Un’ipotesi sui Dialoghi sulla religione naturale di David Hume

di Jedel Andreetto

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4. La forza di Demea.

Smarrito tra Filone e Cleante in realtà è l’unico a non vacillare, il suo è un sentimento vigoroso senza ripensamenti, è un uomo di carattere, nonostante predichi l’annullamento di sé e l’umiliazione come tutti i ministers è soggetto all’ossimoro del rendersi grandi umiliandosi. Non accetta compromessi, si alza e se ne va, non vuole sentire oltre i vaneggiamenti dei suoi compagni. In fine è umano, è una splendida rappresentazione dell’umano.

Questa sua caratteristica è in realtà la sua chiave di lettura. Si confronta con il dolore e la tristezza e l’unico appiglio che trova è quello di una vita futura in cui liberarsi di essi. Pone l’accento sulla debolezza dell’uomo e la forza della fede che questa debolezza sostiene. Non può mettere a repentaglio l’unica ancora di salvezza che ha nei confronti della vita, è spavaldamente codardo.
La strada più semplice e in fin dei conti quella più ripida: il peccato è l’origine del dolore. Dio è insondabile non possiamo nemmeno vagamente ipotizzare per quale ragione egli possa permettere che l’uomo soffra, non possiamo nemmeno riproporre le questioni epicuree come fa Filone, perché il progetto divino non ci è accessibile e le stesse domande perdono ogni cogenza logica.
Leggendo lo scritto, non possiamo che trovarci d’accordo con le posizioni di Filone, i suoi argomenti sono forti e carichi d’ironia, difficile sottrarsi, mentre il discorso di Cleante sembra scivolarci addosso. Ma le paure e le insicurezze che l’esistenza ci riserva non possono non fare i conti con Demea, soprattutto in una società e una cultura che come la nostra convive con un certo approccio popolare alla religione.
Certe visioni, descrizioni e insegnamenti sono difficili da sradicare e anche se con la crescita filosofica e la ragione ce ne siamo distaccati, la credenza rimane arpionata la in fondo alla nostra coscienza, fa da filtro, combatte la ragione stessa.
Ciò che manca alla nuova riflessione di stampo mistico è l’onestà della figura dei dialoghi, quell’onestà e quella caparbia cecità che rendono Demea antipatico come un arcigno vecchio prete, che di sotterfugi vive, ma che questi sotterfugi rendono vero. La sua è una mistica non annacquata da improbabili metafisiche, non ha bisogno di scuse per presentarsi com’è.
Concordiamo con Hume nel ritenere pericolosi uomini come i ministri conservatori, che con il giogo della superstizione sottomettono il volgo e mettono a repentaglio la libertà di pensiero dei dotti uomini di ragione. Ma non sono tanto dannosi quanto i filosofi che oggi parlano dell’inconoscibilità di Dio e della presenza del male in termini più elaborati, lontani magari dai dogmi della chiesa, ma che cercano comunque di adombrare la portata liberatrice dello scetticismo soprattutto in termini di morale.
Sono scesi dai pulpiti e non ci raccontano più degli inferi, hanno spostato l’asse dei loro discorsi ma il tema centrale rimane lo stesso. Come si può fare affidamento su chi appoggia la liberazione dal male alla fede. A chi questa fede costruisce su metafisiche teoretiche o la nasconde tra le pieghe dell’epistemologia della filosofia del linguaggio, dell’esistenzialismo?
Scendendo dall’altare non si espongono, non professano apertamente il loro Belief, fanno della stessa fede una filosofia, perdono ciò che Demea mantiene, l’umanità.
