di Nevio Galeati

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Ho orizzonti limitati. Lo so. Ma mentre un migliaio di uomini “operativi” e oltre il doppio di marinai di cinque navi da guerra stanno per essere spediti in Libano come “forza d’ingresso”, mi scopro scandalizzato per una notizia pubblicata in breve, con foto però, dal quotidiano il Resto del Carlino. Trascrivo: “A Ravenna, per opera di cittadine italiane di origine extracomunitaria, è nato ‘Azzurri dal Mondo’, comitato di protesta che punta sui valori di libertà, solidarietà e ricerca di una cittadinanza italiana consapevole. Aderisce anche Forza Italia”. E nella fotina spunta il sorriso di Sandro Bondi. Accidenti.

Fin qui, in realtà, niente di nuovo. Se il Cavaliere è andato a Marrakech per i 50 anni della moglie e si è travestito da berbero, mica è diventato sostenitore delle ragioni del mondo arabo. Direi, per fortuna. Ma l’assurdo, o piuttosto il surreale, arriva poche righe dopo, quando si scopre che la presidente del comitato è originaria dello Sri Lanka abita da 35 anni in Italia e “non nasconde il proprio disappunto” per il disegno di legge del ministro Amato. Cioè? Cioè cinque anni sono pochi per ottenere la cittadinanza italiana. “Sono stata accettata in Italia perché ho sempre rispettato persone, leggi e cultura, E mi sono impegnata per imparare la lingua. Tutto questo in cinque anni non può succedere”.
La signora mi pare parente stretta di Gunga Din che, povero, era indiano. Ma in Italia e tanto meno a Ravenna, non c’è traccia di Thugs; e pensare al Cavaliere o al suo scudiero vestiti dei panni di Douglas Fairbanks jr. e Cary Grant mi pare, sinceramente, sconveniente. Per Hollywood naturalmente.
Così mi sono sentito razzista. Poi ho penso ai morti nell’attentato di Colombo: sette militari cingalesi sono morti, altri diciassette sono rimasti feriti mentre scortavano un veicolo dell’ambasciata pakistana. E dire che la guerra civile, nella perla dell’oceano indiano, dovrebbe essere cessata da quasi un anno. Ma la signora presidente non abita più là. E continuo a sentirmi razzista.
Poi leggo una lettera inviata qualche giorno dopo al medesimo quotidiano da Palushaj Sokol, giovane albanese vicepresidente della ‘Rappresentanza dei cittadini extra Ue’, sempre di Ravenna. “Mi spiace molto per la signora cingalese e le dico: se le sono voluti 35 anni per inserirsi nella realtà italiana, non è certo colpa degli altri. Poi, se è veramente così, a maggior ragione, ‘mi consenta’, dovrebbe stare dalla parte degli immigrati e le assicuro che con la forza della volontà si arriva a diventare cittadini anche senza passaporto”. Mi rassereno un po’. Solo un po’, perché Palushaj ha ragione, ma ha anche torto. La stampa italiana continua a parlare di vu’ cumprà, che ‘devastano’ il mercato invadendo le spiagge con mercanzia taroccata (dove venga prodotta non ha quasi mai importanza); i servizi televisivi ferragostani hanno mostrato le forze di polizia impegnatissime a presidiare le città contro il pericolo dei terroristi islamici. Cosa può fare un ragazzo albanese contro la potenza di fuoco dei media? Ah, già: tivù e giornali sono in mano alla sinistra… Ma la signora cingalese ha avuto l’onore della foto, Palushaj è finito nella rubrica delle lettere.
Allora capisco il rigurgito, l’acido che sale dalla bocca dello stomaco alla gola: sono razzista perché non tollero più colonialismi, paternalismi, integralismi. Compresi i personaggi, uomini o donne non importa, che scelgono di essere identici alla ‘mami’ di Via col vento (l’attrice Hattie Mc Daniel, ‘mami’ appunto, non partecipò alla prima del film: nel 1939 in Georgia vigevano ancora rigidissime leggi razziali).
Cosa c’entra con il Libano? Mi pareva di sì, forse sbaglio.