di Pietro Adamo

jennajameson.jpg[Essendosi espanso il dibattito, su Lipperatura, a proposito di industria culturale, innovazione tecnologica e pornografia, riportiamo questo brano dal testo di Pietro Adamo, in La pornografia e i suoi nemici, pp.95-109, il Saggiatore 1996. Pietro Adamo è autore del più recente – e consigliatissimo – Il porno di massa. Percorsi dell’hard contemporaneo, edito da Cortina]

La critica femminista al porno rappresenta una sfida interessante per tutti coloro che avversano (quasi) ogni censura in nome del principio della libertà d’espressione e dell’ideale della società aperta. Nel 1859 John Stuart Mill aveva saldato insieme principio e ideale nel suo Saggio sulla libertà. A suo parere ogni opzione del singolo (atto, pensiero, pratica) che non danneggiasse immediatamente i suoi consimili aveva diritto di cittadinanza in una società che aspirava al progresso e al miglioramento. Infatti, la libera discussione di tali opzioni si sarebbe rivelata comunque vantaggiosa, sia se si fossero rivelate vere, sia se si fossero rivelate false: in entrambi i casi le conoscenze sarebbero aumentate.


Inoltre, la discussione – e qui Mill metteva in mostra una tensione etica individualista non facilmente riconducibile nell’orizzonte utilitarista – avrebbe rafforzato il “carattere” dei singoli: “la mancanza di discussione non solo fa dimenticare i fondamenti di un’opinione, ma il suo stesso significato. (…) Al posto di un concetto vigoroso e di una convinzione viva restano soltanto poche frasi meccanicamente apprese” (Mill 1981, p. 65). Da qui l’utilità e la desiderabilità morale di una proliferazione di
“differenti esperimenti di vita” (ibid., p. 85). Il Saggio si pone all’intemo di una tradizione fallibilista e sperimentalista che ha avuto un certo ruolo nel plasmare il libertarismo d’Occidente. Qualche anno dopo il giurista americano Lysander Spooner, affrontando la questione del “proibizionismo” alcolico, diede una formulazione icastica (e meno legata alle formule dell’utilitarismo) del reale problema morale in gioco:

Se è così difficile (…) determinare cosa sia e cosa non sia il vizio
e soprattutto se (…) è così difficile stabilire dove finisca il vizio e
cominci la virtù, e se queste domande, alle quali nessuno può veramente e concretamente rispondere per qualcun altro eccetto se stesso, non sono lasciate prive di risposta (istituzionale) e aperte alla sperimentazione per tutti, ognuno sarà privato del più alto dei suoi diritti: il diritto di indagare, investigare, ragionare, fare esperimenti, accertarsi e giudicare da sé cosa sia per lui virtù e cosa sia per lui vizio. (Spooner 1977, p. 6)


pornomassaadamo.jpgL’espressione pornografica


Il punto di vista di Mill è stato adottato da liberali, libertari, democratici e “progressisti” vari. Tuttavia, in molti casi non è difficile registrare un atteggiamento paternalista che per certi versi tradisce proprio l’impostazione del dilemma del Saggio e che abbiamo già trovato nella stessa commissione Williams (vedi sopra, p. 45). Molti degli avversari della censura precisano la dimensione peculiarmente filosofica e nel contempo concretamente politica della loro difesa della pornografia, segnalando il loro disprezzo per il genere in quanto tale. Facciamo qualche esempio tra gli autori sin qui citati: Joseph Cunningham (“non è che sia un amante dei film hard. Per la maggior parte si tratta di film spazzatura”, 1992, p. 316); Richard Posner (il quale, convinto di una differenza sostanziale tra prodotti erotici “alti” e “bassi”, avanza l’ipotesi di censurare “la spazzatura pornografica più turpe”, 1995, p. 385); J.M. Coetzee (secondo il quale i “prodotti ordinari” del porno mostrano “mediocrità di esecuzione”, “mancanza di immaginazione creativa e ancor più di immaginazione erotica”, “incomprensione delle problematiche umane”, 1996, p. 55). Ciò che colpisce è che in tutti e tre questi casi (ma potremmo citarne altri) la generalizzazione viene fatta dal basso verso l’alto, dalla “spazzatura” all'”arte”: l’hard core viene condannato in toto in base alle sue riuscite dichiaratamente “inferiori”. Sarebbe come condannare l’intera letteratura americana in base ai western di Zane Grey o i gialli di Frank Kane (ammesso, ovviamente, che si tratti di prodotti “inferiori”), oppure esprimere un giudizio complessivo sul cinema italiano usando come punto di riferimento Lino Banfl o Alvaro Vitali (ammesso, anche in questo caso, che si tratti di “autori/attori” meno “distinti” di altri). E’ più simpatica la critica libertaria del “reverendo William Cooper”, il fautore del “sesso estremo”, che dichiara di “non avere nulla contro il porno” ma di detestare “le molte situazioni in cui esso supplisce a esistenze represse o diventa un semplice surrogato di vita sessuale” (Cooper 1995, p. 12).