Paura e superstizione sono legate a filo doppio alla natura umana, non è attraverso il mascheramento delle proprie dottrine che si possono eliminare. Non si può trasformare la credenza in ragione.
Non si può giustificare il proprio aderire alla verità cristiana o religiosa con la spiegazione metafisica dell’esistenza e del bisogno di Dio.
La ricerca interiore delle risposte in questione non può essere sistematizzata, e non può fungere da criterio per le proprie scelte morali.
I sermoni lasciamoli a chi come Demea non li trasforma in filosofia, ma ne fa uno strumento attraverso il quale la superstizione riamane ciò che è: specchio della fede.
Le critiche di antropomorfismo mosse nei confronti di Cleante dal mistico, che in realtà non può che non pensare a Dio in termini umani, anche se si sforza di elevare all’impenetrabilità dell’essere supremo il suo pensiero, mostrano il fianco a tutti gli attacchi possibili, ma la loro forza e la loro solidità persistono nella caparbietà e ostinazione di Demea, che non cerca sotterfugi, sa di non poter fare altrimenti, sa di non potersi non inginocchiare e pregare e di conferire in aperta contraddizione con se stesso, un carattere terreno alla divinità.
Se adottasse il termine dell’impenetrabilità dell’essenza per davvero, come base della sua dottrina, si troverebbe solo di fronte al nulla.
Il contrasto che nasce dalle sue intenzioni manifeste e dal suo intimo pensiero è quello derivante dal dovere di mantenere un atteggiamento fermo e risoluto. Il rischio è quello di trovarsi d’accordo con Cleante o peggio d’accordo con Filone.
In accordo con Cleante per quanto riguarda la figura di una divinità umana, finita e non onnipotente, perché in realtà è l’unico modo che intimamente la mente umana riesce a pensare a Dio, nonostante gli sforzi di pensare l’impensabile e di spingere l’immaginazione verso qualcosa d’inimmaginabile.
Meglio mantenere la contraddizione a parole, che esprimere il contenuto del proprio pensiero agli altri e a se stessi per fare in modo che almeno inconsciamente la propria posizione regga alle sollecitazioni. Con Filone perché l’impossibilità di rendere conto degli attributi di Dio se spinta oltre i limiti del credere non può che portare al dubbio.
Come fare allora per mantenere l’uso di rituali che fanno di Dio qualcosa d’antropomorfo ma che alimentano la fede e allo stesso tempo sostenere che Dio stesso sia inconoscibile e continuare a perpetrare quei rituali, continuare a parlare di Esso della sua natura, del peccato della vita futura.
L’unico appiglio è quello della religione rivelata e delle sue contraddizioni. L’unica via d’uscita è quella di dedicarsi ciecamente e umanamente alla propria credenza. La superstizione e il misticismo fanno parte quindi dell’essere stesso dell’uomo, in diversi gradi e con le dovute correzioni in ogni individuo. Difficile liberarsene, ma impossibile farlo se superstizione e misticismo vengono trasformati in criteri filosofici cui fare appello.
Da Demea ci si può difendere anche solo con l’ironia che in fin dei conti la sua presenza suscita, ma da chi ha fatto del pensiero di Demea una metafisica del misticismo è difficile, senza gli strumenti adatti riguardarsi.
Privare il suo pensiero dell’ostinazione e della cecità, significa privarlo d’identità. Significa renderlo infido e velenoso, in fin dei conti egli è un soggetto schietto, talmente abituato a sentire ciò che predica che finisce col dare il suo assenso senza porsi tanti problemi.

