edifici che volevano difendere, rendendoli irraggiungibili dai giocatori normali, e sputtanando intere partite; oppure facevano apposta a perseguitare alcuni utenti per motivi politici, circondando i loro territori e bloccandone l’espansione.

La risposta del governo era stata brillante: aveva introdotto la possibilità di attaccare non solo le caselle che rappresentavano uno spreco, ma anche gli avatar degli altri giocatori impegnati in attività pro-spreco. Questo aveva aggiunto tutta un’altra dimensione al gioco, che non era più soltanto l’implementazione dell’austerity ma anche una guerra contro chi la ostacolava. Si erano create su AusterityVille gilde e clan di vigilantes virtuali che sterminavano a colpi di mannaia e lanciafiamme i blocchi stradali e le catene umane costruiti dai giocatori scorretti che violavano lo spirito del gioco.

Quella era la parte del gioco che lo divertiva di più, che quella notte lo aveva tenuto più sveglio.

 

La ragazzina di fronte a lei non smetteva più di piangere. La reazione era sproporzionata, avrebbe voluto dirle che era disposta a scommettere che non era rimasta incinta, ma sarebbe stato poco professionale. L’unica cosa da fare era aspettare il primo giorno di eventuale ritardo e fare il test; la pillola del giorno dopo era stata proibita su tutto il territorio regionale e bastava un singolo sgarro a far chiudere un consultorio.

L’odiosissimo campanello di fine visita suonò. Era stato messo dalla direzione della struttura per cercare di accorciare le liste d’attesa; suonava in automatico ogni quindici minuti. Lei lo ignorò.

Che andassero a quel paese, qui c’era un’utente che piangeva.

 

L’ultimo figlio dei fiori che era rimasto a difesa dello studentato, con un avatar ridicolo, a piedi nudi e col simbolo della pace sulla maglietta, era stato abbattuto proprio da lui con una sega elettrica. L’animazione dell’hippie tranciato in due in un lago di sangue meritava tutta la battaglia. L’orda di guerrieri dell’austerity aveva finalmente sfondato il cancello.

Cliccando sull’edificio, le statistiche erano impietose: nonostante la spesa statale ingente per mantenere un centinaio di universitari ambosessi di famiglie poco abbienti, un buon 85% di loro non era in regola con gli esami e c’era un tasso di abbandono dei corsi del 12%. La maggior parte dei laureati che uscivano da quel collegio non trovava un posto di lavoro stabile per più di 3 anni. Era proprio il caso di radere al suolo questo baraccone mangiasoldi. Click!

Appostò il suo avatar nel cortile sul retro dell’edificio. Omini con le orecchie d’asino, che rappresentavano gli studenti fuoricorso che popolavano il collegio universitario, scappavano da tutte le parti coi vestiti in fiamme. Tese un filo spinato elettrificato tra due alberi, nascosto nell’erba, dove c’era un passaggio obbligato dei fuggitivi, e si godette la scena.

 

La sfuriata che il suo capo le aveva fatto l’aveva lasciata senza parole. Non era nemmeno riuscita a mormorare la giustificazione che si era preparata mentalmente, perché si era immaginata di avere quella conversazione nell’ufficio di lui e non davanti a tutti. Aveva taciuto ed era diventata tutta rossa, con un senso di gelo al petto.

Aveva deciso di fare una meschina rappresaglia non lavorando più per il resto della mattinata. Si era messa su Facebook sprofondando la testa nello schermo per non incrociare gli sguardi ironici dei colleghi. Sui profili di diversi suoi amici comparivano gli ultimi record di punteggi conquistati sui vari giochini online interrando tuberi virtuali o incendiando collegi universitari.

Due colleghe facevano risolini bisbigliando e indicandola con cenni del mento. Andò sul suo profilo e scrisse di getto «Vi odio tutti». Non doveva essere l’unica con Facebook aperto perché si percepì dalle altre scrivanie una piccola onda di sconcerto seguita da numerose occhiate di derisione.

Commentò sotto il suo stesso status: «Sì, intendo proprio voi!!». Qualcuno fece quel gesto di picchiettarsi l’indice sulla tempia, che vuol dire «Dà i numeri».

 

Mentre i cacciabombardieri governativi comparivano sullo schermo bersagliando lo studentato, decise di togliersi una curiosità sul consultorio della strada di fronte. Aveva già controllato la settimana prima, ma non era ancora stato aggiornato il database e nel gioco non compariva alcuna informazione al proposito. Spostò il suo omino sulla mappa col teletrasporto fino a una posizione vicina. Lo portò all’ingresso dell’edificio, che riproduceva piuttosto fedelmente, anche se con grafica da fumetto, quel che vedeva dalla finestra semioscurata. Era diventato cliccabile!

Le statistiche del Consultorio Metropolitano n° 3 gridavano vendetta. La lista d’attesa era di 35 persone, il tempo medio per ottenere un appuntamento con le psicologhe e i ginecologi era di tre settimane, la produttività degli impiegati era inferiore alla media nazionale e il tasso di sindacalizzazione – guarda caso – nettamente superiore. Trovandosi in una zona popolare e con utenti minorenni o sbandati, una quota importante di prestazioni non era pagata o aveva solo un ticket quasi simbolico; di conseguenza, il bilancio della struttura era in rosso spinto.

Una breve nota storica segnalava che questo consultorio nasceva dall’accorpamento di tre diversi presidî  in seguito a una precedente riduzione dei fondi. C’era anche una stellina bianca che indicava che sulle strutture di questo tipo era stata messa una “taglia” in punti-austerity da parte della Coalizione per la Vita, un cartello di movimenti antiabortisti cattolici, in quanto centri che consentono l’accesso all’interruzione volontaria di gravidanza.

Sorrise, cliccò. Bel colpo. Andò a festeggiare in cucina, sperando ci fosse ancora del chinotto.

 

Quattro finestre esplosero simultaneamente. I corpi più vicini all’impatto avevano sparso sangue ovunque, le scrivanie erano state ribaltate e perforate da raffiche di proiettili, le schegge di vetro e legno erano state scagliate in tutto l’ufficio.

Tutti quelli che non erano morti subito stavano urlando con una sola voce di terrore.

Lei era l’unica che non stava strillando, l’unica che stava già scappando verso la porta coi maniglioni, quando dalle finestre sfondate vennero inondati di napalm.

 

La bottiglietta con la bevanda scura gli cadde di mano e si ruppe sul pavimento di marmo, schiumando. Il vento delle eliche aveva rovesciato tutte le piante sul balcone, poi di colpo la porta-finestra della cucina si era spalancata verso l’interno.

Era semplicemente paralizzato, coi capelli buttati indietro dall’aria e lo sguardo inchiodato sul velivolo che manovrava pochi metri davanti a lui.

L’elicottero da guerra nero stava girando su se stesso, mentre saliva lentamente all’altezza del quarto piano. Gli si pose esattamente di fronte, coi mitragliatori fumanti puntati verso l’interno dell’appartamento. Le pale cambiarono ritmo, quella di coda si fermò, l’apparecchio smisurato rimase a galleggiare immobile a mezz’aria interrompendo sia l’ascesa sia la rotazione.

Attraverso il vetro, vide un uomo seduto al posto di comando. Sul casco aveva stampati due rettangolini colorati: uno era rosso, bianco e verde; l’altro era blu con un cerchio di dodici stelle. Tenendo la cloche con la sinistra, il pilota portò la mano destra vicina allo fronte e gli fece il saluto militare.