THE COMEBACK

di Danilo Arona

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Ritorna, evocata da un libro?
Non lo so. Però stanno prendendo “corpo” le prime notizie su una leggenda che i camionisti si raccontano alle aree di servizio dalle parti di Treviso. Treviso sud, per essere precisi. Poco prima c’è un autogrill, di quelli belli e spaziosi dove ci si può sedere comodamente per mangiare, dove si vendono un sacco di specialità locali e dove si ascoltano “storie” capitate in zona. Ne esiste una – anche se sono molte di più – la cui genesi risalirebbe al mattino del 29 dicembre 1999 quando un camionista friulano di nome Renato Marola, apprestandosi ad immettersi nell’uscita per il casello, “vide camminare sul ciglio dell’autostrada, pericolosamente oltre la linea della sosta d’emergenza una ragazza bionda con giubbotto rosso che sembrava ondeggiare in preda a un malore” (da Cronache di Bassavilla, Dario Flaccovio Editore, pag.18).

Ovviamente allarmato, il Marola fermò il mezzo, scese e tornò indietro per dare una mano alla tipa che pareva in serie difficoltà, ma non vide nessuno e tornò imprecando nell’abitacolo.
Questa la versione ufficiale, in qualche modo consegnata al mito. Ma il meccanismo “virale” delle leggende, che le vuole replicate e modificate nei vari passaggi della trasmissione orale, ne ha già creato due signicative varianti. Nella prima il Marola – nelle leggende come nei prodotti di fiction dovrebbe valere il principio che ogni riferimento a persona reale è puramente casuale – non è un semplice testimone visivo, ma investe l’immagine della ragazza che si dilegua fantasmaticamente dinanzi agli occhi dell’uomo nello stesso momento dell’impatto. “Ho investito un fantasma e ci sono passato attraverso”, racconterà a qualche collega, quando troverà il coraggio di parlarne.
Nella seconda il camionista diventa protagonista e artefice di un vero e proprio investimento perché travolge il solido corpo della ragazza bionda che alle 5.20 del mattino sta barcollando catatonicamente in mezzo alla strada. Ma, a differenza di tutti coloro che hanno visto Melissa “camminare nel buio”, non si ferma per prestare soccorso, ma fugge per paura o vigliaccheria e per assoluta mancanza di altri testimoni.
Adesso, prima di proseguire con la seconda parte della “nuova” leggenda, segnaliamo subito l’incongruenza: perché la storia si data a quel mattino di dicembre di quasi sette anni fa e prende piede solo ora? Qualcuno ne ha letto nel libro o in rete? Domande senza risposta, ma andiamo avanti.
Il corpo senza vita della ragazza bionda viene rinvenuto all’alba in un fosso vicino all’area di servizio. La ragazza non ha documenti, il volto è deturpato per lo scorticamento avvenuto sull’asfalto, la carnagione chiara e il colore dei capelli la indicherebbero come una delle tante disgraziate provenienti dall’Est di cui la zona pullula. Poche note distratte sui giornali locali e la storia è presto dimenticata, complici le festività per il passaggio al nuovo millennio. Ma dal Duemila in poi – e, a quanto si dice, sino a oggi – quell’area di servizio dove tutte le notti molti camionisti parcheggiano per riposare si trasforma in un’area di terrore. Perché il primo che vede qualcosa è rinvenuto il mattino dopo, stecchito da un infarto, ai piedi del camion. Con una faccia da paura. E’ ovvio che lì per lì nessuno è in grado di collegare una morte che, per quanto imprevista, è naturale alla tragica storia della ragazza investita da un pirata della strada… Ma le voci prendono a girare e le voci, si sa, sono inarrestabili.

“Io in quell’area di servizio non ci vado più a dormire. E, se mi dai retta, non ci vai neanche tu.”
“Perché?”
“Perché il camion balla.”
“Cosa vuol dire balla?”
“Balla. Balla la cabina, balla il rimorchio. Tutto dentro trema e ondeggia come se ci fosse il terremoto. Io scendo per vedere che succede. Ma fuori tutto è normale. E non vedo nessuno.”
“E che dovresti vedere?”
“Non lo so. Ma lì dentro i camion ballano.”
“E le automobili?”
“Le automobili no. E’ qualcosa che capita solo ai camionisti.”
“Perché?”
“Perché lì trovarono lei. Un po’ di mesi fa…”
Lei?”
“La bionda. Quella che, da com’era messa, non poteva che essere stata travolta da uno di noi.”
“Un camionista?”
“Sì, Cristo, le macchine non ballano!”

