di Tommaso De Lorenzis

bourgeoisie.jpgSerge Quadruppani – “La notte di Babbo Natale” – Il Giallo Mondadori n.2863, 2/12/2004
«”Dunand tossisce, inghiotte, tossisce, sputa, ansima, singhiozza, il busto rovesciato sulla tavola, acqua e poi bile gli colano dalla bocca, mescolati a sangue e a crema pasticcera”. Ecco cosa vuol dire – alla lettera – che il noir è un torcibudella.
…il nuovo romanzo poliziesco è bulimico. Lì la cucina diventa strumento comunicativo che avvicina gli esseri umani tra loro e gli uomini all’esistenza.
L’hard-boiled convertì il cibo in liquido. Basti pensare all’ufficio californiano degli alcolisti anonimi conosciuto come The long goodbye.
E il noir celebra l’anoressia nella forma dell’intolleranza, del conato, della nausea, della contrazione intestinale e del vomito. Sempre con sottigliezza e senza cedere alle comodità dello splatter. Qui stiamo parlando di contrazioni nervose che sembrano scosse di terremoto.»

Un’urbana creanza, in voga nelle ambientazioni letterarie, ha consegnato gli eroi dei romanzi gialli alla buona cucina. Le sezioni catalane, provenzali e siciliane compongono la corrente maggioritaria dell’Internazionale della gastronomia sbirresca.
Camilleri vizia il palato di Montalbano con sapori squisiti. Vázquez Montalbán compose un ricettario dei piatti prediletti da Pepe Carvalho e Jean-Claude Izzo attribuì al malinconico Montale l’usanza di riconciliarsi con una vita schifosa a colpi di Lagavulin alternato a generose porzioni di bouillabaisse, la zuppa di mare alla marsigliese. Infilando il naso tra le pagine di certi volumi, l’odore della carta stampata è presto sommerso dai profumi delle spezie.
Chi attribuisce la bulimia della narrativa criminale al flusso migratorio che ha portato il genere dagli argini della Senna sulle coste di mare nostrum (nelle fogge ormai convenzionali del cosiddetto «noir mediterraneo») commette un errore.
Un celebre poliziotto del Quai des Orfèvres, della cui veracità parigina – a dispetto di origini provinciali – non è consentito dubitare, era assiduo frequentatore di pranzi luculliani. E Georges Simenon, che di quel poliziotto era l’inventore, definiva la propria produzione seriale littérature alimentaire, alludendo probabilmente sia alla maniera artigianale, casalinga, che regolava la composizione delle storie di Maigret, sia al modo con cui il pubblico si lanciava all’assalto delle storie in questione. Di consumo vorace si trattava. Alimentare, per l’appunto.
Un’altra creanza, molto meno urbana e appetitosa della prima, in voga negli ambienti del marketing editoriale, ha consegnato la definizione di noir a un’incertezza appena contenuta da una lampante evidenza, e cioè che i libri neri vendono e vendono bene, con buona pace di quanti si ostinano a ragionare sulle caratteristiche operative e tecniche della letteratura di genere.
Per saperne di più circa un appropriato uso della tassonomia letteraria, basta accomodarsi alla mensa imbandita da Serge Quadruppani per i tipi delle Édition Métailié di Parigi. Il menu ideato dallo scrittore francese è arrivato da pochi giorni in Italia con un titolo che è tutto un programma: La notte di Babbo Natale. In realtà, nonostante la brillante traduzione, continua a suonare meglio nell’originale. La Nuit de la dinde, recita il titolo transalpino.
Indipendentemente da possibili usi idiomatici, la parola dinde ha due significati. Il primo è strettamente godereccio, essendo la dinde la tacchina. Ma, in senso figurato, il termine è impiegato per designare la donna stupida: la classica, proverbiale e indisponente, oca giuliva.
Alzi una mano chi, almeno una volta nella vita, non si è trovato a considerare quanta somiglianza ci fosse tra la tipa seduta dall’altro lato della tavola e la bella papera in salsa all’arancia adagiata sul vassoio. La consonanza tra animali e uomini è un tema antico e poco importa che i primi siano vivi e in allegorica trasformazione, come i maiali di Orwell, o cotti a puntino, come in questo romanzo breve. Poco importa perché gli esseri umani troppo spesso bestie sono e in taluni convivii accade che le portate possano prestarsi a maliziosi doppi sensi. Inevitabile. I contesti che trasudano moralismo producono doppiezza, falsità, bugie e allusioni.
Quadruppani non esita a portare tutto questo al banchetto natalizio. Schiuso il vaso di Pandora della riservatezza, il corredo integrale di malignità e maldicenze domina incontrastato.
In principio c’è Buñuel. Chi scrive, più che a Il fantasma della libertà – il cui influsso è comunque percepibile -, ha pensato a Le Charme discret de la bourgeoisie e alla bizzarra impossibilità in virtù della quale i signori Thévenot e Sénéchal, rispettabili delinquenti del ceto medio dediti al traffico di stupefacenti, non riescono a concludere i pranzi che organizzano. Gli impedimenti si fanno sempre più paradossali al punto che l’interdizione alimentare scivola dalla realtà alle ossessioni oniriche dei personaggi.
Se Buñuel comincia, Quadruppani prosegue. E prosegue alla grande. Da scrittore noir, ovvero rielaborando nella secchezza del realismo i contenuti della sensibilità surrealista.