Il miglior esempio di patemalismo nei confronti dell’hard proviene dal “filosofo-re liberale” Ronald Dworkin (termine di MacKinnon 1993, p. 10). Dworkin ha confutato l’usuale giustificazione alla Mill, proponendo di fondare la difesa della pornografia sulla nozione di eguaglianza nella distribuzione dei “diritti all’indipendenza politica e morale”: “i diritti che sono stati a lungo pensati come diritti di libertà, quali il diritto degli omosessuali alla libertà di pratica sessuale o il diritto dei pornofili a guardare in privato ciò che a essi piace, sono realmente (…) diritti a esser trattati come eguali”. I pornofili, gli omosessuali e così via, se
“censurati”, subirebbero “uno svantaggio in virtù del fatto che la [loro] concezione di vita appropriata è già disprezzata dagli altri” (Dworkin 1990, pp. 352, 356). Secondo Dworkin la tesi di Mill, intesa in un orizzonte propriamente utilitarista, non può salvaguardare sino in fondo i diritti delle minoranze: il dissenso potrebbe fatalmente scontrarsi con le “preferenze moralistiche” della maggioranza. Questa interpretazione, come quella di buona parte dei filosofi liberali (e comunitari) moderni, si situa all’interno di un complesso di elaborazioni dominato dalla preoccupazione per la frattura politica della comunità: la tolleranza, il valore del dissenso, la libertà dei singoli, vengono discussi in questa particolare ottica, mentre l’intento di Mill e Spooner (e altri) era in primo luogo la protezione dell’individualità (in genere contro la comunità). Il nucleo episternologico profondo della tesi dei fallibilisti è che non solo non sia possibile esprimere un giudizio definitivo a priori su una qualsiasi pratica non invasiva e non aggressiva adottata da chicchessia, ma che non sia possibile neppure raggiungere una decisione consensuale definitiva sul valore reale di questa pratica che ne stabilisca la legittimità: dal punto di vista pratico essa può situarsi solo alla fine della storia. Uno dei progenitori fallibilisti di Mill, il teologo John Goodwin (1593-1665), espresse il principio di una sostanziale sospensione del giudizio istituzionale, (ma non di quello privato) con una felice scelta di termini, rimandando la decisione finale sul valore di una qualsiasi pratica a Dio stesso, “che ne darà testimonianza contraria a tempo debito” (Goodwin 1996, p. 42). Questa particolare strategia di protezione dell’individualità richiede che si prenda atto che non è possibile stabilire, in assoluto, quale pratica adottata dai singoli e rientrante nella loro sfera privata contribuisca o no a “sviluppare le migliori condizioni per la fioritura umana” nella comunità. Non sorprendentemente Dworkin sostiene di non voler adottare questa strategia: infatti “le offerte commerciali di Soho e della Eight Avenue – le foto in cellophane e Behind the Green Door – non sono evidentemente espressioni intorno allo sviluppo umano desiderabile” (Dworkin 1990, pp. 316, 343).

