di Giuseppe Genna

C’è un elemento extratestuale su cui vale la pena di ragionare a proposito di Fucked Up (edito da BUR, 8.60 euro), di cui abbiamo segnalato qui l’uscita, con annessa intervista al curatore Gianluigi Ricuperati. L’elemento storico in questione, che fa di questo libro una testimonianza fondamentale, è che il materiale iconografico contenuto nel testo sta scomparendo, senza che la Rete svolga una funzione che è diventata una delle funzioni più devastanti contro ogni conato di censura.
1700941thumb.jpgBrevissimo riassunto a uso di chi fosse nuovo alla questione: in Fucked Up sono raccolte foto che militari Usa di stanza in Iraq hanno scattato in loco e spedito a un sito porno a libero accesso; il gestore el sito è stato sepolto da capi d’imputazione, fino a giungere a un compromesso che gli salva il conto in banca e il sistema nervoso, cioè chiudere il sito. Le foto in questione sono un materiale rivoltante, una testimonianza diretta di una guerra che sarà pure postmoderna, ma offre scorci di ancestralità cruenta. Le foto non si sono diffuse sul Web: Fucked Up rimane l’unica testimonianza al mondo degli scempi idioti commessi da killer di Stato, sotto l’egida di un presidente che non è così jr come i suoi G.I.

E’ un caso, quello di Fucked Up, che sembra invertire una tendenza acclarata nella nuova età dei media: prova a censurare un sito e mirror appariranno ovunque. Qui la carta interviene a salvare un patrimonio che non avremmo mai desiderato possedere. E’ un accumulo, ordinato secondo sezioni a intensità d’orrore crescente, di vomitevoli carnacialate da nonnismo a stelle e strisce, soldatesse con le poppe fuori che sfregano tra le cosce il fucile automatico, file di militi accasciati sulle tazze del water con maschere antigas in testa. Fino all’immagine più sconvolgente: un’automobile iraqena colpita da un colpo di bazooka, l’obbiettivo si avvicina e inquadra lo spiaccichìo sanguinolento al posto della testa dell’autista (un terrorista?, un altro Calipari?, un panettiere di Baghdad?).
Ricuperati, nella sua trattazione sulla vicenda che ha portato, dal sito Nowthatsfuckedup.com, simili scorci in una testimonianza cartacea, sottolinea tutti gli strati geologici che rendono vergognosa questa saga di scempi e leggerezze via ftp: la gerarchia degli accessi al sito, che resta erotico, l’incredibile volgarità che offende l’intelligenza nei commenti degli utenti (che non sono in Iraq, ma davanti al pc di casa, a residenza statunitense), l’assolutezza crudele di immagini che stimolano il desiderio di conoscere la storia di cui le foto costituiscono un fermoimmagine assoluto e, per così dire, assolutorio.
A corroborare l’analisi di Ricuperati, il saggio finale di Marco Belpoliti ricostruisce, con un’acribia affilata come una lama, la storia della visione quando essa si posa sulle immagini di morte, arrivando a citare l’abnormità del paradosso enunciato dal filosofo sloveno Slavoj Zizek, che sostiene che l’immagine dell’incappucciato collegato a fili elettrici gli ricorda una performance artistica a Manhattan. Insomma, entrambi gli autori riescono a determinare come la guerra, con la sua devastazione dell’umano che è identica a quella scatenata dalle guerre di ogni tempo, è una filiazione coerente di un occidente americano che manifesta, nel verminaio del suo ventre molle, le cause e i sintomi che ritroviamo, confermati e intatti, nell’allucinante sequenza iconografica che è il corpus del libro.
L’interpretazione di questo corpus è ora soltanto un carattere genetico di Fucked Up: e sarebbe sufficiente. A questo gene, si aggiunge purtroppo un altro carattere: quello di testimonianza che andrebbe perduta, stritolata, metabolizzata dallo stomaco indecente di chi ha organizzato il grand guignol che apre il Millennio.
Per questo motivo, non intendo qui concludere una recensione, ma un appello: perché questa testimonianza non vada perduta.