estermann.jpgLa notte tra il 4 e il 5 maggio del 1998, alla vigilia del Giuramento delle nuove reclute tra le Guardie Svizzere, una violenta tragedia scuote il Vaticano. Alois Estermann [nella foto], 44 anni, da sole nove ore nominato capitano di quel corpo storico, e la moglie venezuelana Gladys Meza Romero, 49 anni, vengono trovati morti insieme al vicecaporale Cédric Tornay, 23 anni. Le indagini sull’accaduto si chiudono in meno di 24 ore, un tempo davvero troppo rapido per spiegare un evento così cruento e così complesso. Tournay, colpito da un raptus, uccide la coppia, infine si suicida. Inutili i ripetuti tentativi, da parte della stampa non reticente e del foro difensivo della famiglia Tornay, di riaprire le indagini. Tutto porterebbe a riconsiderare la goffa ricostruzione effettuata da Gianluigi Marrone, il responsabile vaticano delle indagini. Soprattutto l’autopsia di Tornay restituisce la certezza che la giovane guardia non si sia suicidata. Per non parlare del passato di Estermann, coinvolto nell’affaire Emanuela Orlandi.
Pubblichiamo un’intervista all’avvocato Luc Brossollet di Andrea Perego per l’emittente radiofonica australiana SBS. L’avvocato Luc Brossolet assieme all’avvocato Vergès ha presentato Istanza per la riapertura dell’inchiesta sulla morte di Cédric Tornay direttamente al Pontefice.

tornay.jpgSignor Brossollet, assieme all’Avvocato Vergès lei a presentato Istanza per la riapertura dell’inchiesta sulla morte di Cédric Tornay direttamente al Pontefice. Quali sono i passi che vi hanno portato a questa decisione?
Il dramma è avenuto il 4 maggio 1998. Poco più di due anni dopo questo dramma la signora Baudat, che aveva degli avvocati romani, ha affidato questa causa a Jacques Vergès e a me, e noi abbiamo inizialmente fatto il gioco della giustizia vaticana, cioè ci siamo rivolti ai giudici per chiedere di essere accreditati in quanto avvocati della signora Bodat presso il Vaticano. L’ultima volta che abbiamo inviato la richiesta era metà settembre 2001, al Presidente della Corte d’Appello che dopo otto mesi non ci aveva ancora risposto. Ci siamo detti “la giustizia è troppo silenziosa, non possiamo accettarlo, quindi ci rivolgiamo direttamente al Papa”.

Dal punto di vista della legge, d’un avvocato, come giudica il silenzio del Vaticano?
Il silenzio del Vaticano mi sembrava all’inizio sprezzante: quando si è il magistrato supremo dello Stato Vaticano e ci si trova in una questione così grave, e dato che la madre di un giovane uomo che è morto vi scrive, le si risponde. Poi ho pensato che il silenzio è la sola arma che hanno trovato. Siccome non vogliono parlare della questione, siccome non vogliono rivelare quello che il dossier contiene, allora preferiscono rimanere silenziosi sperando che tutta la questione venga dimenticata; ma si sbagliano perché possiamo contare sulla signora Baudat e sui suoi suggerimenti per essere sicuri che questa questione certamente non verrà dimenticata.

Il Vaticano non ha mai firmato l’articolo 6 della Convenzione Europea sul principio dell’equo processo.
No, no. Da questo punto di vista il Vaticano non ha aderito alla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo.

Ciò cosa comporta?
Significa che davanti al Vaticano non si può ricorrere alle disposizioni della Convenzione Europea e non si può nemmeno contestare una decisione alla giustizia vaticana davanti alla Corte Europea. Dunque, in qualche modo, è uno Stato che si è messo al riparo da qualsiasi critica giudiziaria che venga dall’esterno. Alla Corte Europea gli Stati possono essere condannati per il modo in cui hanno amministrato la giustizia. Con il Vaticano è impossibile. Quello che sottolineo è che il Vaticano perora nel mondo intero la trasparenza, la giustizia, l’equità, ma molti osservatori sono d’accordo nel dire che all’interno del Vaticano questi bei precetti non vengono rispettati.