5. Hume e le sue “creature”.

Per quale motivo David Hume carica l’ortodosso Demea di connotati che suscitano ironia, e perché allo stesso tempo rende meno interessante il carattere di un personaggio come Cleante?
E Filone?
Le chiavi di lettura sono ovviamente tante e diverse, ciò che la critica ha rilevato in molti casi è il parallelo con le vicende biografiche dello stesso autore e i rapporti con la “sua” Scozia.
Molti sono stati i problemi cui il “bon David” ha dovuto affrontare nell’esporre al pubblico le sue opere, sembra quasi che uomini di scienza, di religione, politici e editori abbiano sempre in qualche modo tentato di ostacolare l’estro dello scozzese per vari e numerosi motivi.
Proprio nel contesto e nel clima di ostilità, più o meno velata, in cui vengono alla luce i Dialoghi sulla religione naturale possiamo trovare una probabile pista che ci guidi verso ciò che ha spinto il filosofo a delineare le sue “creature” in un modo piuttosto che in un altro. Ci troviamo in un’epoca cruciale per la storia della Scozia, un momento in cui uno dei paesi più arretrati d’Europa subisce una radicale trasformazione.
Le scosse dovute al cambiamento si ripercuotono lungo la spina dorsale del paese, spina dorsale che divide in due parti la sua schiena. Da un lato quella parte del paese, le Lowlands vicine all’Inghilterra, per lingua e costumi, per grado di civiltà e ideologia religiosa; dall’altro le Highlands in cui si parla gaelico, in cui la maggior parte della popolazione è dedita alla pastorizia, la cui organizzazione sociale è quanto di più tribale vi sia nella modernità e in cui vi è traccia addirittura di cattolicesimo .
Tutto questo, nel giro di un secolo vedrà un vorticoso cambiamento che renderà la scena del pensiero vivace come in nessun altro luogo, trasformazione che giunta a termine farà piombare il paese in un grigio anonimato scientifico e filosofico.
Le dinamiche e le dicotomie che si svilupparono all’epoca coinvolsero notevolmente, non solo gli ambiti della politica e dell’economia ma investirono in pieno anche la chiesa scozzese. Gli esponenti conservatori e ortodossi di cui Demea, all’interno dei dialoghi diventa referente, si ritrovarono sempre più messi in minoranza nei confronti del movimento religioso progressista che dall’Inghilterra si era insinuato, trovando consensi tra gli uomini di cultura.
Nelle famose università scozzesi i progressisti gradualmente sostituirono con successo i conservatori contribuendo notevolmente all’indirizzo del pensiero filosofico complessivo.
Uomini come Cleante si trovarono quindi nelle posizioni cardini del cambiamento del paese stesso.
In questo quadro va inserita la figura di Hume che accusato di ateismo e blasfemia più volte dal vecchio regime ecclesiastico, venne difeso dai moderati anche se con diverse riserve, le stesse riserve che porteranno paradossalmente, dopo la sua morte a un capovolgimento delle parti, in cui gli ortodossi, riacquisto il controllo della chiesa scozzese si troveranno ad avere una posizione, nei riguardi del filosofo, più aperta di quella dei loro avversari.
Certo è che nel momento in cui Hume concepisce i dialoghi, molte delle difficoltà le trova da ambo le parti, ma chi sicuramente può nuocere maggiormente tramite la censura è la chiesa gestita dal nuovo corso progressista. La minaccia ortodossa si va offuscando nel corso degli anni e Demea non può che rappresentare una minaccia sbiadita sotto il sole della filosofia del senso comune e della razionalità dei moderati.
La sua è una voce lontana, messa a tacere, non solo dall’irruenza particolare di Filone ma soprattutto da Cleante.
Lo stesso Cleante che però deve piegarsi di fronte alla particolare posizione dello scettico. Posizione di voce fuori dal coro, che ricorda indubbiamente quella dello stesso David che non si sente né un whig né un tory e che si definisce cittadino del mondo.
Guardare alla figura di Demea con una certa ironia, e a quella di Cleante come quella di un avversario fiducioso in se stesso è quindi specchio della situazione in cui si trova Hume stesso.
La Scozia in cui egli ogni giorno si risveglia è quella dominata dai Cleante e non più dai Demea, è quella in cui bisogna confrontarsi con le posizioni dei primi che essendo dilaganti e costruite su filosofie sistematiche hanno bisogno di essere criticate con giudizio e valore più che trattate con ironia come quelle dei secondi già demolite dal nuovo corso della teologia.
Affermare la vittoria di Cleante non è ritrattare le proprie argomentazioni ma un modo di mettere in scena ciò che realmente sta avvenendo.
Demea si è già ritirato, ha rinunciato, non ha più voce in capitolo fa parte del passato prossimo della Scozia. Non può fare altro che cedere il passo al sostenitore del design argument, senza sapere che questo, pur di contrastare Filone e di ripararsi dal pericolo di una società senza religione proporrà le argomentazioni di Demea come migliori rispetto all’ateismo. Le proporrà come religione per il volgo, che abituato alla superstizione non può adeguarsi a teologie costruite su ragionamenti illuminati.

