di Dominique Simonnot
[da Libération]

libe.gifJean-Pierre Mignard è uno degli avvocati che nel 1981 hanno fatto parte del gruppo di lavoro costituito dal capo di Stato, dai consiglieri ministeriali, da alti gradi delle forze dell’ordine e della magistratura, per regolare il caso dei “rifugiati italiani”. Furono loro a realizzare quella che venne battezzata “dottrina Mitterrand” – la promessa di una vita pacifica, in Francia, per gli attivisti che avevano “rotto i legami con la macchina infernale”.

Cosa pensa del parere favorevole all’estradizione che la Chambre ha espresso ieri?

Constato che la giustizia italiana non ha prodotto alcun nuovo elemento, suscettibile di modificare l’opinione dei giudici francesi sulla realtà dei fatti contestati a Battisti. Un’informazione giudiziaria fu trasformata in sentenza. E Battisti non partecipò al processo, e venne condannato in sua assenza.

E dunque i giudici francesi convalidano la contumacia all’italiana, il che comporta l’impossibilità di ricorrere da parte del condannato…

Considerare che l’assenza dell’accusato non sia un elemento sufficiente per dimostrare l’iniquità di un processo mi sembra estremamente sorprendente. E’ una concezione riduttiva della Convenzione europea dei diritti dell’uomo in merito all’equo processo. Rimango estremamente stupito dalla motivazione della Corte, che ammette la procedura italiana di contumacia. Significa che una persona può essere condatta in via definitiva al di là della sua presenza al processo, e viene privata oltretutto della possibilità di fare ricorso. Ora, la legge francese, in conformità con la Convenzione europea, esige la presenza fisica dell’imputato perché il verdetto sia definitivo. Essa esige che il contumace venga nuovamente processato. Il ragionamento della Chambre costituisce, a mio avviso, una forma di sofisma. Mi pare che i giudici non abbiano svolto la loro missione di custodia delle libertà, che impone loro di esprimere riserve sulla contumacia all’italiana. Invece di ottemperare a questo compito, si sono stabiliti su uno standard minimale dei diritti dell’uomo. Ben al di sotto di quella che è la definizione di giusto processo secondo la legge francese.

Cosa pensa del giudizio dei magistrati francesi sulla “dottrina Mitterrand”?

Formalmente, la Chambre ha ragione a invocare la separazione dei poteri, i giudici non sono legati ai fatti della politica francese seguiti al 1981 per esprimere sentenze intorno ai rifugiati italiani. Ma questo protocollo politico viene impropriamente denominato “dottrina Mitterrand”, anche se fu applicato subito dopo l’elezione di François Mitterrand. E’ invece un protocollo politico di tutto lo Stato, che ha impegnato la Repubblica nella sua totalità, diversi ministri e i servizi di grazia e giustizia, sotto i governi Mauroy, Fabius, Chirac, Rocard, Cresson, Bérégovoy, Balladur, Juppé, Jospin. Due presidenti della Repubblica, tre settennati e nove Primi ministri. Come definire altrimenti una politica di Stato, se non nel caso in cui essa sia applicata da tutto lo Stato per ventitré anni? La parola data e la fiducia riposta dagli avvocati negli organi dello Stato giustificano il fatto che questa dottrina politica venga mantenuta nella sua assolutezza.

Come giudica dunque questa nuova attitudine della Francia?

Se l’Italia avesse fatto di questo problema una questione centrale dei suoi rapporti con la Francia, le relazioni tra i due Paesi non ne avrebbero risentito nel corso di questi ventitré anni? Ma non è stato così! I governi italiani non hanno mai esercitato misure ritorsive contro quelli francesi e i servizi di sicurezza italiani, da subito, sono stati costantemente informati delle iniziative prese dalle autorità politiche e di polizia francesi. Non è intervenuto alcun avvenimento che induca a mutare politica, e quindi non esiste il presupposto per rovesciare la scelta fatta dalla Francia.

E tuttavia il Guardasigilli ha espresso senza mezzi termini l’intenzione di chiedere al Primo ministro di firmare il decreto per l’estradizione di Battisti…

Non esiste alcuna ragione oggettiva per cui il Primo ministro non segua la politica dei suoi nove predecessori! Se decide di rompere con una politica che data ventitré anni, bisognerà interrogarsi su eventuali circostanze estranee al dossier di accusa.