Nel giudizio si condensano gli atteggiamenti di molti dei difensori moderati dell’hard. La preoccupazione per le fratture nella comunità si fonde con il paternalismo e l’ignoranza: di fatto, Behind the Green Door è proprio un'”espressione intorno allo sviluppo umano desiderabile”, con una sua dignità linguistica e concettuale. Nel film una giovane viene rapita e iniziata ai piaceri del sesso in una colossale orgia. Ciò le permetterà poi di stabilire un rapporto con il suo uomo: un intreccio “controculturale”, valorizzato dal punto di vista espressivo dall’interpretazione di Mafflyn Chambers, perfetta nel ruolo dell’inibita, e dalla regia dei Mitchell Brothers, da sempre propensi alla creazione di atmosfere allucinate e pervase dal senso della trasgressione.

Il disconoscimento delle possibilità espressive del porno costituisce una sottrazione di dignità che potenzia gli argomenti dei detrattori incentrati sulla povertà culturale del genere. Eppure, le cose stanno in modo diverso. La dignità della pornografia consiste in primo luogo in una dignità di genere, ovvero in una serie di riferimenti a codici linguistici e discorsivi riconosciuti e riconoscibili. Il più scalcagnato film tedesco s/m e la superproduzione hollywoodiana in 35mm condividono questo sistema di relazioni, che si riallaccia all'”antica tradizione sotterranea della licenziosità sessuale” (Sabatini 1988, p. 269) e che crea un mondo di segni e stilemi in massima parte – come del resto avviene in ogni “genere” – autoreferenziale. Come abbiamo sottolineato, buona parte dei difensori dell’hard sembrano incapaci di orientarsi in questo mondo e di coglierne le peculiarità espressive. Secondo i loro resoconti non vi sarebbe differenza tra i prodotti ordinari e i film di Gerard Damiano, Henry Pachard, Anthony Spinelli, Robert McCallum, Cecil Howard, Candida Royalle, e, per passare all’oggi, quelli di Andrew Blake e Michael Ninn (fautori di un porno estremamente sofisticato, onirico/tecnologico), di John Stagliano (capace di alternare melodrammi barocchi alla celebrazione della macchina a mano e della presa diretta), dell’italiano Salieri (di cui abbiamo parlato a p. 41) e dei suoi connazionali Joe D’Amato e Marco Bellocchio (autori di kolossal e rivisitazioni del cinema alto) e Marzio Tangeri (il teorico dell’hard casalingo). Analogamente, potremmo citare case di produzione dallo stile inimitabile (VTO, Marc Dorcel, Magma, e così via), oppure soffermarci su episodi ed eventi particolarmente rivelatori (per esempio, il tentativo di Candida Royalle di creare, con la Femme Productions, un consapevole porno per donne). Insomma, il mondo dell’hard è certamente meno monolitico e più variegato di quanto possano far pensare gli argomenti dei detrattori e della maggior parte degli apologeti.

Ciò significa che gli argomenti e le accuse delle femministe riguardanti la tendenza complessiva del genere non siano validi? Prima di rispondere occorre fornire un’ulteriore serie di precisazioni. In primo luogo, nonostante sul piano discorsivo le femministe siano sempre pronte a rilevare la pochezza della pornografia in quanto speech articolato, la struttura stessa della loro argomentazione implica che il porno sia una “creazione” potentemente espressiva (sia pure in negativo): Catharine MacKinnon, dopo aver identificato “nell’analisi delle relazioni sociali tra i sessi” in termini di “dominio” e nella “critica alla nozione secondo cui il genere è una differenza invece che una gerarchia” i temi portanti della sua analisi, sostiene che “in America la pornografia è il mezzo chiave in cui queste due dinamiche di vita vengono realizzate” (MacKinnon 1987, p. 3). In secondo luogo, le potenzialità espressive dell’hard core sono estremamente variegate, come abbiamo cercato di mostrare. Dai prodotti con ambizioni “controculturali” degli anni settanta sino ai quickies* contemporanei, dai complessi melodrammi americani alle velleità antiborghesi dei francesi, e così via, il porno identifica uno spazio di mimesi e riflessione su alcuni dei materiali costitutivi dell’esperienza dell’Occidente: il corpo e il desiderio, la trasgressione e i costumi sessuali, la famiglia e l’ordine sociale.