Signor Brossollet, qual è stata la risposta della stampa a questo caso?
La stampa cerca di informare i cittadini, quindi credo che ci sia almeno un’eco della tesi della signora Baudat. Bisogna sapere che davanti al silenzio del Vaticano, e siccome sulla questione c’era un solo documento per informare le persone, cioè il bollettino-stampa del Vaticano del febbraio 1999, noi abbiamo fatto pubblicare la tesi in Italia e probabilmente appariranno anche edizioni in lingue straniere affinché chiunque possa sapere quali sono gli argomenti dell’accusatore, cioè della giustizia vaticana, e quali sono gli argomenti della signora Baudat per contestare questa tesi ufficiale. E la stampa informerà di tutto questo.

Fino a questo momento lei giudica sufficiente l’eco dato dalla stampa a questo caso?
Sì, da dopo il mese d’aprile, quando abbiamo reso pubblico il nostro passo verso il Santo Padre, credo che la stampa, bene o male, dia un’eco. Certo, è difficile parlare della stampa in maniera generale perché ci sono le televisioni, le radio, i giornali che sono tutti con linee diverse. Ma diciamo che al momento c’è comunque un certo numero di media che si occupano e s’interessano di questo caso. Più in Italia e in Svizzera, certo, perché si tratta di una guardia svizzera.

Che cosa vi aspettate in risposta dal Vaticano?
Il Vaticano non reagisce mai, salvo in presenza di una minaccia mediatica. Quindi recentemente abbiamo annunciato che saremmo andati a Roma per una conferenza stampa che abbiamo fatto. Quando abbiamo annunciato questa conferenza stampa l’abbiamo giustificata dicendo che da più di due mesi il Santo Padre aveva ricevuto la nostra Istanza, noi non avevamo ricevuto risposta, e quindi avremmo fatto il punto della situazione. In quel momento, tutt’a un tratto, la Segreteria di Stato ci ha scritto per dirci che aveva trasmesso l’Istanza alle autorità giudiziarie competenti, ma senza dirci quali fossero queste autorità giudiziarie competenti, quindi non sappiamo chi ha quest’istanza al momento, e senza dirci se, facendo la trasmissione, essa abbia adempiuto ad un ordine che veniva dal Papa; poiché è certo che noi abbiamo scritto al Papa, quindi è dal Papa che aspettiamo una risposta.

Ho letto il comunicato ufficiale del Vaticano dopo che avete presentato l’Istanza. Finisce con la frase: “Comunque le affermazioni offensive, che sono infondate, fatte contro la Santa Sede, lo Stato della Città del Vaticano e il suo organismo giudiziario, sono inaccettabili”.Chi deve parlare di ciò che è inaccettabile?
Io propongo alle persone del Vaticano di riflettere su ciò: una madre aveva un figlio giovane che si era votato al servizio del Papa. Questo figlio s’è ritrovato morto e la giustizia vaticana non ha spiegato NIENTE a questa madre e non le ha aperto il dossier come doveva fare. La Santa Sede: uno Stato indipendente che in un comunicato stampa, reso pubblico, non destinato unicamente alla madre, fa una sedicente sintesi della questione.

Allora, che cosa è inaccetabile?
Non ciò che noi diciamo del Vaticano, ma il funzionamento della giustizia vaticana, perché se davvero la giustizia vaticana fosse serena e rispettosa della signora Baudat, allora direbbe alla signora Baudat: “Venga con i suoi avvocati, le mostriamo l’inchiesta che abbiamo compiuto, da cui abbiamo concluso che – ahimé – Cédric ha commesso un duplice omicidio prima di suicidarsi”. Ma non lo fanno. E se non lo fanno è senza dubbio per molteplici ragioni sulle quali possiamo discutere a lungo. Certamente non sono molto sicuri della loro inchiesta, ma lo fanno manifestando anche disprezzo nei confronti della signora Baudat. Credo che se si cerca ciò che è inaccettabile in questa questione, beh, è il comportamento della giustizia vaticana.

