di Giuseppe Genna

cesarefuga.jpgSe confermata, la fuga dello scrittore Cesare Battisti dalla Francia catapulta l’uomo direttamente nella leggenda e aggiunge un capitolo di pura letteratura civile ed epica alla nostra storia nazionale, lasciando però un marchio indelebile sulla delenda storia continentale, per i motivi che vedremo.
Andiamo con ordine. Cesare Battisti, che doveva sottostare all’obbligo di firma al commissariato del IX Arrondissement parigino ogni sabato, non si è presentato né ieri né – finora – oggi. Si attendeva il verdetto sul ricorso in Cassazione, avanzato dai due storici avvocati di Battisti, dopo l’incredibile sentenza favorevole all’estradizione verso l’Italia, che con nonchalance giuridica la Corte francese aveva comminato lo scorso 30 giugno all’italiano, sollevando ondate di protesta da parte degli strenui difensori della parola data da François Mitterrand. Nessuno si attendeva una soluzione tanto repentina e sconvolgente (sul piano storico), nemmeno gli amici più intimi di Cesare Battisti.
Con una mossa tanto inaspettata, Cesare Battisti sacrifica la sua vita emotiva (a Parigi lascia due figlie, l’attuale compagna, l’ex moglie a lui molto attaccata) per scegliere, come ha detto Oreste Scalzone, “il verde della vita contro il grigio della sottomissione”. Questo sul piano personale. Su un ben diverso piano, Battisti in fuga ricopre di ridicolo (un tragico ridicolo) il governo italiano e l’istituzione francese, oltre che tutti gli orgiasti della diffamazione mediatica che lo hanno dipinto come un mostro. Così facendo, l’autore de L’ultimo sparo impedisce in maniera abissale la più vergognosa azione di freezing criminale sulla storia italiana degli ultimi trent’anni e sulla memoria collettiva di un’intera nazione.
Fedele alla sua unica ossessione, che è la letteratura, cioè la leggenda, Battisti vi si tuffa a corpo vivo. Ecco perché.

– L’Italia brianzola, quella che Guarda stupefatta i sigilli parlando bosino e quella del ministro dell’Inferno Pisanu, esce con le ossa rotte dalla vicenda Battisti. Inizialmente, con tutta probabilità, tenendo conto della tempesta perfetta mediatica scatenata contro Cesare Battisti qui da noi, assisteremo a un’ulteriore demonizzazione del personaggio: verrà verosimilmente coperto di insulti, invocazioni alla vergogna, accuse di cinismo in linea con il suo onirico profiling da serial killer, mentre gli operatori si scateneranno nell’estrarre dai parenti delle vittime (vittime, sia ribadito, non di Battisti, a detta dello stesso scrittore) gli ultimi rivoli di dolore trasmutati in rabbia senza soluzione. Passerà anche quest’ondata che, ahimè, non è anomala, coi tempi berlusconi che corrono alle nostre latitudini. E poi, per incanto, ecco cosa succederà: il silenzio. Il silenzio è un sintomo della vergogna. Vergogna che assalirà anzitutto il ministro della Giustizia, l’autentico protagonista di questa vicenda di vergognoso impedimento alla soluzione del quindicennio tragico di Piombo.
Grazie al ministro Castelli, l’Italia è l’unica nazione del patto europeo a non avere concesso l’ok allo spazio giuridico continentale – una decisione che blocca processi importanti, a carico di cariche altrettanto importanti. In dissintonia con questa scellerata tattica, il ministro si è valso della collaborazione del suo omologo francese, un uomo per nulla per bene che si chiama Perben, il quale è arrivato a inventarsi, per tradurre inizialmente in carcere Battisti, l’accusa per aggressione di un vicino dello scrittore italiano. Ma, della Francia, sequitur. Torniamo al nostro ministro. Coerente esponente del forcaiolismo di marca briantea e protagonista di un manifesto ideologico dello stesso, il ministro italiano della Giustizia ha inteso riaprire nel modo più crudele una questione storica che stenta a essere storicizzata: quella degli anni del terrorismo. Ha scatenato un’incredibile campagna di odio ciecamente vendicativo nei confronti di un uomo – un uomo che aveva accettato l’invito francese a rifarsi una vita entro la legalità e che aveva rispettato questo patto. Il ministro italiano, con una mossa tanto devastante, ha sortito effetti che hanno completamente annullato vent’anni di storia: ha riaperto le ferite dei parenti delle vittime, ignorati appunto per un ventennio dallo Stato, dando loro l’occasione di ripiombare in stati emotivi che pertengono l’attualità bruciante di quando subirono il lutto e non il presente che stanno vivendo; ha radicalizzato le posizioni, alzando quote di ansia e di conflitto in Italia; ha messo a dura prova i rapporti che l’Italia intrattiene con la Francia; ha colpito un individuo pienamente recuperato a quella che le democrazie accolgono come esistenza sociale integrata, mettendo a repentaglio il recupero esistenziale emotivo e cognitivo di un individuo condannato in contumacia da un pentito poco attendibile; ha riaperto violentemente la questione dell’irreversibilità del processo in contumacia, probabilmente il capitolo più vergognoso della giurisprudenza italiana, condannato dai più autorevoli organismi internazionali; ha mostrato fino a che punto il governo attuale controlli e orchestri le azioni degli organi di stampa; ha dichiaratamente enunciato il principio della vendetta postuma, facendo egli parte di un’alleanza che propugna la guerra preventiva; ha attaccato il direttore del più importante quotidiano d’Oltralpe, prendendo spunto da una vicenda che nulla c’entrava col caso Battisti, suscitando reazioni indignate ovunque; ha seppellito la questione della grazia a Sofri, approfittando della riapertura sbilenca della questione dei Settanta e irridendo al Capo dello Stato.
Ora, la fuga di Battisti lascia il ministro da solo col cerino più corto in mano. Qualunque decisione il ministro prenda dopo la fuoriuscita di Battisti sarà interpretata come reazione alla fuga dello scrittore. Se il ministro scatenerà, come qualcuno paventa, una caccia all’esule in Francia, egli mostrerà il fianco a chi lo accuserà, legittimamente, di reagire con rabbia istituzionale all’esito della vicenda Battisti – nel senso che trascinerebbe le nostre istituzioni nella rabbia.
Il re è nudo. Battisti gli ha strappato tutti i vestiti di dosso. Per questo, Cesare Battisti entra nella leggenda.