Ma, per quel che riguarda l’analisi dell’organizzazione linguistica e semiotica dei prodotti pornografici, le femministe colgono sostanzialmente nel segno. Nonostante la Femme Productions e le altre imprese analoghe, nonostante l’esistenza di una larga fascia di prodotti omo e lesbo, nonostante le tendenze “controculturali” che abbiamo identificato, l’hard core si impernia in primissimo luogo sull’occhio (e la
mente) del maschio. Le donne sono in genere presentate come ampiamente disponibili al sesso casuale; dal punto di vista narrativo possono prendere l’iniziativa, ma il meccanismo del coito rientra nel canone maschile forse più diffuso e culmina inevitabilmente con il come shot*; la camera evidenzia costantemente l’atto della penetrazione genitale; il volto della donna viene ripreso regolarmente per metterne in rilievo l'”estasí”, mentre quello maschile è raramente inquadrato, se non nella fase finale; il maschio eiacula sul corpo o sul volto della donna, spesso in ginocchio o supina; le dichiarazioni d’amore o d’affetto sono estremamente rare; i preliminari sottolineano l’eccitamento fisiologico, mentre dialogo, coccole e carezze finali sono pressoché assenti; il ruolo della donna è genericamente passivo, ma non è neppure raro il caso che il plot insista su una qualche forma di esplicita subordinazione femminile; nelle edizioni italiane di videocassex straniere di provenienza nordica (Gerrnania o Scandinavia) è usuale una voice over che si riferisce alle attrici con i termini di “puttana”, “battona”, “bagascia”, e così via.

Tutto ciò è regola, anche se nel campo del porno – come negli altri generi “bassi” – domina la passione per la trasgressione dei codici consolidati. Si potrebbero citare innumerevoli eccezioni: nell’epoca d’oro del cinema hard americano (1970-1985 circa) molti hanno tentato di sottrarsi al canone (o di crearne uno differente); gli “autori” amano corrodere le convenzioni; spesso lo sviluppo degli stessi sottogeneri viene costruito su una violazione delle norme (nel sado-maso più violento, per esempio, i come shots sono rari). Ma si tratta, per l’appunto, di eccezioni.

Danno e rischio nella società aperta

Nel mese di maggio del 1996 ho passato una giornata girando per nove pornoshop milanesi. Ai gestori e agli impiegati ho posto tre domande: la misura della frequentazione femminile, il sottogenere più richiesto, la preparazione generica dei clienti. Per quel che riguarda il secondo punto le risposte sono state estremamente varie: apparentemente conta molto l’ubicazione e il tipo di clientela abituale (diversa da zona a zona e anche da pornoshop a pornoshop). In quanto al terzo, soltanto in un caso mi è stato risposto che i clienti cercano in primo luogo la qualità; ma si tratta di un punto vendita specializzato nel cinema americano classico, che promette nel suo catalogo “l’opportunità di scoprire o riscoprire la storia del cinema hard” (Videoshop). Sul primo punto le risposte sono state molto simili: fino al 10-15%, accompagnate, in cerca di oggettistica e biancheria, non particolarmente interessate alle videocassex; l’unica eccezione, un pornoshop con personale femminile (Happy Time Video) che ha segnalato un afflusso femminile molto maggiore (40%) di donne sole, prontissime al dialogo e allo scherzo, concentrate comunque su oggettistica e biancheria intima (mi è stato anche raccontato di casi in cui sono entrati nel negozio degli uomini, si sono resi conto di trovarsi di fronte a personale femminile e hanno battuto rapidamente in ritirata). Qualche settimana prima ho visitato il Mi-Sex, la nota manifestazione milanese. Il pubblico era maschile al 99% e piuttosto giovanile. Inizialmente l’atmosfera era goliardica; mentre la serata si avvicinava al culmine con la perforinance delle pornostar Luana Borgia ed Eva Orlovski gli umori sono mutati. Mentre Luana ed Eva eseguivano il loro spettacolo, la folla si accalcava intorno al palco; all’indirizzo delle due venivano rivolti insulti e turpiloquio di ogni genere; nel contempo si prometteva loro una serie di trattamenti degni del più creativo film s/m tedesco. L’immaginario pornografico pare quindi sanzionare un’immagine generica della donna che la descrive in terniini di esclusiva subordinazione sessuale all’uomo, privandola di personalità e autonomia. Il problema è se tale sanzione sia o no legittima nell’ambito della società complessa.