Il pomeriggio del 24 dicembre, a casa della stimata famiglia Boutonnier si presenta un uomo travestito da Babbo Natale. È accolto dalla sbalordita felicità dei gemelli Boutonnier, i piccoli Julien e Zoe, dalla perplessa contrarietà della sorella maggiore, l’undicenne Jeanne, e dal terrorizzato disappunto di genitori e convitati. Infatti, Gérard Soulier, il misterioso Babbo Natale, è un rapinatore che conta di sequestrare Pierre, il capofamiglia nonché direttore di banca, per farsi aprire, l’indomani, la cassaforte dell’istituto di credito.
Fino a qui tutto bene. Quadruppani gioca con la tradizione del bad Christmas, filone trasversale ai generi i cui albori sono rintracciabili nei fantasmi che popolano i sogni dell’avaro Ebenezer Scrooge. Per sorvolare su quei simpaticissimi animaletti che passano sotto il nome di gremlins e si divertono da matti a movimentare il Natale. E noi non abbiamo paura a ricordare i tempi in cui, in Italia, si organizzavano grotteschi capodanni pulp in una scimmiottatura trash della cultura pop.
Ma la nottata è lunga e, al posto della consueta tombola, l’intrattenimento offerto dal bandito ha dell’agghiacciante. Il maligno Babbo Natale costringe gli invitati a un crudele gioco della verità. Di ciò che viene fuori non è lecito dire per non guastare il piacere della lettura. È certo, però, che la rappresentazione della provincia francese, già collaudata da Simenon con le trasferte di Maigret, si arricchisce di un’ulteriore dose di orrore, a dimostrazione che il noir, malgrado i natali metropolitani, quando mette piede nel borgo si incattivisce. E a questo punto dire dov’è il bene e dove il male diventa impresa ardua.
Ricapitolando. Alla cena dei Boutonnier, la borghesia è presente al completo. Da destra a sinistra, ecco il poujadismo crepuscolare dei Violet, le pose intellettuali e liberal dello psichiatra infantile, il Dottor Boussarin, gli atteggiamenti engagés dei Dunand e il sordo livore, fuso a eccessi studenteschi, di Amélie. Al di là delle sfumature, i differenti atteggiamenti nascondono il medesimo schifo.
La discrezione, parolina magica che suona come ipocrisia in giacca e cravatta, va a farsi benedire. Davanti a una pistola e con una bomba sulle chiappe occorre rinunciare alle rassicuranti mediazioni sociali. E il fascino della classe, nell’interezza delle fogge, suona come sinonimo di volgarità.
Dopo Buñuel troviamo Malet. Leggendo del flusso di coscienza del Dottor Boussarin, della silente interpretazione psicoanalitica esercitata sulle azioni contorte del Babbo Natale, è impossibile non pensare all’esimio Dottor Clapas de La vita è uno schifo. Ma se Malet attribuiva alle tecniche dell’analisi lo stesso valore risolutivo, nell’economia del plot, che Poe e Doyle assegnavano alle capacità deduttive di Dupin e Holmes, Quadruppani nega al suo psichiatra il diritto di parola. Frantumando il diaframma del linguaggio, il freudismo si eclissa nella corruzione morale. Bruciata la consapevolezza, si scopre che l’inconscio è altrettanto putrefatto.
Ora, diventa inevitabile guardarsi attorno e chiedersi con apprensione da quale parte si trovi la via d’uscita. Ammesso che una via d’uscita ci sia. Neppure questo possiamo dire, ma raccomandiamo attenzione nel considerare il monologo interiore di Jeanne. Forse, un resto d’innocenza alberga ancora nella fanciullezza. Patetico? Niente affatto. Di una ragionevolezza tremenda. La corruzione è inevitabile e quindi occorre lavorare in anticipo…
Per concludere: i nostri invitati, nel pieno della bagarre, riescono pure a mangiare qualcosa, piluccando il «coniglio alle erbe e alla mirabella», il «tortino di pollo alla scorzonera», l’«insaccato di piedini di maiale», il «gâteau di animelle alle spugnole», il foie gras del salumiere Violet e altro ancora. Avrebbero fatto meglio a non toccare niente, considerando la dichiarazione di poetica circa l’intero genere Nero che si trova a pagina 144: «Dunand tossisce, inghiotte, tossisce, sputa, ansima, singhiozza, il busto rovesciato sulla tavola, acqua e poi bile gli colano dalla bocca, mescolati a sangue e a crema pasticcera». Ecco cosa vuol dire – alla lettera – che il noir è un torcibudella.
Dunque, il nuovo romanzo poliziesco è bulimico. Lì la cucina diventa strumento comunicativo che avvicina gli esseri umani tra loro e gli uomini all’esistenza.
L’hard-boiled convertì il cibo in liquido. Basti pensare all’ufficio californiano degli alcolisti anonimi conosciuto come The long goodbye.
E il noir celebra l’anoressia nella forma dell’intolleranza, del conato, della nausea, della contrazione intestinale e del vomito. Sempre con sottigliezza e senza cedere alle comodità dello splatter. Qui stiamo parlando di contrazioni nervose che sembrano scosse di terremoto.
A questa classificazione alimentare, Quadruppani ha aggiunto un tassello importante. Ci chiediamo come mai i suoi libri compaiano sempre in una collana periodica e non riescano a trovare un approdo saldo in quel «mare dell’incuria, che dalle nostre parti vien chiamata industria culturale» come scriveva Oreste del Buono.
Un consiglio: il 24 dicembre, trovate tre ore libere, non aprite per nessuna ragione la porta di casa e leggetevi La Nuit de la dinde.
Buon Natale.