di Valerio Evangelisti

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Ho già esposto quanto segue per filo e per segno in questo sito.
Ricapitolo brevemente, a uso dei più frettolosi..

Cesare Battisti viene arrestato nel 1979 nell’ambito dell’indagine sul Collettivo Autonomo della Barona di Milano, a seguito dell’omicidio Torregiani.
E’ un imputato minore, non accusato del delitto. Del resto il procedimento istruttorio è viziato dal sistematico ricorso alla tortura. Inizialmente, su un centinaio di arrestati, ben dieci tra essi confesseranno di essere autori dell’omicidio, sebbene sia stato commesso da sole due persone (consiglio di rivedere il film Nel nome del padre).
Nel 1981 Cesare Battisti è condannato a 6 anni di carcere, per partecipazione a banda armata (i PAC, Proletari Armati per il Comunismo, anch’essi operanti alla Barona). La condanna viene raddoppiata a 12 anni come previsto dalle leggi speciali che hanno introdotto l’aggravante delle “finalità di terrorismo”.


Alla fine del 1981 l’avvocato difensore di Battisti viene arrestato per complicità con i suoi assistiti (procedura tipica dell’Inquisizione). A quel punto Battisti decide di evadere dal carcere, accettando l’offerta di un gruppo, denominato COLP, che si è specializzato nel fare evadere i detenuti politici.
Battisti ripara in Messico, a Puerto Escondido (nel noto film di Salvatores, tratto dal romanzo di Cacucci, è il personaggio interpretato da Claudio Bisio). Incoraggiato da Paco Ignacio Taibo II dà vita a una rivista letteraria, “Via Libre”. Più tardi organizzerà in Nicaragua la fiera del libro di Managua.
Nel 1986 ha luogo in Italia il processo d’appello, diretto dal magistrato Armando Spataro. Battisti non sa nulla del processo. Il mandato al suo nuovo avvocato, Pelazza, è scaduto l’anno prima. Battisti, contumace, non sarà rappresentato da un proprio difensore: Pelazza è presente solo perché incaricato della difesa di altri imputati.
Il fatto nuovo è la cattura di un pezzo grosso dei PAC, Pietro Mutti, passato a Prima Linea. Questi si è “pentito” e, per ottenere sconti di pena, ha sparato rivelazioni a raffica, poi dimostratesi fasulle (tipo quella secondo cui le BR erano armate da Yasser Arafat).
Circa i PAC, Mutti attribuisce ogni loro azione a Cesare Battisti. In particolare, oltre a più di 60 tra rapine e ferimenti, gli imputa:
– L’avere partecipato a una riunione in cui fu progettato l’omicidio Torregiani (di una partecipazione diretta di Battisti al fatto non si è mai parlato);
– L’avere preso parte, con ruoli di copertura, all’omicidio di Lino Sabbadin, un macellaio che aveva ucciso un rapinatore;
– L’avere ucciso la guardia carceraria Antonio Santoro, crimine imputato allo stesso Mutti;
– L’avere ucciso l’agente della Digos Andrea Campagna, altro crimine imputato allo stesso Mutti.
Come conseguenza di tali rivelazioni, non suffragate da altri fatti o testimoni, Pietro Mutti viene messo in libertà, con tutte le protezioni che le leggi d’emergenza accordano ai pentiti, e Cesare Battisti è condannato all’ergastolo, in riforma della condanna a 12 anni (in realtà 6) avuta in prima istanza.
Nel 1989 Battisti lascia il Messico e ripara in Francia, dove François Mitterrand ha accordato rifugio, dopo un incontro con Craxi, ai militanti dei gruppi armati italiani disposti a rinunciare alla violenza. Fa mille mestieri, finché una serie di romanzi noir non gli assicura una certa popolarità. Per arrotondare le entrate lavora come portinaio dello stabile in cui abita.
Nel 1991 la Chambre d’Accusation di Parigi esamina il suo caso, a seguito di una domanda di estradizione pervenuta dall’Italia. Viste le carte, si oppone a che Battisti sia estradato. Allega agli atti una sentenza della Corte di Cassazione italiana, di conferma della condanna del 1986. La magistratura milanese non l’ha inoltrata, ben sapendo che la giustizia francese è riluttante a concedere l’estradizione in presenza di una condanna a vita, per di più pronunciata in contumacia.
Nel 1993, la Cassazione italiana, chiamata a esaminare un vizio di forma, conferma la sentenza del 1991 contro Cesare Battisti, mentre manda assolta una coimputata di questi, accusata dal pentito Mutti (che intanto ha cambiato identità e vive libero e tranquillo).
Nel 2002 hanno luogo conciliaboli tra il governo italiano e quello francese, ormai entrambi di destra, sulla “lotta al terrorismo”. Il ministro italiano Castelli presenta una lista di 13 italiani rifugiati in Francia da estradare subito, primo dei quali Battisti.
Ai primi del mese di febbraio 2004 viene annunciato a Battisti, dal ministero degli esteri francese, che è stata accolta la sua domanda di naturalizzazione. Sarà pubblicata a giorni sulla gazzetta ufficiale.
10 febbraio 2004: Battisti è tratto in arresto. Il ministro francese Perben annuncia alla stampa che ciò è avvenuto in seguito a una lite con un vicino di casa.
7aprile 2004: l’udienza per decidere sull’estradizione di Battisti è rinviata a causa di “documenti urgenti” provenienti dall’Italia.
12 maggio 2004. Ha luogo l’udienza. Le argomentazioni dell’accusa sono letteralmente fatte a pezzi dalla difesa. Inspiegabilmente, i tre magistrati della Chambre d’Accusation rimandano la sentenza al 30 giugno.
30 giugno 2004. La Chambre d’Accusation di Parigi si pronuncia, a sorpresa, a favore dell’estradizione di Battisti. Le ragioni addotte sono tutte di natura puramente formale, e tese ad aggirare il principio del “ne bis in idem”.
1 luglio 2004. E’ previsto un nuovo incontro tra il ministro italiano Castelli e il suo omologo francese.

Esposti i fatti, lascio al lettore trarne le conclusioni.

A questa prima sintesi ne seguirà presto una seconda, intitolata: Verdetto Battisti: la pista Spataro

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