Secondo Catharine MacKinnon la soluzione liberale prospettata da Frank Easterbrook (la tolleranza e il rifiuto di censurare) è sia insufficiente sia mistificante: “nel cuore della tolleranza liberale abbiamo un sostanzioso ricatto sessuale. Con lo scopo di non criticare la sessualità di alcuno, tocca specificamente alle donne essere usate e violate dagli uomini, tocca alle donne essere sacrificate con il definire ciò sesso”. La tecnica liberale (ovvero “il punto di vista maschile”) consiste nel distinguere nettamente tra “stupro e rapporto sessuale”, “molestie sessuali e normali proposte”, “pornografia ed erotismo”. Ma nell’esperienza quotidiana le donne non “percepiscono tanto chiaramente” la distinzione: “noi proponiamo una critica più profonda di ciò che è stato fatto alla sessualità della donna e a chi controlla l’accesso ad essa”, conclude la MacKinnon (1987, pp. 15, 86).

Da questo punto di vista l’illusione liberale del “mercato delle idee” (una “metafora capitalista”, scrive la marxista MacKinnon, immaginando di averne pronunciato la condanna definitiva) occulta solo una realtà sociale fondata sulla forza bruta: “il discorso dei nazisti ha forse storicamente potenziato quello degli ebrei? Il discorso del Ku Klux Klan ha forse allargato quello dei neri? Il cosiddetto discorso dei pornografi ha forse ampliato quello delle donne?” (ibid., p. 209). Per quanto paradossale, la risposta più corretta a queste domande è “sì”. I “discorsi” delle categorie sopra citate hanno indubbiamente contribuito alla maggiore visibilità delle opzioni contrarie. Ma non è ancora questo il punto.

Pur tenendo presente l’interpretazione “aperta” e “progressiva” della regolazione dell’accesso al mercato delle idee sottesa alle proposte delle femministe “proibizioniste”, le loro tesi vanno nella direzione del potenziamento della censura e di un allargamento dei suoi ambiti, a scapito di quei progetti di liberazione che passano per l’individuo e non per il gruppo: “il fondamentalismo femminista”, ha notato Mario Ricciardi, “è disposto a sacrificare un intero discorso politico, quello dell’emancipazione individuale” (Ricciardi 1996, p. 130). La MacKinnon stessa non ha dubbi in proposito: “in questo paese”, ha dichiarato a proposito degli Stati Uniti, ma le implicazioni sono generali, “la legge dell’eguaglianza e quella della libertà d’espressione sono in rotta di collisione” (MacKinnon 1993, p. 71).

La strategia femmnista è una negative action esplicita: non si propone un allargamento diretto del “discorso” degli svantaggiati, ma, al contrario, una limitazione di quello degli “avvantaggiati”. Il fondamento della società aperta è l’apertura di nuovi spazi: i tentativi di chiusura, per quanto prodotti da una logica utilitarista fondata sulla misurazione dei diversi effetti delle opzioni contrastanti presenti sul mercato (e da questo punto di vista le femministe sono più utilitariste di Jeremy Bentham), sono antitetici a un modello di convivenza costruito sulla tesi del potenziamento e della difesa dell’individualità.