– Chi esce dal caso Battisti con le ossa frantumate da fratture multiple è la Francia. La pavidità del complesso intero della magistratura di Parigi è stata emblematica di un asservimento vile, totale e vergognosissimo al potere politico, essendo questo altrettanto vergognosamente teso a fare un favore al governo reazionario italiano, mangiandosi un protocollo di legge rispettato da nove premier transalpini in più di vent’anni. La dottrina Mitterand non è affatto di Mitterand: è la dottrina dello Stato francese tutto, qualunque premier l’ha applicata per questi due ultimi decenni. “Honte!” è stato il grido lanciato in aula alla lettura della sentenza favorevole all’estradizione di Battisti in primo grado. La Francia esce dal caso Battisti sepolta dalla vergogna. La Francia non è più terra di libertà, non è più la patria della parola data e rispettata.
Sia sottolineato che l’estradizione di Battisti, a distanza di quasi quindici anni dal suo arrivo a Parigi, era possibile perché Battisti aveva accettato un invito da parte dello Stato francese. Poteva continuare il suo esilio nelle Americhe, ma accettò il patto con Parigi. Quindici anni dopo, cambiando il governo, cambia tutto. Uno stato di cose che grida vendetta al cospetto d’iddio, se non fosse che e Battisti e chi l’ha difeso sono lontani mille miglia dalla tentazione della vendetta.
La Francia non è stata in grado di imporre all’Italia nemmeno il cambiamento dei protocolli sull’ingiusto processo a Cesare Battisti. Una sconfitta totale, bruciante, storica. Dall’Italia era evidente che non sarebbe giunta risposta all’invito di rifare un equo processo a Battisti (accusato, ricordiamo, dall’inattendibile “pentito” Mutti, che ha accollato a Battisti, essendo questi assente, tutti i delitti dei PAC, senza che nessuno lo sbugiardasse, nonostante le palesi contraddizioni e i ripensamenti di Mutti stesso in corso di processo, oltre che, in più casi, le ammissioni del medesimo circa le attribuzioni di responsabilità a Battisti di fatti di cui non era responsabile, solo perché, essendo egli assente, era comodo attribuirle a lui). Rifare il processo a Battisti sarebbe stato ridicolo: ventidue anni dopo i fatti cosa può ricordare un pentito? Ecco, il punto è proprio questo: il ridicolo di un processo rifatto a più di vent’anni è proporzionale al ridicolo di una questione storica ciclopica dissepolta a più di vent’anni di distanza.
La Francia non se l’è sentita di dire no a Berlusconi. E, più grave, è andata incontro a ciò che gli intellettuali francesi hanno denunciato nel corso di questa vicenda: il potere politico, per assentire alla richiesta del governo Berlusconi, ha attuato il modello di atteggiamento che Berlusconi applica alla magistratura italiana. Evitare l’importazione del virus berlusconiano: era l’approccio fondamentale di chi si è mobilitato a favore di Battisti a Parigi. Il virus berlusconiano: cioè, pressioni in vista della sottomissione del legislativo all’esecutivo. La sentenza di primo grado enuncia questo principio esplicitamente: i magistrati chinano il capo davanti a considerazioni politiche e lo dichiarano a chiare lettere.
L’unica componente che ha retto in Francia, sottraendosi a una vergogna che per anni condizionerà il giudizio sulla nazione di Chirac, è stato il comparto intellettuale. Da Daniel Pennac a Bernard Henri-Lévi, i più prestigiosi intellettuali francesi hanno gridato allo scandalo, evocando la Comune di Parigi a simbolo di quanto accadeva: evocando, intendo, l’esito giudiziario post-Comune come esempio di superamento del trauma storico. Un coraggio che gli intellettuali italiani non hanno dimostrato, a parte luminose eccezioni come Erri De Luca.
Una nazione messa sotto scacco, seppure al prezzo dell’abbandono di un’esistenza ormai solida e integrata, di una famiglia, di affetti e amicizie. Battisti ha sacrificato molta parte di se stesso con la sua fuga, ma ha coperto la Francia di merda. Per questo, Battisti entra nella leggenda.