Le voci, più surreali risuonano, più sono inarrestabili. Poi capita, perché prima o poi deve capitare, che su quel tratto di autostrada ritorni a viaggiare l’investitore, nome di battaglia Renato Marola. L’investitore che, come colpito da un subliminale canto di sirena, ripassa con il suo camion assassino in quel punto e di colpo sente gli occhi che gli chiudono irresistibilmente per il sonno e la testa che raddoppia il suo peso sino a ciondolare sopra il volante…
No, devo riposarmi cinque minuti. Solo cinque minuti in quell’area di servizio!
Mette la freccia, entra e parcheggia. Proprio davanti al fosso in cui trovarono la ragazza bionda, volata sino a quel punto dopo il tremendo urto. Cala giù il ribaltabile dietro la cabina, si allunga e chiude del tutto gli occhi che proprio non ce la fanno a stare aperti. Si addormenta e, forse, sogna.
Chissà quanto dopo è costretto a svegliarsi. Deve riaprire gli occhi controvoglia perché sta succedendo qualcosa di strano, di assurdo. Il camion vibra ritmicamente, come se King Kong in persona lo scrollasse da fuori. Ma è un camion, accidenti… avete idea quante tonnellate riesca a pesare un camion? No, allora forse sono scosse di terremoto.
Deve scendere per scoprirlo. Passa dal rimorchio in mezzo alle merci che trasporta perché è più comodo. E, mentre scende con un salto dopo avere spalancato il portellone, sbircia l’ora e vede che sono quasi le 5,20.
Merda, è l’ora di quella volta là… Quel maledetto 29 dicembre che da allora non mi fa più dormire!
Posati i piedi sull’asfalto, si avvede – ma non dubitava del contrario – che non si tratta di un terremoto. Allora si volta, aggira il rimorchio, punta verso la cabina e vede.
Anzi, nel colore irreale della notte che sta cambiando in qualcosa d’altro, la vede. Arrampicata sul finestrino come un’orrida mignatta, lì dove c’è il deflettore, con la faccia ridotta a un grumo poltiglioso di sangue che cade a fiotti solidi per terra, che urla e che sibila e che scuote il camion con una forza bestiale che nessun spettro potrebbe mai avere. Con il giubbotto rosso, ma adesso di un rosso diverso, con i capelli biondi screziati di altre macchie rossastre e rapprese. Così Renato Marola, già da mesi raggiunto dai rumours messi in giro dai camionisti attraverso i baracchini CB, adesso capisce che cosa ha provocato l’infarto di quel poveraccio morto tempo prima proprio lì, accanto al suo camion. Oh, sì, lo capisce bene perché sta per averne uno, pure lui, e mortale come quello del suo predecessore. Perché a quella terribile visione non si può resistere da vivi.
Così il mattino dopo altri camionisti troveranno un secondo collega ucciso da un infarto in quell’area di servizio. E lì nessuno più si ferma. Questa è la parola d’ordine: non sognate di entrarci là dentro, i camion ballano e qualcuno ci lascia le penne.
La raccontano dal mese di maggio sulla A 13. Dicono che Melissa stia tornando. Perché non vuole essere dimenticata. Prima l’ha uccisa l’indifferenza. Adesso non vuole rischiare l’oblio che è la pietra tombale sopra l’indifferenza. Dicono anche che non è giusto che ci vadano di mezzo solo i camionisti. Dicono che il primo a investirla sia stato un automobilista a bordo di una Renault grigia che non si è neppure fermato e che il camionista di nome Marola, che riposi in pace, gli sia soltanto passato sopra senza neppure accorgersi che si trattava di un essere vivente.
Ma questa è già un’altra versione. Un ennesimo inno all’indifferenza.