In questa società il danno non può essere misurato dalle istituzioni se non in termini individuali, ovvero in termini diretti e immediati. I gruppi sono agenti sociali riconosciuti sul piano dell’azione istituzionale positiva; non possono però esserlo sul piano dell’azione negativa, tanto più nella sfera della libertà d’espressione, l’ambito in cui i singoli sembrano esercitare maggiormente l’esercizio della loro individualità. In questo esercizio rientra a pieno titolo la discussione delle identità di gruppo, per quanto questo tipo di “discorsi” presenti ovvi rischi di tracimare in altre sfere. E’ lecito sostenere che ebrei e neri siano razze inferiori o che le donne siano “oggetti” da subordinare sessualmente? Se ciò non implica un diretto ed esplicito invito alla violenza fisica, non sembra sia possibile dare risposta negativa: è lecito pensarla in tal modo e diffondere tale opinione. La difesa delle identità collettive per mezzo delle istituzioni e del diritto positivo implicherebbe necessariamente – come mostrano infatti gli argomenti antiporno delle femministe – una restrizione delle libertà dei singoli. Ovviamente, alcuni gruppi, in quanto gruppi (ma non per quanto riguarda i singoli individui che ne fanno parte), risulteranno svantaggiati, poiché la situazione di partenza non è egualitaria. Tuttavia, nelle società aperte le identità collettive sono multiformi, trasversali e complesse; lo sono di conseguenza anche gli svantaggi e i vantaggi; il rischio del danno è per certi versi ampiamente condiviso.

La società aperta non è né neutrale né priva di orientamenti. Al contrario, si tratta di una struttura disegnata per proteggere specifici valori. E’ all’intemo di questa riconosciuta gerarchia di specifici valori che si situano i meccanismi di riconoscimento delle istanze individuali e delle identità di gruppo. Solo alle prime spetta la protezione istituzionale, mentre le seconde debbono combattere nell’odiato (dalla MacKinnon) “mercato delle idee”, inteso come spazio sociale di interazione dei differenti discorsi. Indubbiamente ciò presenta problemi (come definire in modo egualitario i criteri di accesso al mercato, come garantire medesima visibilità) e difficoltà (la non eliminabilità dei processi discriminatori). Tuttavia, riteniamo sia più conveniente affrontare problemi e difficoltà di questo genere, insieme ai rischi che ne conseguono, che non adottare una politica di limitazione delle opzioni e delle potenzialità espressive dei singoli (compresi, ovviamente, i produttori, gli attori, i registi e i fruitori del porno).



Glossario


Come shot – Ripresa dal vero dell’orgasmo maschile.

Quickies – Film giati in brevissimo tempo, a volte in un sol giorno.

Bibliografia


  • J.M. Coetzee (1996), Pornografia e censura, tr.it. Donzelli, Roma

  • Rev. W. Cooper (1995), Sesso estremo, Castelvecchi, Roma

  • J. Cunningham (1992), The Shameful Enforcement of Video Chastity, in “Gauntlet”, n.3

  • R. Dworkin (1990), Abbiamo un diritto alla pornografia, In Questioni di principio, tr.it. il Saggiatore, Milano

  • J. Goodwin (1996), Theomachia, ed.it. a cura di P. Adamo, Del Cerro, Tirrenia

  • C. MacKinnon (1987), Feminism Unmodified, Harvard University Press, Cambridge

  • Id. (1993), Only Words, Harvard University Press, Cambridge

  • J.S. Mill, Saggio sulla libertà, tr.it. il Saggiatore, Milano

  • R. Posner (1995), Sesso e ragione, tr.it. Comunità, Milano

  • M. Ricciardi (1996), La crociata contro la pornografia, “Volontà”, n.1

  • R. Sabatini (1988), L’Eros in Italia, Mursia, Milano

  • L. Spooner (1977), Vices are not Crimes, Tanstaafl, Cupertino