Signor Brossollet, ci sono delle altre prove che non avete presentato nella vostra Istanza, che non avete ancora reso note ma che potrebbero aiutarci a capire la verità?
L’istanza, come è stata pubblicata in Italia e com’è stata indirizzata al Santo Padre, cerca di distruggere i tre fondamenti dell’accusa vaticana, cioè la “lettera di Cédric”, la personalità di Cédric e infine le considerazioni medico-legali e balistiche sullo svolgimento dei fatti. Oggi continuiamo a lavorare sui fatti che si sono svolti il 4 maggio 1998 e studiamo diversi aspetti. Per esempio: lei ha un edificio dove ci sono diversi appartamenti, ci sono consorelle che vi abitano, ci sono vescovi. Vengono sparati cinque colpi senza silenziatore da un’arma che viene ritrovata sotto Cédric. Allora si suppone che questi spari siano stati sentiti da qualcuno. Ora, pare che nessuno abbia sentito questi spari. Altro esempio. Cédric aveva un cellulare. Durante la giornata del 4 maggio ha ricevuto e fatto chiamate. Hanno reso questo cellulare alla signora Baudat disabilitato, senza nemmeno fare delle ricerche. Ma noi diciamo che ci sono delle ricerche da fare sulle telefonate che ha ricevuto e che ha fatto quel giorno. Infine c’è il diacono Bertorello, un uomo che ha incontrato la signora Baudat il 6 maggio, due giorni dopo i fatti, a Roma, nel Vaticano, e che le ha detto ch’egli sapeva che Cédric era innocente e che ne aveva la prova. L’ha detto alla signora Baudat davanti a diversi testimoni. L’avvocato Marrone (giudice unico dello Stato del Vaticano, ndr) aveva detto che avrebbe portato avanti un’inchiesta su Bertorello. Vorremmo sapere che ne è stato, noi abbiamo delle cose da sapere su Bertorello. Quindi noi continuiamo i nostri studi, le nostre riflessioni, le nostre inchieste e renderemo noti al pubblico e alla giustizia vaticana, se è interessata, ma soprattutto al pubblico, gli elementi che abbiamo raccolto.

Signor Brossollet, perché ha accettato questa causa?
Per delle ragioni che non sono affatto misteriose. Prima di tutto perché ci sembrava giusta. È assolutamente anormale, non è proprio di un sistema giudiziario evoluto che faccia sì che una famiglia che ha perduto un parente in circostanze simili non abbia accesso all’inchiesta e le si dica: “Ecco qua quello che è successo, tacete e non chiedete nient’altro”. Dal punto di vista procedurale c’è qualcosa di talmente shockante che già questo dossier meritava d’essere aperto. Poi, quando Jacques Vergès ed io abbiamo accettato questo dossier, ci sono stati forniti degli elementi che abbiamo studiato, che ci hanno convinti dell’innocenza di Cédric Tornay, e questa è una seconda ragione: bisogna far riconoscere da una parte l’innocenza di Cédric Tornay e dall’altra bisogna interrogarsi su coloro che hanno realmente commesso questo omicidio.

Qualcuno dice che è una causa persa. Cosa risponde?
Causa persa… Di certo il Vaticano sembra continuare la sua politica d’ostruzione. Ma non si può mai dire. Ci possono essere degli uomini che prendon le distanze, delle persone che dicono: “non voglio più, per qualsiasi ragione, coprire una menzogna”. Quindi non ci sono mai cause perse. Vedremo quello che succederà. E noi abbiamo già dimostrato che la tesi vaticana non è credibile. Anche se la giustizia vaticana non lo vuole riconoscere, ora è una certezza. La giustizia vaticana dice: “Cédric era in una certa posizione quando si è suicidato”, ed è impossibile dal punto di vista medico! Non aveva la testa piegata in avanti ma all’indietro. Questa è una certezza. Dunque non ci sono cause perse in partenza. Il punto su cui noi abbiamo già vinto è che le spiegazioni del Vaticano non corrispondono alla realtà.