– Il forcaiolismo e l’opinionismo italiani (totalmente coincidenti, in questo caso) escono dalla vicenda Battisti nella maniera peggiore. Il sisma mediatico instillato nel Paese attraverso operazioni lautamente pagate e criminali (foto in prima pagina di un Battisti splatter e distorto; infinite litanie giustizialiste a sproposito; interviste lacrimevoli; opinioni sgradevoli a favore della legge del taglione; distorsione scientifica della verità storica e di quella umana di Battisti) è stato senza precedenti, almeno negli ultimi vent’anni di vita del Paese. La condanna arrogante, preconcetta, disastrosamente imbevuta di sangue, è stata propalata attraverso una mobilitazione mediatica inarginabile. Con Battisti a fare da emblema a una situazione storica complessa, non ancora digerita dalle genti italiane – condannare Battisti a marcire in cella equivaleva a condannare in blocco tutti i movimenti dei Settanta/Inizio Ottanta.
La virulenza dell’operazione mediatica era pari soltanto alla sua fragilità: davano per certo l’esito, sbranavano il cadavere via etere. La fuga di Battisti restituisce i media alla loro dimensione: sono, il più delle volte, falsificazioni e auguri. Non penetrano il livello denso ed effettivo del reale. Berciano, strillano, uccidono linguisticamente. Ma basta una mossa storica per relegarli al loro destino di bollettini postumi, che arrivano sempre in ritardo e tutt’al più possono sperare come sperano certi spettatori davanti a un film horror. Non c’è opinionista giornalista politico, tra quelli intervenuti sul caso Battisti, che esca pulito da questa vicenda. Leggere la spietatezza delle parole di Violante, che negava la possibilità futura di un’amnistia, all’indomani della fuga di Battisti fa ridere e piangere.
Anche per questo svelamento del falso generalizzato e dell’inanità storica della spettacolarizzazione codina, Battisti è nella leggenda.

– La costituzione delle gabbie giuridiche continentali esce dal caso Battisti con il grado di posata serietà dell’ultimo dei pagliacci. I tecnocrati di Bruxelles, che stanno approfittando del condizionamento planetario attraverso la sigla vuota del “terrorismo” internazionale, si vedono mutilati del primo risultato concreto a cui avrebbe portato il nuovo regime giuridico che si sta per applicare in Europa e che coincide con l’abbattimento totale delle garanzie. Battisti ha pagato (e altri, dopo di lui, pagheranno) una deriva criminale e neoconservatrice, che si basa sulla demonizzazione di chiunque attraverso la dicitura “terrorista”. Tale dicitura nasconde verità scomode: la prima delle quali, per esempio, è che l’occidente è in guerra da anni. Ogni risposta bellica alla battaglia generalizzata scatenata dall’occidente viene tacciata di terrorismo. I teorici hanno lanciato l’allarme: la situazione è quella di guerra asimmetrica, non di terrorismo. Ma ai poteri forti e tecnocratici fa comodo ignorare le cassandre. L’uso inflazionato e drammatizzato della nozione di “terrorismo” è ciò che ha coinvolto Battisti in una vicenda in cui il governo italiano si è sentito legittimato a riprendere per i suoi comodi una terminologia accusatoria che era vecchia di più di vent’anni.
L’unica garanzia, a questo punto, è sottrarsi a questo protocollo di indiscriminata violazione dei diritti individuali e collettivi. Il che è ciò che Battisti ha fatto. Per questo entra nella leggenda.

– Come prevedeva Valerio Evangelisti, gli indegni protagonisti della vicenda Battisti (indegni tutti, tranne Battisti stesso) sono ora a rischio. Poiché Battisti è certo che verrà ricordato come una leggenda, gli Spataro i Violante i Castelli i Pisanu i Perben e tutti gli altri malpensanti mantengono, a differenza di Battisti, il culo al caldo ma, esattamente come Battisti, entrano anche loro nella leggenda. Nel senso che ci entrano da Barkilphedro, da Frollo, da Gollum. Rischiano, cioè, di restare memorabili per la vergogna e l’idiozia, nella trattazione che gli scrittori (di cui Battisti è parte integrante e, a questo punto, ancor più apicale) potrebbero lasciare a futura memoria.
Ci stiamo lavorando.
Avendo costruito una leggenda, Battisti ha contribuito al contrattacco letterario.
E’ nella leggenda anche per questo.