di Paolo Brunetti

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Brevi riflessioni economico/politiche come indispensabile visione d’insieme per comprendere i processi di privatizzazione dei servizi, a cominciare dall’acqua e dai rifiuti. Intervento al convegno di Bedonia (PR) del 3 dicembre 2005 su “La gestione pubblica dell’acqua”

La vita stessa, dall’inizio alla sua fine, diventa merce…
Prendiamo la morte. Negli anni passati per porre fine allo scandaloso sfruttamento dell’angoscia e del dolore che colpiva i parenti dei defunti, vennero costituite delle agenzie comunali per i servizi cimiteriali e per le onoranze funebri. Si pose un freno allo sciacallaggio diffuso negli ospedali dove stazionavano gli agenti funebri, avvisati da compiacenti operatori sanitari di ogni decesso avvenuto o prossimo. Con l’avvento del servizio pubblico i costi delle onoranze funebri si ridussero notevolmente. Le agenzie calarono di numero e di prezzi.


Ebbene oggi su questo mercato, in nome della privatizzazione, si riproietta l’ombra del profitto e morire diventa un lusso o un debito. Ma dal punto di vista del mercato, quale merce migliore, se tutti dobbiamo morire ? Non c’è moda che cambi questo tipo di merce, non c’è tigre asiatica che possa turbare con prezzi bassi questo mercato, nessuno può rinunciare ai servizi funebri.
A Bologna (faccio un esempio a me vicino ma ciascun cittadino europeo può applicarlo al luogo in cui vive) fu il sindaco Dozza a volere l’agenzia comunale di onoranze funebri, che i suoi successori hanno ceduto ad Hera, una SpA per ora controllata (un controllo sempre più formale e non di sostanza) dalle amministrazioni pubbliche, ma quotata o in via di quotazione in Borsa.
A Bologna sempre ad Hera è stata conferita l’azienda del gas che, nel 1948, il Sindaco Dozza aveva municipalizzato, riscattando a caro prezzo gli impianti di una società privata, per porre termine alle esose tariffe del libero mercato. Ad Hera sono andate anche il servizio dell’acqua e della nettezza urbana. Quando Hera avrà bisogno di fare profitti come richiesto dagli investitori privati (e dal fatto stesso di essere una SpA che, per legge, DEVE guadagnare!) e per sostenere le proprie quotazioni di Borsa, avrà in mano tutte le carte per alzare le tariffe dei vari servizi, come è già avvenuto in altri paesi. Ancora una merce ideale: chi può rinunciare al gas nelle case d’oggi, chi potrà rinunciare all’acqua domestica, alla raccolta dei rifiuti, alla pulizia delle strade?
Questi che un tempo erano beni comuni, adesso sono diventati beni privati (merci) e chi li possiede ha nelle mani la vita delle persone (e intanto gli spazi dell’immaginario e della creatività sociale vengono occupati dal Calcio e dalle Soap opere televisive, ove i Talk show si sostituiscono alle assemblee dei cittadini… e ai nostri problemi quotidiani si risponde così solo in un mondo virtuale).
Analogo discorso vale per le abitazioni, per i trasporti, per la scuola: due parole su quest’ultima. Quando si blatera di autonomia degli istituti scolastici si omette di accennare che la diversificazione potrebbe portare a una privatizzazione di fatto, con scuole eccellenti, per frequentare le quali occorre pagare supplementi di vario genere (laboratori, gite di istruzione, stages, sussidi didattici ecc.) Quanto al tema delle abitazioni meriterebbe un discorso ampio che si potrebbe riprendere in altra occasione.
Secondo il progetto GATT (che va bene a destra e sinistra, a Prodi e a Berlusconi) tutti i servizi devono essere privatizzati: dai cimiteri ai pubblici macelli, agli acquedotti, alle opere pubbliche, agli impianti sportivi, ai rifiuti e persino ai parcheggi. La nostra vita sarebbe condizionata dal pagamento di pedaggi di ogni genere a favore di privati capitalisti, che tali sono anche quando si presentano come società per azioni di proprietà di enti pubblici. Le società per azioni, per il diritto privato, sono in tutto eguali alle persone reali.
La nostra vita è così diventata un’attività a pagamento.

