di Federica Vicino

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NOTTURNO IN BICICLETTA

Sto dormendo
dio solo sa come questo sia possibile

non dormivo da anni
ma adesso è tutto diverso.

Se n’è andato
Come quando uno dice me ne vado e poi non se ne va
Ma lui se n’è andato
E io sono rimasta al buio.

Sonno.

Dormire, poi, è una condizione febbrile,
che adoro.
Detesto il mondo dei reali.
E se c’è da clonare — beh, io clonerei i sogni.

Come quello di poco fa…

Mi aspettava sotto casa
In una notte di nebbia
(forse la nebbia non c’era, ma io sì — io c’ero)

illusioni

è passata una bicicletta
ho sentito cigolare le sospensioni
come quando nei film in bianco e nero passa una bici e il campanello suona un pochino e tu sai che è passata una bici
è passata — ma non l’hai vista passare (l’hai solo sentita, ma c’era – esiste percezione più profonda?).

Lui… sentivo che c’era.
Senza necessità di vedere.
Lui arrivava, tra la folla, facendosi largo a forza, tra la folla,
sgomitando, senza vedere nient’altro che la meta

lui, così forte e determinato,
lui fendeva il cielo e il mare e il buio e il silenzio
solo lui
senza badare al resto
lui no – tutto il resto è folla, ma lui no.

E io tutto questo lo sentivo, distintamente
nei miei sogni — come una percezione leggera

come quando a notte inoltrata avverti
(remotissimo)
il fischio del treno

come quando, oltre la finestra
oltre le persiane serrate
senti la sirena del faro
e capisci che notte è
– una notte nebbiosa e cupa

mi figurerei in mare, in braccio alla tempesta
io che ho il cuore devastato

come quando passa l’ultimo passante e sai che è l’ultimo passante e sai che è ora di spegnere la luce

spegni la luce
spegni la luce
spegni la luce

come la notte che non c’è più
lui c’è stato

DISÁNCORATI

Disàncorati. Perché sei alla deriva. Per tua fortuna, sei alla deriva.
E se questo ti fa paura, prova a pensare che diversamente saresti alla fonda in un porto di mare, incatenato alla tua bella àncora. Ormeggiato davanti alla tua piccola fetta di immensità marina. Praticamente in trappola.
Saresti
destino segnato fra destini segnati. Qualcuno deciderebbe per te e per la tua àncora. Giù o su.
Peggio: sareste tutt’uno, tu e la tua àncora. Lei agirebbe per te. Potresti demandarle il compito gravoso di ubbidire. E fingere così di non avere padroni.
Il comandante è in coperta. Non puoi vederlo. Non si svela ai tuoi occhi — e così l’inganno cresce. Non posso vederlo = posso credere che non c’è.
Invece c’è. E dà ordini, il comandante. E agli ordini o si ubbidisce o si muore…
Prima o poi ti ordinerà il salto nel vuoto. Senza rete.
Ti butterai. Magari a malincuore, recalcitrante e piangente, magari urlando che non è giusto — ma ti butterai. Il mare spalancherà la sue fauci per inghiottirti, e tu ti lascerai distruggere, perché non hai scampo: sei tutt’uno con la tua àncora. Vai a picco con lei.
Così scoprirai che la prigione che da sempre ti sentivi addosso ce l’hai dentro. La prigione sei tu. E dal fondo degli abissi in cui sei piombato questa non è nemmeno la più spaventosa delle verità.
Sicchè, disàncorati.