La forza di Demea e dei ministri come lui risiede nella superstizione popolare.
La loro retorica evocativa ha una presa sulla gente che i nuovi esponenti del clero non hanno, sarà proprio quest’uno dei motivi che contribuirà al rovesciamento delle posizioni del potere ecclesiastico.
Demea insomma ha dalla sua parte la capacità di rendere più forte, più umanamente forte; la portata del Belief stesso. È contemporaneamente fragile e inossidabile, si sgretola di fronte ai compagni di discussione facendosi usare dall’uno contro l’altro ma rimane immobile e impassibile nella sua credenza, nella sua fede.
Mentre Cleante si fa scuotere in più di un’occasione da Filone e vince la disputa solo nominalmente, Demea non viene scalfito minimamente né dall’uno né dall’altro.
Potremmo quasi avanzare l’ipotesi, confermate per altro dalla stessa storia scozzese che in realtà il vero vincitore sia lui.
Saranno le sue posizioni ad affermarsi nuovamente dopo aver vacillato perché sorrette da quella testardaggine e ottusità che derivano dalla superstizione e dalla potenza della credenza insita nell’uomo stesso.
Egli abbandona la disputa ma non cede di un millimetro, è il detentore della “verità” non può essere battuto. Convinto di questo si allontana e lascia gli avversari a parlare di cose senza senso, di nessuna importanza. Lui e il suo Dio ne escono imbattuti fino ai giorni nostri.
Non c’è ragione o scetticismo che possa eliminare o far tacere per molto la voce di Demea, poiché la sua è la voce più familiare e umana che l’uomo possa sentire.
Purtroppo dell’ironia di Filone non si può essere in molti a ridere.

Conclusioni

Due sono le tracce da seguire lungo il percorso che ci porta a ipotizzare la vittoria di Demea: l’affermazione di Cleante nella dodicesima sezione dei dialoghi, riconducibile a un futuro prossimo probabile, intravisto da Hume, in cui mistici e conservatori avrebbero sostituito i moderati nel presiedere al potere ecclesiastico; e il ripresentassi ciclico all’interno della storia e della cultura di questo potere suffragato dalla superstizione derivante dal Belief, inestinguibile nell’uomo.
Un’ipotesi che si diluisce nel tempo e che fa apparire la supremazia di Demea solo attraverso lo scorrere del tempo. Una supremazia che non deriva né dalla capacità retorica e filosofica del personaggio né da un difetto degli altri conviviali, ma semplicemente dalla struttura stessa del pensiero umano.
Una vittoria a metà potremmo dire, perché discendente da cause remote alla discussione in sé, e perché rilevabile solo a distanza.
Hume era sicuramente un attento osservatore del suo tempo e indagatore sopraffino dell’animo umano e proprio
grazie a queste sue qualità, a questa sorta di “psicologismo” in nuce che può allestire i dialoghi e lasciare che giungano a noi nella loro estrema attualità attraverso i caratteri dei tre pensatori più che attraverso le loro argomentazioni.
Lo scozzese non avrebbe certo potuto prevedere che l’ombra di Demea si sarebbe allungata trasversalmente, insinuandosi in diversi pensieri religiosi e filosofici, per rinnovarsi di continuo e per far sopravvivere e prosperare il misticismo, ma sicuramente aveva visto giusto dando la ragione come sconfitta d’innanzi alla credenza e ritenendo che la superstizione sarebbe rimasta in grado di prosperare. La cosa che non aveva calcolato era la possibilità che non solo il volgo ne sarebbe stato soggetto ma anche quei dotti, che impauriti dal rischio dello scetticismo avrebbero gradualmente abbandonato la vera religione per una «corrotta.»
Gli uomini muoiono e non sono felici avrebbe detto Camus secoli dopo. sembra quasi di sentire riecheggiare la voce di Demea. Il tema del male torna a regnare sovrano e la fede in un aldilà privo di esso alimenta la superstizione. Anche chi attraverso il dubbio e la ragione riesce ad affrontare la questione, deve comunque fare i conti con millenni di tradizione che ha lasciato un retaggio e un segno indelebile nella mente. Nonostante si combatta la credenza con le armi della filosofia, ci si imbatte in essa continuamente, non riconoscendola nemmeno e si cede anche per poco alle illusioni che da essa derivano. Lo scetticismo non è incrollabile come la fede, e in fondo alla coscienza anche di un pirronista, si annida il Belief. Perché, «se non si credesse nella propria stella, non si potrebbe eseguire senza sforzo il minimo gesto: bere un bicchier d’acqua sembrerebbe un’impresa gigantesca anzi insensata.»

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– (*) La bibliografia si riferisce a testi che hanno contribuito alla stesura del presente scritto sia come fonti, sia come ispirazioni a cui non si è attinto direttamente, ma la cui lettura ha contribuito alla costruzione dell’ipotesi, più o meno esplicitamente.