MA LA QUALITÀ DELLA VITA NON DIPENDE DAL PIL

In alcuni paesi del terzo e quarto mondo le popolazioni sono state costrette dalla sete a sommosse cruente, poiché il prezzo dell’acqua privatizzata era superiore alla capacità di pagarlo da parte dei più poveri. Ancora non arriviamo a tanto nella nostra “civilizzata società”, ma chi può dirlo?
Le forme di resistenza a questo processo di mercificazione della vita in tutti i suoi aspetti, vedansi i Comuni e le realtà sociali che lottano contro la privatizzazione dei servizi idrici o l’installazione di quelle autentiche fabbriche di veleni che sono gli inceneritori di rifiuti, o contro le devastazioni ambientali (per guadagnare 15 minuti su tre ore di tragitto!) causate dai folli progetti ferroviari dell’Alta velocità, o contro i TSO (trattamenti sanitari obbligatori) a favore dei profitti delle multinazionali farmaceutiche e contro la salute delle persone, o ancora le associazioni che si battono contro gli imbrogli di banche o istituti finanziari o assicurazioni, o infine contro le guerre infinite spacciate per missioni di pace, nei confronti di cittadini illusi e martellati da pubblicità ingannevoli sono tante, tantissime.
Ma sono disorganizzate, e, al momento, hanno soprattutto la valenza di una testimonianza.
Testimonianza della CONSAPEVOLEZZA di tanti – ma non abbastanza per cambiare lo stato di cose presente — di un profondo disagio esistenziale per i vincoli creati da questo modo di vivere, che riduce gli uomini a strumenti al servizio di una crescita economica che è solo crescita dei profitti di pochissimi.
Quella crescita economica che, al contrario, dovrebbe essere al servizio degli uomini e della loro felicità.
I beni essenziali non devono appartenere a nessuno.
Perché sono di tutti.
È sacrilego e contro natura l’esproprio che se ne sta facendo.
Andiamo avanti, dunque, continuiamo a resistere, con il pessimismo della ragione e l’ottimismo della volontà, affinché non si possa mai dire, di noi, che siamo stati complici, che abbiamo dato il nostro contributo a favorire gli interessi privati a danno del bene comune.
Ma come siamo arrivati al punto in cui siamo oggi, che dobbiamo difendere i beni comuni dalle avide mani delle privatizzazioni? e soprattutto che ne sarà dei nostri redditi se i salari e gli stipendi sono bloccati dall’euro, dal trattato di Maastricht, dalla concorrenza dei paesi a bassi salari, nella stessa unione europea, e sono attaccati dal continuo aumento delle tariffe del telefono, acqua, gas, trasporti, scuola e persino sepoltura? Alla fine degli anni settanta è partita la grande guerra contro la spesa pubblica: la Thatcher, Reagan. la politica dei sacrifici. Sono partite le privatizzazioni, vere e proprie regalie ai grandi gruppi finanziari. In Italia si è privatizzato più che nella Gran Bretagna della Thatcher. I risultati ? Disastri ferroviari, disastri ambientali, disastri sociali. Più poveri tra i lavoratori, più ricchi tra i ceti medi, più ricchissimi tra i pescecani.
Tutto questo è servito a rendere più efficiente il sistema paese ? No, tutto questo ha molto a che vedere con il tema del declino.
Una volta Umberto Agnelli disse che la produttività degli stabilimenti Fiat era uguale a quella delle fabbriche tedesche, ma la produttività esterna alla fabbrica era molto più alta in Germania, per questo ci battevano. In questi anni la situazione è certamente peggiorata. Il sistema ferroviario italiano è il peggiore d’Europa, il sistema stradale è ingorgato, gli acquedotti sono pieni di buchi, le scuole e le università sfornano studenti che si collocano agli ultimi posti nelle graduatorie internazionali, abbiamo tariffe elettriche telefoniche e del gas domestico più alte di quelle tedesche, francesi, inglesi, spagnole, in compenso abbiamo parlamentari e consiglieri più pagati d’Europa, magistrati e alti funzionari strapagati, le corporazioni e gli ordini professionali più potenti e intoccabili. C’è troppa spesa pubblica in Italia ? No c’è qualcosa di marcio in questo paese.
Se non si possono aumentare i salari per via dei vincoli sopra detti, si devono ridurre i costi che gravano sui salari. Le tasse scolastiche e universitarie, per esempio, sono
molto più alte che in Francia, meglio sarebbe che fossero sostenute interamente dalla spesa pubblica, così il costo dell’affitto dell’abitazione non dovrebbe superare il 20% di un salario medio, i trasporti pubblici dovrebbero essere gratuiti e così come una quota base delle forniture di acqua luce gas e telefono. In tal modo si potrebbero
contenere i salari senza ridurre il tenore di vita dei lavoratori. Chi vuole di più dell’essenziale lavori di più. Il problema non è il lavoro, ma la costrizione al lavoro.
Paradossalmente più forte è la costrizione più bassi sono i salari, o viceversa. Questo però richiederebbe una totale inversione di tendenza sul tema essenziale della spesa pubblica.
A partire dagli anni ’70, si è scatenata la guerra del liberismo contro il Welfare State, al grido “C’è troppo benessere; Non ce lo possiamo permettere !”. L’obiettivo ?
Rilanciare la produttività del sistema attraverso le privatizzazioni e il taglio della spesa pubblica sociale. In altri termini impoverire socialmente i lavoratori, mettendo a tariffa persino gli asili nido, per costringerli a meno scioperi e più sfruttamento.
La guerra contro la spesa pubblica non ha significato la sua riduzione, ma la sua destinazione a sostegno del capitalismo e della ricca borghesia: In Italia, come negli USA, i ceti abbienti hanno aumentato i loro redditi e i ceti non abbienti hanno diminuito i loro.
Il risultato non è stato l’aumento della competitività del sistema produttivo sul mercato mondiale, bensì l’esatto contrario, come prova l’aumento delle importazioni dall’Asia e dai paesi a bassi salari e la diminuzione delle esportazioni e la chiusura di tante fabbriche. Negli Stati Uniti, al centro del nostro sistema, lo squilibrio tra import ed export ha raggiunto la colossale cifra di 500 md di dollari.
Fu invece proprio l’espansione della spesa pubblica e del Welfare State a fondare il grande sviluppo economico degli USA e successivamente dell’ Europa occidentale,
dopo la catastrofe economica del liberismo nel 1929 e la lunga depressione che ne segui.
Oggi siamo sull’orlo di una nuova catastrofe e soltanto il forte sostegno della Cina al Tesoro americano e al suo debito pubblico hanno impedito, finora, il ripetersi della
tragedia degli anni ’30 che portò al nazismo e alla guerra mondiale.
Contro il liberismo, contro le privatizzazioni dei servizi pubblici, per il riscatto dei servizi regalati ai privati, per riportare la spesa pubblica a sostegno dei salari e non del capitale: una battaglia necessaria e urgente in ogni angolo del nostro mondo. Solo socializzando una serie di spese che oggi gravano sui salari, casa trasporti scuola ecc. sarà possibile sottrarre i redditi dei lavoratori dalla morsa che li stringe: da un lato l’euro e i trattati europei e dall’altro i bassi salari dei paesi emergenti.